Omelia nella celebrazione Eucaristica esequiale di don Roberto Rasia Dani
Arzignano, 28 ottobre 2025
Letture della festa dei santi apostoli Simone e Giuda: Ef 2,19-22; Sal 18; Lc 6,12-19
All’inizio della celebrazione
Partecipa al lutto dei familiari e della nostra Chiesa vicentina anche il cardinale Pietro Parolin che mi ha inviato il seguente messaggio: “La morte di don Roberto Rasia Dani mi ha profondamente addolorato, per l’amicizia che ci legava fin dai tempi del Seminario, dove abbiamo trascorso insieme gli anni della teologia. Le sarei vivamente grato se durante le esequie ad Arzignano volesse esprime anche la mia partecipazione al lutto della Chiesa vicentina per la scomparsa di un caro compagno che ha molto sofferto, e di un prete preparato e zelante, al quale ho sempre guardato come esempio di dedizione nel servizio ministeriale”.
Cari fratelli e sorelle, oggi la Chiesa ci invita a pregare con le parole della festa dei santi apostoli Simone e Giuda, e in esse troviamo una luce che illumina la vita e la morte del nostro fratello don Roberto, sacerdote del Signore, apostolo tra noi, amico del Vangelo.
Non celebriamo soltanto un commiato, ma la continuità di una chiamata che, iniziata con il dono del Battesimo e maturata con l’ordinazione presbiterale, il 30 dicembre 1979, ora trova il suo compimento nell’abbraccio con Cristo, Signore della vita.
“Gesù salì sul monte a pregare” (Lc 6,12)
Il Vangelo ci presenta Gesù nel momento in cui sceglie i Dodici. Non lo fa di fretta, ma sale sul monte e passa la notte in preghiera. La scelta degli apostoli nasce da un’intimità profonda con il Padre. È un atto di comunione, prima ancora che di missione. È come se Gesù dicesse: “Voglio che questi uomini siano con me, perché solo chi sta con me potrà poi essere inviato nel mio nome”.
Anche la vita di don Roberto ha avuto questa forma evangelica: la comunione prima dell’azione. Era un uomo di preghiera, fedele alla liturgia delle ore, innamorato dell’Eucaristia. Chi lo ha visto celebrare, ricorda la sua calma, la sua attenzione, la sua convinzione profonda che lì, sull’altare, si abbevera e nutre la Chiesa.
Come gli apostoli, anche lui ha sentito di essere stato scelto non per sé, ma per gli altri.
Gesù, dice il Vangelo, “chiamò a sé quelli che volle, ed essi andarono da lui”. Don Roberto ha risposto a questa chiamata con tutta la sua vita, con le sue energie, con la sua mente e con il suo cuore, anche quando la salute si faceva fragile.
“Scese con loro e si fermò in un luogo pianeggiante” (Lc 6,17)
Dopo la notte in preghiera, Gesù scende verso la pianura. È un gesto simbolico: la comunione con il Padre si traduce in discesa verso la folla, verso la concretezza della vita, verso l’umanità ferita che attende guarigione e consolazione.
Anche don Roberto ha vissuto questa discesa. Era un prete che non ha tenuto la fede sulle alture dell’astrazione, ma l’ha portata dentro le case, nelle comunità parrocchiali, tra i giovani, tra gli ammalati, tra chi aveva bisogno di ascolto. Ha saputo unire lo studio alla pastorale, la riflessione alla concretezza. Non ha mai separato il cielo dalla terra.
In ogni comunità dove ha vissuto — Agugliaro, Poiana Maggiore, Stroppari, Santa Croce Bigolina, Velo d’Astico — ha cercato di edificare luoghi di incontro, di dialogo, di corresponsabilità.
Era un uomo che non restava sul monte, ma scendeva sempre: tra la sua gente, nelle fatiche della pastorale, nei lavori materiali delle chiese e delle canoniche, nelle relazioni vere con chi gli stava accanto.
“Edificati sopra il fondamento degli apostoli” (Ef 2,20)
Nella prima lettura, san Paolo ci ha ricordato che la Chiesa è una casa costruita sul fondamento degli apostoli e dei profeti, e che Cristo Gesù ne è la pietra angolare. Ogni presbitero insieme al presbiterio e al vescovo, partecipa a questa costruzione. Don Roberto ha lavorato come un architetto del Regno: ha edificato comunità solide, ha curato luoghi e relazioni, ha formato collaboratori. Ma non si è limitato alle pietre delle chiese — pure tanto amate e rinnovate con instancabile dedizione —: ha costruito pietre vive, uomini e donne capaci di credere, di servire, di sperare.
Era un uomo che sapeva vedere i carismi e incoraggiarli, che non temeva di affidare compiti, che si fidava della gente. In questo modo, davvero, egli ha reso visibile quella “cittadinanza dei santi e dei familiari di Dio” di cui parla san Paolo. Ora lui stesso, terminato il cantiere terreno, entra nella casa celeste, quella “dimora di Dio nello Spirito” preparata per i suoi servi fedeli.
“I cieli narrano la gloria di Dio” (Sal 18)
Il salmo responsoriale di questa liturgia è un canto di meraviglia. Il creato — dice il salmista — annuncia senza parole la grandezza del suo Creatore.
Forse anche don Roberto, nei suoi ultimi anni di silenzio e di sofferenza, ha vissuto così: non più con le parole, ma con la sua stessa esistenza, ha “narrato la gloria di Dio”, la “la croce gloriosa di Cristo”. La sua malattia non è stata un peso sterile, ma un’ultima omelia pronunciata nel linguaggio della fiducia e dell’abbandono.
Chi lo ha visto a Casa Gerosa, fragile ma sereno, può dire che anche la debolezza può diventare un atto di fede. Ha offerto la sua vita come un salmo senza voce, ma pieno di luce.
“Perché anche voi veniate edificati per diventare dimora di Dio nello Spirito” (Ef 2,22)
Questo versetto finale della prima lettura ci riguarda direttamente. Don Roberto, come gli apostoli Simone e Giuda, ci lascia un’eredità: costruire una Chiesa che sia dimora di Dio.
Non bastano i muri, non bastano le opere: occorrono cuori aperti, relazioni di comunione, comunità che respirano lo Spirito. La sua vita, fedele e concreta, ci dice che la santità non è fatta di gesti straordinari, ma di fedeltà quotidiana, di dedizione, di perseveranza nella preghiera e nel servizio. Ha compiuto fino in fondo la parola di Paolo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede”.
Ora, mentre lo affidiamo alla misericordia del Padre, lo immaginiamo insieme ai santi apostoli Simone e Giuda, partecipe della comunione eterna che non conosce tramonto. Il suo lungo pellegrinaggio terreno — dalla giovinezza ad Arzignano fino agli anni di silenzio e di preghiera a Bassano — si compie nell’incontro con Colui che ha servito e amato.
E noi, che restiamo, ci sentiamo un po’ più poveri ma anche più ricchi: poveri di un fratello, ricchi del suo esempio, del suo insegnamento, della sua fede.
Preghiera finale
Signore Gesù,
che hai chiamato don Roberto a seguirti nel ministero apostolico,
accoglilo nella tua pace.
Ha seminato, ha parlato di Te, ha sofferto con te,
trasformando la sua croce in preghiera e in offerta.
Fa’ che anche noi, nel suo ricordo,
impariamo a servire senza misura,
a credere anche quando la notte è lunga,
a sperare come chi sa che ogni lacrima ha un senso nel tuo Regno.
Ora che don Roberto contempla il tuo volto,
fa’ che la sua voce, unita a quella dei santi Simone e Giuda,
canti per sempre la tua misericordia,
e uniti invochino nuovi apostoli per la nostra Chiesa.