OMELIA nella 28ma Domenica del Tempo Ordinario
con il ringraziamento per i nuovi beati martiri,
fra Vittorio Faccin e padre Giovanni Didonè saveriani,
e il mandato ai Gruppi ministeriali e ai Missionari in partenza
Villaverla, 13 ottobre 2024
Letture: Sap 7,7-11 Sal 89 Eb 4,12-13 Mc 10,17-30
Un “tale”, un “giovane”, un “notabile”
L’evangelista Marco ci ha raccontato di un “tale” che va da Gesù per chiedergli come si possa vivere bene, anche affrontando l’ora della morte con serenità, nella consapevolezza che la propria esistenza non finisce tutta in questo mondo. Insomma come si fa ad avere una vita che sia allo stesso tempo normale, ma anche non banale, ricca di relazioni e di amore, impegnata quanto basta e aperta, libera, pure leggera.
L’incontro narrato da Marco si trova anche nel vangelo di Matteo e lì quel tale ha una caratteristica: è giovane. Lo stesso racconto che lo riporta anche l’evangelista Luca e quel tale viene descritto come un notabile.
È dunque un’esperienza che tocca da vicino i giovani, riguarda coloro che hanno particolari pregi (degni di nota), ed infine è un’esperienza che può raggiungere tutti perché possiamo riconoscerci in quel tale.
Gesù sorprende con il suo sguardo
Come abbiamo ascoltato, la domanda rivolta a Gesù è costituita da due verbi: fare e avere/possedere. La ricerca di una vita buona e bella quel tale o giovane o notabile ritiene che si possa realizzare attraverso il fare delle cose e attraverso il possedere. Il praticare, non detestabile, i comandamenti: quelli rivelati da Dio a Mosè o quelli trasmessi nella Chiesa, come pure quei comandamenti che sorgono da una coscienza pura che mi spingono a fare delle scelte responsabili con una vita serena ma impegnata nell’edificare un mondo migliore. E oltre al praticare anche il possedere: cose, beni, ricchezze… magari con l’intenzione di aiutare gli altri… oppure possedere amici che è una bella cosa. Ma non è tutto.
La logica del fare e del possedere, seppure relazioni e cose buone, non è in grado di soddisfare quel desiderio di vita buona che portiamo dentro. Abbiamo bisogno di altro che spesso non sappiamo che cosa sia e che nel vangelo di Marco è ben descritto da queste parole: Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!”. Prima delle parole c’è un gesto che supera ogni parola: fissando lo sguardo su quel tale lo amò. L’amore pieno di compassione e misericordia di Gesù viene consegnato con uno sguardo. Non è il fare o il possedere che contano di più. È l’esperienza di sentirsi amati per quello che si è, con la propria storia, i propri difetti, perfino sentirsi amati gratuitamente anche nelle proprie fragilità ed errori: solo l’amore vero è capace di trasformare il male in opportunità di bene.
E le parole di Gesù consegnate con lo sguardo fisso sul tale sono un invito ad andare libero nella vita. Non rimanere fermo, immobilizzato dall’attaccamento alle proprie comodità e ricchezze materiali. Andare incontro ai poveri per rispondere con cuore libero allo sguardo pieno di amore di Gesù. Dio è tutto, Gesù è l’Unico necessario, per coloro che hanno un cuore libero. Ce lo ricordano molti testimoni.
Testimoni
Permettete di ricordare il piccolo missionario che è stato Sammy. È lui che ha saputo dire nelle sue ultime parole: «Devo tutta la mia vita a Dio, ogni cosa bella. La Fede mi ha accompagnato e non sarei quello che sono senza la mia Fede. Lui ha cambiato la mia vita, l’ha raccolta, ne ha fatto qualcosa di straordinario, e lo ha fatto nella semplicità della mia vita quotidiana».
Oggi noi abbiamo accolto i resti mortali dei missionari martiri della fratellanza. Fra Vittorio Faccin e padre Giovanni Didonè, figli di questa terra. Loro, con grande entusiasmo, hanno risposto alla chiamata del Signore nella famiglia dei saveriani e avendo scoperto la perla preziosa della vita, hanno avuto il coraggio di lasciare tutto per andare tra i poveri. In mezzo ad un popolo colpito dalla violenza e dal terrore sono stati una presenza luminosa: una lampada che brilla e continua a risplendere fino ai nostri giorni. Missionari italiani con un prete diocesano africano, hanno saputo volersi bene e sostenersi nel voler bene alla gente povera e impaurita.
Un fratello laico, due preti italiani e un prete africano: sono un grido di fraternità per noi preti per essere a servizio del popolo di Dio con la nostra fraternità insieme ai laici.
Sono un grido per i gruppi ministeriali, nel mettersi a servizio delle comunità tanto bisognose di ritrovare lo sguardo pieno di amore di Gesù: ritrovare l’essenziale che non sta nelle strutture, bensì nella fede e nella dedizione ai poveri.
Sono un grido per voi giovani. Sammy ci ha lasciati a 28 anni. Fratel Vittorio aveva 30 anni e padre Giovanni ne aveva 34. Hanno avuto li coraggio di lasciare tutto per amore di Gesù e di andare in missione. Il loro martirio continua ad essere un grido di pace e un appello per una più equa distribuzione dei beni. Ma hanno voluto essere tutto questo amando la gente, scegliendo la via dell’amore che avevano ricevuto da Dio.
Ci accompagni in questo cammino Maria. Chiediamo la sua materna intercessione per la missione evangelizzatrice dei discepoli di Cristo. Con la gioia e la premura della nostra Madre, con la forza della tenerezza e dell’affetto, abbandoniamo comodità e sicurezze per andare e portare a tutti lo sguardo pieno di amore di Gesù a partire dai poveri.
Santa Maria, Stella dell’evangelizzazione, poniamo sotto la tua protezione questi giovani, i laici dei gruppi ministeriali e i missionari e le missionarie. E intercedano per tutti i nuovi beati, martiri della fratellanza.
+ Vescovo Giuliano
[testo non rivisto dopo la pronuncia: mancano alcune aggiunte fatte a braccio]




