“La Luce del Risorto sulle nostre Paure”

Lettera del Vescovo Beniamino Pizziol
per la Pasqua 2015
 
Cari amici,

 con l’avvicinarsi della Pasqua sentiamo forte il desiderio di aprirci al mondo intero e alle sue problematiche. Se un anno fa il nostro cuore era teso alla drammatica vicenda del Camerun, quest’anno esso non può esserlo meno per gli eventi, altrettanto drammatici, che colpiscono in vari punti il continente africano. A questi si aggiunge anche il ricordo sofferente per tutti i recenti casi di persecuzioni e violenze nei confronti dei cristiani in varie zone del mondo. Facciamo nostre le parole pronunciate da Papa Francesco durante l’angelus del 15 marzo scorso: «I cristiani sono perseguitati. I nostri fratelli versano il sangue soltanto perché sono cristiani […]. Che questa persecuzione contro i cristiani, che il mondo cerca di nascondere, finisca e ci sia la pace

Come Chiesa, come cristiani, come persone umane non possiamo chiudere gli occhi di fronte alle sofferenze di tanti uomini e donne: dalle emergenze umanitarie in molte zone del mondo alle violenze terroristiche perpetrate a spese di gente innocente. In particolare ricordiamo i continui e tragici attraversamenti in mare, tra le coste nord africane e quelle italiane, di uomini e donne disperati, in fuga di situazioni ancora più disperate.

In un mondo che ormai si è stabilizzato in una struttura globalizzata, tutti questi eventi non ci lasciano indifferenti e non possono non toccarci nel nostro essere e dirci cristiani. Dinnanzi a grandi mutamenti sul piano globale, siamo chiamati a dare una nostra risposta a livello locale per non essere irresponsabili di fronte all’umanità.

La nostra risposta, in quanto cristiani, è innanzitutto la misericordia: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36).

Sul tema della misericordia, Papa Francesco ha parlato molto in questi due anni di pontificato. Fin dal suo primo angelus il 17 marzo 2013, egli ha invitato a guardare alla misericordia del Padre e a renderla manifesta nella nostra vita: «Un po’ di misericordia rende il mondo meno freddo e più giusto». Così forte è per il pontefice la tematica della misericordia da dedicarle un anno santo straordinario che inizierà l’8 dicembre 2015 e terminerà il 20 novembre 2016: «Sarà un Anno Santo della Misericordia. Lo vogliamo vivere alla luce della parola del Signore: “Siate misericordiosi come il Padre”»(cfr Lc 6,36).

Sempre Papa Francesco ci ricorda quanto la misericordia sia al centro del nostro essere Chiesa: «Il richiamo di Gesù spinge ognuno di noi a non fermarsi mai alla superficie delle cose, soprattutto quando siamo dinanzi a una persona. Siamo chiamati a guardare oltre, a puntare sul cuore per vedere di quanta generosità ognuno è capace.

Nessuno può essere escluso dalla misericordia di Dio. Tutti conoscono la strada per accedervi e la Chiesa è la casa che tutti accoglie e nessuno rifiuta» (Omelia 13 marzo 2015).

Soffermiamoci a riflettere, come Chiesa e come cristiani, sul tema dell’accoglienza.

Gesù nel vangelo di Luca racconta la parabola del buon Samaritano e così conclude la narrazione rivolgendosi al dottore della legge che lo aveva interrogato: «…Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?» Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così» (Lc 10,36-37).

Anche noi siamo invitati a farci prossimi, ad avvicinarci allo sconosciuto in difficoltà che incontriamo lungo la strada della nostra vita quotidiana. È un invito ad approssimarci all’altro; ma non è un’approssimazione per difetto, bensì per eccesso quella che il vangelo ci suggerisce: «Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Lc 6,38).

Siamo chiamati come il Samaritano ad approssimarci all’umanità ferita, calpestata, umiliata, depredata, povera, maltrattata che incontriamo sulla nostra strada. Approssimarsi significa prima di tutto accogliere, prendersi cura, ospitare, sfamare: «Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. Il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”» (Mt 25,31-40).

Sono tutti gesti molto concreti: sfamare, dissetare, ospitare, accudire, visitare, vestire; come molto concreti sono i gesti del buon samaritano: «… un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui» (Lc 10,33-34). Solo in un secondo momento il samaritano provvederà ad una struttura “permanente” per l’uomo caduto nelle mani del brigante: «Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all ‘albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”» (Lc 10,35).

Come cristiani siamo chiamati a gesti concreti di accoglienza anche noi, nei confronti di uomini e donne che si trovano nelle medesime condizioni dell’uomo accolto dal samaritano: «cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto» (Lc 10,30).

Come possiamo declinare questa accoglienza nel nostro tempo e nel nostro contesto?

ACCOGLIERE

Prima di tutto siamo chiamati a vivere l’accoglienza concreta delle persone, specialmente di quelle in situazioni gravose: poveri, senza tetto, profughi e stranieri in difficoltà.
L’ospitalità è per noi cristiani una realtà importante e di grande pregnanza simbolica perché ci ricorda la nostra condizione di “stranieri” in questo mondo – «comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri » (1Pt 1,17) – e ci rimanda al valore dell’ospitalità presente fin dalla prima alleanza: «Quando un forestiero dimorerà presso di voi nella vostra terra, non lo opprimerete. Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio» (Lv 19,33-34).

R-ACCOGLIERE

L’accoglienza non si improvvisa, ma va educata, preparata, stimolata.
Prima di tutto si educa all’accoglienza: per questo essa va tenuta presente in tutti quei luoghi dove educhiamo e formiamo (catechismo, gruppi formativi per giovani e adulti, campiscuola…).
In secondo luogo l’accoglienza e l’ospitalità vanno preparate: non si improvvisano, ma vanno curate cercando di trovare strutture adeguate, dialogando con gli organi civili competenti, raccogliendo le risorse e le energie disponibili. 
Infine, l’accoglienza e l’ospitalità vanno esercitate. Come tutte le dinamiche sociali esse non vengono “naturali”, ma, appunto, devono essere allenate, stimolate, incoraggiate. Non si finisce mai di essere accoglienti e ospitali, perché ci saranno sempre poveri da accogliere: «I poveri infatti li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete…» (Mc 14,7).

COGLIERE

Come cristiani dobbiamo cogliere nell’accoglienza la grazia, l’opportunità e la possibilità di crescere umanamente. Non siamo ingenui e nemmeno buonisti. Sappiamo bene i rischi che l’apertura comporta, ma conosciamo ancor meglio l’opportunità che essa reca con sé: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli» (Eb 13,1-2).
Non lasciamoci vincere dai cambiamenti storici, culturali e sociali, ma accogliamone tutta la grazia e la bellezza per viverli alla luce del Vangelo.
Ecco l’augurio pasquale che ci facciamo: nessuna pietra di morte ci rinchiuda e ci ottenebri; ma l’amore del Padre che ha fatto uscire il Figlio dal sepolcro, faccia uscire anche noi alla luce e alla vita.

 
 

† Beniamino Pizziol

Vescovo di Vicenza

25/03/2015