OMELIA nella Solennità del Ss.mo Corpo e Sangue del Signore Cattedrale con processione verso la chiesa di San Lorenzo Vicenza, 19 giugno 2025

OMELIA nella Solennità del Ss.mo Corpo e Sangue del Signore

Cattedrale con processione verso la chiesa di San Lorenzo

Vicenza, 19 giugno 2025

Letture: Gen 14,18-20; Sal 109; 1Cor 11,23-26; Lc 9,11-17

Come il re di Salem, che si chiamava Melchisedek, anche Gesù nell’ultima Cena ha preso del pane e del vino per pregare Dio e benedirlo.

Melchisedek è una figura misteriosa dell’AT, infatti di lui non si conoscono né il padre né la madre e non si dice nulla della sua morte.

Egli prefigurava Gesù che come uomo è nato da Maria ma nella sua divinità non proveniva da un padre e una madre perché il Figlio di Dio da sempre vive. Egli era presente quando fu creato il mondo e vennero alla luce l’uomo e la donna creati a immagine di Dio.

Con quale atteggiamento Gesù ha preso del pane del vino nell’ultima Cena e con sentimenti di grande trepidazione per ciò che sarebbe avvenuto di Lui li consegna ai suoi amici più intimi affinché mangiassero e bevessero?

Con la compassione. Il cuore di Gesù è un cuore pieno di compassione. Lo abbiamo sentito ricordare dal Vangelo. Quando si trova a Cafarnao davanti ad una folla enorme, fatta di malati, uomini – donne – bambini e vede che quella gente ha fame, il suo cuore non resta indifferente. Ha un cuore che si commuove. È il cuore stesso di Dio così sensibile da commuoversi. Perciò coinvolge i suoi amici, gli apostoli, nel portare sollievo alla fame più profonda.

Il miracolo del pane moltiplicato come abbiamo ben sentito non è frutto né della sensibilità dei discepoli né della loro capacità di provvedere alle necessità di tutti.

Il miracolo del pane moltiplicato e distribuito con abbondanza è frutto dell’iniziativa di Gesù. Soltanto Dio poteva provvedere con la Presenza piena di compassione e di amore di Gesù alla fame dell’uomo.

Gli apostoli sono e restano Suoi collaboratori. Niente di più! Eppure una presenza necessaria. Gesù, anche nel racconto evangelico, quasi scompare per lasciare posto ai suoi discepoli.

Allo stesso modo i discepoli, nel realizzare la missione affidata da Gesù a favore della gente, sono chiamati a loro volta a scomparire perché le persone accolgano e restino con Gesù… rimanga Lui, soltanto Lui con loro.

Soffermiamo l’attenzione sull’invito che Gesù rivolge ai suoi apostoli: date loro voi stessi da mangiare.

Questa espressione ha due significati.

Il primo richiama il coinvolgimento degli apostoli nel prendersi cura delle persone che hanno fame e sete, persone ferite nel corpo e nello spirito, persone ammalate o anziane, bisognose di aiuto. Non possiamo restare indifferenti.

Gesù ci sprona ad alzare lo sguardo verso queste persone, perché solo imparando da Lui a volgere lo sguardo verso i fratelli e le sorelle il cuore può riscaldarsi e commuoversi.

Solo un cuore capace di commuoversi muove le mani per condividere quel poco che si ha. Che senso aveva mettere condividere cinque pani e due pesci per tutta quella gente? Che cos’è questo per tanta gente? È forse anche la nostra domanda quando pensiamo all’Eucaristia. Che cosa potrà mai fare un pezzo di pane sul quale si è invocato lo Spirito Santo? E un po’ di vino anche questo unito allo Spirito Santo?

Eppure siamo invitati a fidarci dell’invito di Gesù: voi stessi date loro da mangiare.

È un invito che disinnesca il circolo vizioso del nostro egoismo. Del trattenere per noi. Disinnesca la spirale di violenza costruita per difenderci. Parole che entrano nel cuore freddo e indifferente per infiammarlo di amore verso il prossimo.

Vi è un secondo significato di quel voi stessi date loro da mangiare. Cioè date voi stessi, con tutto ciò che siete, con il vostro corpo e con il vostro spirito. Il beato Antonio Chevrier, un prete che nel XIX secolo che si fece povero tra i poveri in un quartiere operario nella periferia di Lione, Nel 1860 acquista una malfamata sala da ballo denominata “Prado” per trasformarla in un centro di formazione cristiana per bambini e ragazzi poveri che restavano ai margini. È lui che diede vita alla Società dei preti del “Prado”.

Egli affermava: «Il sacerdote è un uomo spogliato (la povertà del presepio); un uomo crocifisso (il Calvario); un uomo mangiato (il Cenacolo)». E aggiungeva: «È nella povertà che il sacerdote trova la propria forza, la propria potenza, la propria libertà».

Non dovremmo mai dimenticare che ricevendo l’Eucaristia accogliamo il corpo di Cristo per diventare noi un solo corpo, donandoci gli uni gli altri. Perché tutto di noi sia consumato nell’amore di Dio.

+ Vescovo Giuliano