OMELIA nella Celebrazione Eucaristia presso l’Ospedale San Bortolo in occasione della XXXIII GIORNATA MONDIALE DEL MALATO Ospedale San Bortolo, 13 febbraio 2025
OMELIA nella Celebrazione Eucaristia presso l’Ospedale San Bortolo
in occasione della XXXIII Giornata mondiale del malato
Ospedale San Bortolo, 13 febbraio 2025
Letture: Gen 2,18-25; Sal 127; Mc 7,24-30
Celebriamo qui presso l’Ospedale di Vicenza San Bortolo la XXXIII Giornata mondiale del Malato. Martedì scorso, presso il Santuario di Monte Berico abbiamo vissuto il Pellegrinaggio giubilare dei malati molto partecipato. In quell’occasione ho concluso l’omelia con le parole di papa Francesco che oggi riprendo all’inizio della riflessione: «Cari malati, cari fratelli e sorelle che prestate la vostra assistenza ai sofferenti, in questo Giubileo voi avete più che mai un ruolo speciale. Il vostro camminare insieme, infatti, è un segno per tutti, un “inno alla dignità umana, un canto di speranza” (Bolla Spes non confundit, 11), la cui voce va ben oltre le stanze e i letti dei luoghi di cura in cui vi trovate, stimolando e incoraggiando nella carità “la coralità della società intera” (ibid.), in una armonia a volte difficile da realizzare, ma proprio per questo dolcissima e forte, capace di portare luce e calore là dove più ce n’è bisogno» (Messaggio in occasione della XXXIII Giornata del malato).
Della dignità umana ci ha parlato la prima lettura tratta dalla Genesi. Nella creazione, al vertice dell’opera di Dio, vi è la bellezza dell’uomo e della donna. La bellezza dei loro esseri quali spiriti incarnati (corpo e anima) sta nel fatto che vivono aperti l’uno all’altra, attratti si direbbe, da una relazione di amore. La relazione di amore è così forte tanto che l’autore ispirato li considera nel gesto sessuale dell’essere una sola carne. La bellezza dell’amore umano. Uomo e donna creati a immagine di Dio che è relazione eterna nell’Amore del Padre con il Figlio. E non provano vergogna della loro corporeità perché Dio li ha pensati puri nell’amore libero. Ma la castità ha conosciuto una prova e una sorta di deriva allorquando i due non si sono più accolti secondo il disegno di Dio e in modo autonomo – non più nella relazione – hanno fatto delle scelte lontane dal quel disegno. Perciò nel mondo fin dalle origini è stato introdotto il peccato che è causa di divisione e confonde l’uomo impedendogli di riconoscere l’inestimabile dignità di ogni uomo e donna. La vicenda di Caino che uccide per invidia il fratello Abele è paradigma dell’odio uscito dal cuore di un fratello fino a sopprimerlo con la violenza. Così la bellezza del disegno di Dio nelle relazioni umane viene infranta.
Il male può prendere una persona – addirittura una bambina – e possederla totalmente. Ce ne riferisce il racconto evangelico. La madre di questa bambina – una straniera non appartenente alla fede di Israele – corre da Gesù chiedendo di farsi vicino, di prendersi cura della propria bambina e di far uscire da lei lo spirito del male.
Gesù risponde che lui deve prendersi cura prima di tutto del suo popolo, il popolo eletto, il popolo di Israele. I figli veri sono proprio gli israeliti, gli stranieri venivano indicati con l’appellativo “cani” che Gesù ingentilisce chiamandoli “cagnolini”. Ma la madre della bambina, come fanno spesso le madri di figli ammalati, è tenace. Di questo Gesù si è parlato come di uno che si prende cura di tutti coloro che soffrono. Nella sofferenza siamo tutti uguali. Perciò con prontezza risponde che anche i cagnolini hanno accesso alla mensa dei padroni e raccolgono le briciole e di queste si nutrono. Una donna tenace nell’avere fiducia in Gesù.
Così possiamo riconoscere che Gesù, il Figlio di Dio, non ha paura del male e del demonio. Gesù sta vicino a chi soffre nel fisico e nello spirito. Si prende cura e con la sua parola e le sue azioni offre vita, compiendo guarigioni per progredire nella vita. Gesù non sparge semi di morte. Egli interviene perché la vita sia una vita di qualità fino all’ultimo respiro. La madre, Tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n’era andato. Così riprende la vita.
L’evangelista sottolinea il fatto che questa donna è una straniera. Così ci fa comprendere che Gesù non si ferma ai confini d’Israele. La guarigione spirituale deve poter essere offerta a tutti, senza limiti di nazionalità o di etnia. A tutti è offerta la salvezza del Signore Gesù. Gesù restituisce la bambina alla possibilità di avere relazioni buone con i familiari, non più relazioni disordinate. Animata dalla speranza in Gesù la mamma della bambina ha sperato contro ogni speranza. Ed ora che la sua bambina è stata guarita la speranza nella vita è ancora più grande: riconosce che Gesù è capace di donare una “vita che non tramonta”.
Ha scritto papa Francesco: «Nel tempo della malattia […] se da una parte sentiamo tutta la nostra fragilità di creature – fisica, psicologica e spirituale –, dall’altra facciamo esperienza della vicinanza e della compassione di Dio, che in Gesù ha condiviso le nostre sofferenze. Egli non ci abbandona e spesso ci sorprende col dono di una tenacia che non avremmo mai pensato di avere, e che da soli non avremmo mai trovato».
Una testimone: Cicely Saunders, una ragazza di Londra, impegnata negli di studi economia a Oxford durante la Seconda Guerra mondiale si arruola come infermiera. Lei sente dentro di sé l’appello a curare i feriti che giungono dal fronte. È in quel contesto che fa l’esperienza di centinaia di coetanei che muoiono in mezzo a sofferenze atroci. Non si scoraggia di fronte all’impossibilità di salvarli ed inizia a comprendere che per alleviare la sofferenza dei moribondi non bastano le cure fisiche, è necessario anche curare la loro disperazione. Farà di questo la ragione della sua esistenza: animata dalla fede cristiana scopre la sua vera vocazione. A 33 anni inizia a studiare medicina e comprende che quando un malato non può più essere guarito, per i medici questa è una sconfitta e si fermano. Lei pensa che non ci si debba fermare e nel 1967 crea il primo hospice, dove non si va a morire ma a vivere bene sino all’ultimo istante. Un ambiente, l’hospice che troverà grande diffusione. Le cure palliative create dalla Saunders continuano ad essere un punto di riferimento a livello mondiale per la cura dei malati terminali.
Questa donna ha fatto crescere un segno di speranza proprio all’interno degli ospedali. In un tempo in cui si discute di fine vita, affidiamo con tanta riconoscenza tutti coloro che operano negli hospice perché offrono la possibilità di credere nella vita fino all’ultimo istante. Noi confessiamo il Signore della vita e preghiamo perché in quest’anno giubilare si moltiplichino i segni di speranza negli ospedali, nelle case di cura e nelle case di riposo.
Il messaggio di papa Francesco si conclude con un ringraziamento ai fratelli e alle sorelle che operano ogni giorno in queste strutture: «Tutta la Chiesa vi ringrazia! Anch’io lo faccio e prego per voi affidandovi a Maria, Salute degli infermi, attraverso le parole con cui tanti fratelli e sorelle si sono rivolti a Lei nel bisogno: Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio. /Non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, / e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta»