OMELIA PER IL GIUBILEO DEL VOLONTARIATO – I domenica di Avvento
Cattedrale, 29 novembre 2025
Letture: Is 2,1-5; Sal 121; Rm 13,11-14; Mt 24,37-44
Carissimi fratelli e sorelle, cari amici e amiche del volontariato vicentino,
questa sera la nostra Cattedrale diventa davvero quello che il profeta Isaia ha sognato: un monte verso cui salgono i popoli, una casa dove tutte le strade della città convergono, un luogo in cui le speranze sparse si raccolgono e prendono voce.
“Venite, saliamo sul monte del Signore” (Is 2,3)
Il profeta Isaia oggi ci mette sulle labbra un invito che è anche una promessa: «Venite, saliamo sul monte del Signore… Egli ci indicherà le sue vie e noi cammineremo per i suoi sentieri».
È bello leggere queste parole pensando a voi, volontari e volontarie di tante realtà diverse: Caritas, associazioni, gruppi di ispirazione cristiana e laica, servizi alla persona, al mondo della disabilità, ai migranti, ai malati, ai giovani in difficoltà, alle famiglie ferite…
Quante strade percorrete ogni giorno, spesso in silenzio, dentro i quartieri di Vicenza e della diocesi, nelle case, negli ospedali, nei centri di ascolto, nelle carceri, nei luoghi del disagio! Oggi il Signore vi raduna qui, “sul monte del Signore”: non per togliervi dal mondo, ma per ridarvi una direzione, una luce, una parola che rilegga la vostra fatica quotidiana.
Isaia sogna un mondo in cui le spade diventano aratri e le lance si trasformano in falci. È l’immagine forte di un disarmo che non è solo militare, ma anche interiore, sociale, culturale.
Potremmo domandarci, nel silenzio della coscienza:
quali sono oggi le spade che feriscono la convivenza nella nostra città?
quali lance penetrano i tessuti fragili delle famiglie, dei giovani, dei poveri?
quali parole, quali atteggiamenti, quali indifferenze diventano armi che escludono, isolano, umiliano?
Il volontariato, vissuto in profondità, è proprio questo: l’arte lenta e paziente di trasformare “spade” in “aratri”, di cambiare strumenti di difesa o di aggressione in strumenti che coltivano, che fanno crescere, che preparano il futuro.
Quando ascoltate, invece di giudicare; quando offrite tempo, invece di accumulare solo per voi; quando vi mettete accanto a chi è scartato, invece di voltare lo sguardo altrove…
state già realizzando la profezia di Isaia. State dicendo, con i fatti: un altro modo di vivere insieme è possibile.
In questo Giubileo della Speranza, la Chiesa vi guarda con riconoscenza: voi siete una delle prove che la speranza non è un’idea astratta, ma una pratica quotidiana, concreta, visibile.
“È ormai tempo di svegliarvi dal sonno” (Rm 13,11)
San Paolo, nella seconda lettura, usa parole che ci scuotono: «È ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché ora la salvezza è più vicina di quando diventammo credenti».
Il sonno di cui parla l’Apostolo non è quello necessario e buono del riposo. È piuttosto quel torpore interiore in cui si può scivolare quasi senza accorgersene: il sonno dell’abitudine, del “si è sempre fatto così”, il sonno della rassegnazione, del “tanto non cambia niente”, il sonno della stanchezza che diventa cinismo.
Anche nel mondo del volontariato questo rischio esiste. Si può continuare a fare del bene, ma senza più una vera gioia. Si può servire, ma con un cuore appesantito dalla delusione o dall’isolamento. Si può essere in tanti progetti, ma con la sensazione di non arrivare mai al cuore delle persone.
Paolo invece ci ricorda che il tempo in cui viviamo non è un tempo qualsiasi: è un’ora decisiva. «La notte è avanzata, il giorno è vicino».
Non è difficile riconoscere le “opere delle tenebre” nel nostro contesto: la violenza crescente nelle parole e nei gesti; la paura dell’altro che diventa chiusura; la fatica delle famiglie a reggere il peso economico e affettivo; la solitudine degli anziani; la confusione di tanti giovani che non trovano un senso.
Paolo non ci chiede di puntare il dito contro le tenebre. Ci chiede piuttosto di rivestirci, di lasciare che sia un Altro a darci il vestito giusto per questo tempo: «Rivestitevi del Signore Gesù Cristo».
Che cosa significa, concretamente, per un volontario, “rivestirsi di Cristo”? Forse possiamo dirlo così:
lasciare che sia il Vangelo a purificare le nostre motivazioni, perché il servizio non diventi bisogno di sentirci buoni o indispensabili;
riconoscere che non siamo noi i salvatori di nessuno: siamo solo compagni di strada, poveri con i poveri;
imparare lo stile di Gesù, che non si è imposto con la forza, ma si è chinato, ha ascoltato, ha toccato le ferite, ha dato tempo e non solo cose.
Rivestirsi di Cristo significa anche custodire momenti di silenzio, di preghiera, di ascolto della Parola, perché la sorgente non si prosciughi. Il volontariato senza una sorgente interiore, lentamente, si consuma. Con Cristo, invece, può rinnovarsi, maturare, cambiare anche forme, ma rimanere fedele alla radice: l’amore.
Un Giubileo di speranza: dono e responsabilità
In Cattedrale, oggi, la Chiesa di Vicenza, attraverso il vostro volto, impara ancora una volta che la speranza è una realtà “in carne e ossa”: sono gli sguardi, le mani, le storie, i nomi delle persone che incontrate e servite.
Mi piace pensare che il salmo che abbiamo pregato («Quale gioia quando mi dissero: “Andremo alla casa del Signore”») sia la voce di tante persone che, grazie al vostro servizio, hanno riscoperto che esiste ancora una “casa” per loro: una casa fatta di ascolto, di accoglienza, di qualcuno che non giudica, ma accompagna.
Fratelli e sorelle, volontari e volontarie, riprendiamo il cammino con queste parole nel cuore: «Venite, camminiamo nella luce del Signore». È il Signore stesso che ci precede, ci accompagna e ci attende. Amen.