Fratelli e sorelle, ci raccogliamo oggi, vigilia di Tutti i Santi, per consegnare alla misericordia del Padre il nostro fratello don Luciano, sacerdote di questa Chiesa di Vicenza. La sua vita si colloca come un ponte tra ciò che domani celebreremo — la comunione dei santi — e ciò che il 2 novembre ricorderemo — la fede di chi ci ha preceduti. In lui vediamo già compiuto quel passaggio che tutti attendiamo: l’incontro con il Signore Gesù, mite e umile di cuore.
«In verità, Dio non fa preferenze di persone» (At 10,34)
Così comincia la professione di fede di Pietro nella casa di Cornelio. È la scoperta di un Dio largamente misericordioso, che abbraccia ogni uomo che lo cerca con cuore sincero.
Credo che queste parole raccontino bene il cammino teologico e spirituale di don Luciano.
La sua lunga vita di studioso, maestro, formatore — nel Seminario, nelle aule teologiche, nella formazione del del clero e dei laici — non fu mai una ricerca arida di concetti, ma un pellegrinaggio verso un Dio che sorprende, che non si lascia rinchiudere nei sistemi.
Amava dire che la verità è sinfonica: non una voce sola, ma un intreccio di grazia, ragione, umanità, mistero.
In questa sinfonia lui ha posto la sua nota: quella dell’ascolto, della pazienza, del discernimento. Per come ho avuto modo di conoscerlo ancora quando ero nella diocesi di Treviso, si potrebbe dire che don Luciano insegnava alla maniera dell’apostolo Pietro: non per imporre una verità, ma per riconoscere che Dio la rivela dove vuole, anche al di là dei confini consueti.
Ora, davanti al volto di Dio, don Luciano contempla la pienezza di quella teologia vespertina che, con il tempo, era diventata la sua preghiera: una conoscenza intrisa di misericordia, che nasce non dai libri, ma dall’abbandono.
«O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco» (Sal 62)
Questo Salmo ci introduce nel cuore di ogni uomo di Dio. È la voce di chi cerca, di chi desidera, di chi non si accontenta.
Don Luciano fu, per tutta la vita, un cercatore di Dio. Lo cercò nella meditazione dei Padri, nei grandi teologi del Novecento — Rahner, Congar, Schillebeeckx, Sartori — ma anche nei piccoli frammenti del quotidiano, nelle comunità che serviva, nelle relazioni vissute con amicizia profonda.
Lo cercò nel silenzio dei monasteri dove amava rifugiarsi, e nelle aule universitarie dove sapeva far nascere la domanda nei suoi studenti: «Chi è Dio per te?»
La sua fu una spiritualità diocesana e pastorale, radicata nel Vangelo e sempre aperta al mondo: dal Seminario di Vicenza fino al Cameroun, dove il suo cuore si infiammò per l’Africa, per quella fede giovane e povera che egli chiamava “la mia altra cattedra”.
Il suo testamento ci restituisce questa voce di salmista: “A Te, Signore, consegno la mia vita; accoglimi nella tua dimora”. È la stessa invocazione del Salmo: «La tua grazia vale più della vita».
«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi» (Mt 11,28)
Nel Vangelo, Gesù rivela il cuore del Padre: mite, umile, accogliente. Don Luciano, nella sua lunga vita, si è lasciato plasmare da questa mitezza evangelica. Chi lo ha conosciuto sa quanta serenità diffondeva, quanta comprensione e capacità di ascolto. Sapeva accogliere tutti: seminaristi, colleghi, laici, preti in crisi, persone in ricerca. Non giudicava.
Aveva quella sapienza discreta di chi conosce la fragilità umana e la riconsegna al Signore.
Anche nel suo testamento scrive: “C’è in me la disobbedienza del peccato, ma il Signore mi ha sempre avvolto e accolto nella sua misericordia paterna. So di non poter contare sulle mie opere, ma solo sulla sua grazia”. Ai seminaristi qualche anno fa aveva detto: “Se saremo veramente uniti a Lui, quando cioè diventa valore irrinunciabile la nostra amicizia con Lui, il nostro ministero e lo stile di vita saranno credibili e ben fondati […]. Lui ci ha conquistati e noi ci siamo lasciati conquistare. La cartina di tornasole dell’autenticità della relazione con Gesù è data dall’amore e dalla passione per il ministero ricevuto” (26 maggio 2022).
Questa è la confessione più vera di un prete: sapere che alla fine restano solo le mani di Cristo, che accolgono, guariscono, perdonano. È a quelle mani che oggi consegniamo il nostro fratello.
«La teologia diventa vespertina»
Nell’ultima stagione della sua vita, segnata dalla malattia e dal silenzio, don Luciano aveva maturato uno sguardo pacato, contemplativo, quasi vespertino — come egli stesso scriveva: “La teologia diventa conoscenza vespertina, un notturno pensiero pellegrino”.
È l’atteggiamento di chi, come Simeone, può dire: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza”.
Don Luciano ha vissuto così il suo “ora”: come una lode vespertina, come una consegna fiduciosa. E non è forse questo il segreto della santità che domani celebreremo?
Non gli eroi della fede, ma gli uomini che, come lui, hanno lasciato che la grazia facesse lentamente il suo corso.
Conclusione
Fratelli e sorelle, oggi la Chiesa di Vicenza saluta un suo figlio, un maestro, un amico. Non lo piangiamo soltanto: lo ringraziamo. Per la sua intelligenza lucida e paziente, per la fede pensata e umile, per la carità che ha saputo incarnare nella vita comune, per la passione ecclesiale e per il sogno di una Chiesa sempre più missionaria, sinodale, serva.
La sua eredità non sono soltanto libri o appunti teologici, ma cuori formati, coscienze risvegliate, uomini e donne che, grazie a lui, hanno imparato a dire: “Il Signore è buono, la sua misericordia è per sempre”. Don Luciano ha accolto il soffio dello Spirito che ha animato il Concilio Vaticano II e lo ha trasmesso con entusiasmo al presbiterio e alle comunità cristiane.
E noi, in questa vigilia di Tutti i Santi, possiamo pregare con le sue stesse parole: “A Te, Signore, consegno la mia vita; accoglimi nella tua dimora”. Amen.