Testimoni della Misericordia che il Signore ha avuto per noi

Lettera pastorale alla Diocesi di Vicenza
per l’anno 2015 - 2016
 

UNA COMUNITÀ DI FRATELLI

Papa Francesco nella Bolla d’indizione del Giubileo ha scritto: «Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace» (MV n.2). Tutta la Storia della Salvezza è narrazione della misericordia divina, e in modo particolare Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre. Per lasciarci illuminare sul tema della misericordia ho scelto come icona biblica la parabola del servo spietato. Siamo all’interno del discorso sulla comunità dei discepoli nel capitolo diciotto del vangelo di Matteo in cui si parla della correzione fraterna e della necessità di perdonare. Ascoltiamo per intero la pericope evangelica.

21Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?». 22 E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette. 23 A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. 24 Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. 25 Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. 26 Allora que a Gesù dopo aver ascoltato l’insegnamento del Maestro sulla correzione fraterna e la necessità di perdonare. Ma Gesù risponde: “Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette”, che vuol dire sempre. Immaginiamo lo stupore di Pietro che credeva di aver mostrato una disponibilità esagerata al perdono dicendo “fino a sette volte”. E forse, proprio per questo, Gesù racconta la parabola del servo spietato: vuole rendere ragione della sua dichiarazione sulla necessità di perdonare sempre. Vediamo alcuni aspetti del racconto.1 La somma di diecimila talenti è astronomica: un talento vale all’incirca diecimila denari, sicché diecimila talenti farebbero circa cento milioni di denari (dove un denaro sta per una paga media giornaliera). È una cifra esorbitante e acquista un valore ancora più estremo se paragonata al debito dell’altro servo di cento denari. Eppure tale cifra enorme viene condonata dal re. Questa realtà di grande generosità è ribaltata da ciò che segue. Il servo condonato trova subito dopo un altro servo, uguale a lui, che gli doveva cento denari: una cifra non piccola ma certamente risarcibile, si tratta di cento giornate di lavoro. La prigione in cui viene messo il servo è un’azione esagerata per quel debito.
Gli altri compagni, che assistono alla scena, sono molto rattristati dell’accaduto, potremmo dire molto indignati. Lo vanno a raccontare al re la cui risposta è tanto severa quanto era stata prima generosa. In entrambi i casi troviamo l’espressione “mosso a”: “mosso a compassione” e “mosso all’ira”. Il Signore è compassionevole ma è anche esigente, e la sua esigenza è precisamente la misericordia. L’ira di Dio è l’altra faccia della sua misericordia, quella che si rivela a chi, pur essendo già stato beneficiario della sua misericordia, ancora non la capisce, non la vive, non la pratica verso gli altri.


Il senso della parabola è dunque la misericordia di Dio che fonda la possibilità stessa del perdono fraterno. Ecco la risposta di Gesù a Pietro: si può perdonare sempre agli altri solo nella gioiosa coscienza di aver ricevuto da Dio un perdono immensamente più grande delle colpe del proprio fratello. E, inversamente, si può chiedere perdono al Signore solo nella misura in cui si è disposti a perdonare ai nostri fratelli.
Al cuore di questo vangelo abbiamo il perdono, espressione dell’infinita generosità (misericordia) del Padre, strettamente correlato ad alcuni altri temi.

1 Cfr. Alberto Mello, Evangelo secondo Matteo, Edizioni Qiqajon, Magnano 1995, pp. 328-332.

 
 
La fraternità.

Vivere la fraternità è una esperienza stupenda e faticosa insieme, perché la comunità, luogo di condivisione e di comunione è tuttavia luogo di scoperta dei nostri limiti. Quando si vive da soli ci si può anche illudere di essere capaci di amare, ma vivendo insieme ci si rende conto di quanto sia faticoso l’amore, di come siano frequenti le incomprensioni e le divisioni a causa dei nostri limiti e deil servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. 27 Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. 28 Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! 29 Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. 30 Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito. 31Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. 32Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. 33 Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? 34 E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto.35 Così anche il Padre celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello (Mt 18, 21-35).

“Se mio fratello pecca contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?” È la domanda che Pietro rivolge nostri peccati. La fraternità non si fonda sulla pretesa della perfezione, ma si confronta con la fragilità e il peccato. Così il perdono fraterno è il frutto del lasciarsi completamente avvolgere dall’azione misericordiosa di Dio: «Non bisognava che anche tu avessi compassione del tuo compagno come anch’io ho avuto compassione di te?» Il fondamento del mio rapporto con l’altro è l’imitazione del rapporto che Dio ha con me. Osserviamo nel racconto della parabola come siano i servi ad accorgersi del comportamento incoerente del primo servo verso il secondo, che non offre la misericordia che lui invece ha potuto godere perché non riesce a vedere se stesso nell’altro. Questa incapacità di identificarci nell’altro è spesso causa di tanti comportamenti spietati a cui assistiamo indifferenti quotidianamente. Come avviare un processo di superamento delle ingiustizie che offendono profondamente la dignità delle persone e rendono retorica la nostra fraternità?

 

Il male e il peccato.

La comunità è chiamata a saper riconoscere le implicanze della forza del male e dell’ingiustizia che creano continuamente divisione e odio e contrastano il cammino della misericordia e del perdono rendendolo ad un tempo il caso serio e rischioso dell’esperienza umana e cristiana. Il peccato dunque va riconosciuto e condannato e il perdono non nega la realtà del male ma la affronta. Pertanto se nel perdono si celebra il trionfo dell’amore gratuito e incondizionato di Dio, non vuol dire che questo non avvenga attraverso una testimonianza impegnativa e drammatica fino al dono della vita. Se diciamo che l’amore che non perdona non è amore, dobbiamo anche comprenderne e assumerne con responsabilità le conseguenze. “La vita fraterna è la rivelazione delle tenebre che sono in noi” ha scritto Jean Vanier, definendo poi la comunità “il luogo della festa e del perdono”.2 Ne consegue che parlare al mondo di perdono vuol dire poi assumere fino in fondo l’impegno di una coerente testimonianza, a partire dal sapere concretamente “far festa con” e “perdonare” nelle nostre relazioni ecclesiali, civili, sociali, ecc.
 
 
2 Jean Vanier, La comunità luogo della festa e del perdono, Jaca Book, Milano 1980.i e io». Rm 1,12. 
 
 
 
La giustizia.
 
La parabola presenta un regno dei cieli che, a una lettura superficiale, sembra molto vicino a una pura contabilità. È spesso quello che ci aspettiamo dalla nostra idea di Dio e dal rapporto con lui. Ma poi Dio si comporta come il re della parabola e non riusciamo a capirlo. La cifra di diecimila talenti è una cifra enorme, un debito che non potrebbe essere pagato nemmeno con la vita. Quali sentimenti, ci possiamo chiedere, albergano nel cuore di una persona che ha un debito così grande? Smarrimento, sconforto, disperazione… Abbiamo visto persone togliersi la vita per il peso dei debiti che a volte sono espressione di un fallimento di un progetto di vita. Il re coglie questa disperazione e prova compassione, ciò che il primo servo non sa fare verso il secondo pur essendo come lui: un servo. C’è una immensa differenza tra la giustizia divina e quella umana, perché hanno due punti di vista differenti: il re considera il peso esistenziale del debito e prova compassione, mentre il servo considera il valore dei soldi che non hanno cuore. La giustizia del Figlio, che introduce nel Regno del Padre, non è quella che ristabilisce secondo la regola del “chi sbaglia paga”. È una giustizia superiore, propria di chi ama, e che si sente in debito verso tutti: all’avversario deve la riconciliazione, al piccolo l’accoglienza, allo smarrito la ricerca, al colpevole la correzione, al debitore il condono. La disparità della giustizia divina, è data dalla misericordia: dono e perdono. San Paolo direbbe che alla giustizia della legge che uccide, succede quella dello Spirito che dà la vita (Cfr. 2Cor 3,6). Le colpe altrui nei miei confronti mi permettono di perdonare come sono perdonato: mi fanno figlio perfetto come il Padre (2Cor 5,43-48).
La misericordia di Dio è come un fiume in piena che non può essere arginato. Il primo a essere travolto da questa generosità è colui che si pone come argine. La misericordia di Dio non conosce argini o confini e ad esserne travolto anziché guarito è il primo servo che ne ferma il flusso travolgente.
 
 
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04/09/2015