Omelia nella Festa della Madonna del “colera” – Maria vergine della speranza Duomo di Sandonà, 22 settembre 2024

Omelia nella Festa della Madonna del “colera” – Maria vergine della speranza

Duomo di Sandonà, 22 settembre 2024

 

Letture: Sir 24,14-16,24-31; Sal Magnificat; Ef 1,3-6.11-12; Gv 19,25-27

La festa di S. Maria delle Grazie, patrona della parrocchia perché a lei è dedicato questa chiesa parrocchiale, dal 1850 e diventata festa della Madonna del colera. È a causa di un voto che i sandonatesi celebrano questa festa alla Madre di Gesù e madre nostra. All’epoca, infatti, si chiese aiuto alla Madonna, per l’epidemia del colera che mieteva vittime in tutto il Basso Piave, promettendo di andare in processione per le strade della città.

In lei i nostri avi hanno posto la speranza di essere liberati dal colera. Perciò viene oggi denominata “Madonna del colera”, cioè Madonna a cui si ricorre nella speranza di ottenere una grazia che doni vita e permetta di custodire la vita.

È vera sapienza lasciarsi condurre dalla virtù della speranza che è caratterizzata dalla fiducia, dall’attesa, dal desiderio. All’opposto della speranza vi è la sua mancanza che chiamiamo disperazione con le sue caratteristiche di pessimismo, sconforto, sfiducia, delusione, amarezza.

Nel testo del Siracide che abbiamo ascoltato nella prima lettura la sapienza è stata descritta in forma poetica come una donna, di più, come una madre: Io sono la madre del bell’amore e del timore, della conoscenza e della santa speranza; ⌈eterna, sono donata a tutti i miei figli, a coloro che sono scelti da lui.

Sì, la sapienza è madre della santa speranza. Poniamo attenzione all’immagine della madre. La donna porta nella sua dimensione psico-fisica i segni della speranza. La donna vive esistenzialmente l’attesa quando nel suo grembo sta crescendo una nuova creatura. Noi stessi quando vediamo una donna che nel nostro esprimerci diciamo “in dolce attesa” siamo raggiunti da sentimenti di gioia. Con trepidazione la madre ascolta il figlio che si muove in grembo e cresce in lei il desiderio di tenerlo tra le braccia.

Potremmo pensare che la speranza e la disperazione siano due realtà che si corrispondono. In realtà la speranza è una dimensione costitutiva della nostra esistenza e la disperazione è la sua mancanza. Noi siamo venuti al mondo quali frutto della speranza di altri che hanno creduto nell’amore e viviamo di speranza fin da bambini: la speranza che qualcuno ci accolga, si prenda cura di noi, ci rassicuri dalle paure, ci insegni i segreti della vita.

Alla luce di queste brevi riflessioni proviamo ora a fissare l’attenzione su Maria, così come ce la presentano i vangeli. Papa Benedetto XVI nell’enciclica che scrisse sulla speranza (Spe salvi) l’ha denominata Maria stella della speranza. Infatti Maria apparteneva a quelle anime che attendevano la “redenzione di Israele”. Donna dell’attesa meditava le sacre Scritture alimentando il grande desiderio di vedere un giorno “la salvezza e la gloria del popolo di Israele”. Lei con stupore e timore ha accolto la promessa dell’angelo di diventare la madre dell’Emmanuele – il Dio con noi. E piena di gioia ha attraversato i monti della Giudea per raggiungere la cugina Elisabetta, anche lei in attesa di un figlio. Così è diventata «l’immagine della futura Chiesa che, nel suo seno, porta la speranza del mondo attraverso i monti della storia» (Spe salvi 50).

Maria non ha conosciuto solo le gioie che ha cantato nel Magnificat, ella è stata raggiunta anche dal dolore di vedere il suo Figlio innocente osteggiato, tradito, offeso, percosso e messo a morte come un criminale. Solo le viscere di una madre possono comprendere la sofferenza di un figlio che muore così. Eppure Lei non ha smesso di credere nelle promesse di Dio e sotto la croce, quando le veniva tolto l’unico Figlio, accolse un nuovo figlio non più generato dalla carne bensì donato dallo Spirito emesso da Cristo sulla croce. Sotto la croce Maria ricevette una nuova missione: essere madre di tutti coloro che accolgono Gesù e lo seguono. Sotto la croce era forse finita la speranza? Maria deve aver custodito nel cuore le parole dell’angelo: “Non temere”.

Queste stesse parole papa Francesco desidera che siano accolte nuovamente dall’intera umanità nell’anno giubilare che inizierà con il prossimo Natale.

In mezzo alle notizie di violenza familiare che ci raggiungono in questo tempo per vicende di solitudine e abbandono Maria ci invita a fidarci delle parole che spesso suo Figlio ha rivolto ai discepoli “non temere”.

Frastornati da venti di guerra che utilizza strumenti elettronici sempre più sofisticati seminando terrore e morte di tanti innocenti, Maria ci invita a non perdere la speranza quella che «nasce dall’amore e si fonda sull’amore che scaturisce dal Cuore di Gesù trafitto sulla croce» (Spes non confundit 3). È Lui la roccia sulla quale fondare ogni cammino di pace e di riconciliazione.

Con don Tonino Bello, preghiamo: Santa Maria, Vergine del mattino, donaci la gioia di intuire, pur tra le tante foschie dell’aurora, le speranze del giorno nuovo. Ispiraci parole di coraggio. Non farci tremare la voce quando, a dispetto di tante cattiverie e di tanti peccati che invecchiano il mondo, osiamo annunciare che verranno tempi migliori. Non permettere che sulle nostre labbra il lamento prevalga mai sullo stupore, che lo sconforto sovrasti l’operosità, che lo scetticismo schiacci l’entusiasmo, e che la pesantezza del passato ci impedisca di far credito sul futuro. Aiutaci a scommettere con più audacia sui giovani, e preservaci dalla tentazione di blandirli con la furbizia di sterili parole, consapevoli che solo dalle nostre scelte di autenticità e di coerenza essi saranno disposti ancora a lasciarsi sedurre.

Saluto alla città di Sandonà

Prima che si sciolga la nostra assemblea, è tradizione che si rivolga un pensiero alla città. Una città che vede rinnovata la piazza antistante il Duomo.

Dalla piazza si entra in chiesa e dalla chiesa si esce attraversando la piazza.

La chiesa è un edificio dedicato alla gloria di Dio e frequentato abitualmente dai cristiani cattolici che qui si riuniscono come alla «antica fontana del villaggio che dà l’acqua alle generazioni di oggi, come la diede a quelle del passato» (Giovanni XXIII, Celebrazione della Solenne Liturgia in rito Bizantino-Slavo in onore di San Giovanni Crisostomo,13 novembre 1960). Ma qui possono trovare ristoro nel silenzio e nella meditazione anche i cristiani di altre confessioni, o di altre religioni e pure coloro che si dichiarano senza una religione ma portano nell’intimo un “anelito di spiritualità” e cercano qualcosa per la loro vita.

La piazza è un luogo pubblico, un luogo civile, uno spazio nel quale si passa, ci si incontra, ci si attarda per una conversazione. È all’incrocio di alcune vie di comunicazione e attorniata di edifici che accolgono abitazioni private, uffici e negozi.

La chiesa e la piazza, realtà differenti ma entrambe sono caratterizzate dall’essere luoghi aperti a tutti. In chiesa si viene per incontrare Dio e ascoltando la sua parola crescere giorno dopo giorno come comunità. Ma non vi si resta in modo permanente. Si deve uscire per attraversare la piazza della comunità civile e adoperarsi perché sia una città accogliente verso tutti, inclusiva, attenta ai più deboli ed emarginati che pure hanno diritto di “stare” in piazza insieme agli altri.

E dobbiamo dire che pure la piazza non basta a se stessa. La città ha bisogno di un’anima che la spinga a costruire la nostra “casa comune” perseguendo il “bene comune”. Il luogo dell’incontro quale è la piazza e il luogo dello spirito quale è la chiesa si richiamano a vicenda, si completano a vicenda.

Dunque Sandonà una città con le sue piazze luoghi di relazioni inclusive.

Sandonà una città che come ogni città ha bisogno di un’anima capace di custodire le realtà più preziose ereditate dai padri.

Che cosa ha ereditato dai padri la città di Sandonà? Lo ricorda lo stesso nome: Sandonà di Piave. Un fiume bagnato dal sangue della guerra. Nel giugno 1918 vi fu la seconda battaglia del Piave: le perdite austriache ammontarono a 34.000 morti, 100.000 feriti, circa 24.500 prigionieri; quelle italiane a 90.000 uomini complessivamente. Sandonà città che custodisce la pace. Forse non riusciamo neppure ad immaginarla questa città distrutta dalle bombe come sta avvenendo in questi mesi a Gaza, a Kiev, in Siria in Myamar… Nelle nostre concezioni le città sono per loro natura destinate alla pace. La guerra porta solo distruzioni e il commercio delle armi alimenta la violenza in un circolo economico vizioso e diabolico.

Con la vicina città di Jesolo, Sandonà ha pure una vocazione di accoglienza di coloro che cercano un tempo di vacanza, di ristoro o di divertimento. Città che sa accogliere il turista, come l’immigrato, il disabile, il senza fissa dimora, superando ogni barriera culturale.

L’augurio è che la città di Sandonà, seguendo l’esempio di Maria stella della speranza, sia città della pace e città dell’accoglienza: così potrà rappresentare per tutti una possibilità di vita buona e di autentica speranza.

† vescovo Giuliano