Omelia per le esequie di don Filippo Bolzan S. Cuore di Schio, 10 novembre 2025

Omelia per le esequie di don Filippo Bolzan
S. Cuore di Schio, 10 novembre 2025

Letture: Dn 12,1-3; Sal 41-42; Lc 12,35-40)

Carissimi fratelli e sorelle,

oggi la Parola di Dio ci invita a leggere nella fede il mistero della morte di don Filippo, un uomo di Dio che ha attraversato il tempo come un discepolo vigilante, con la lampada accesa, nell’attesa del Signore che viene.

“In quel tempo sorgerà Michele, il gran principe… molti di quelli che dormono nella polvere si risveglieranno” (Dn 12,1-3)

Il profeta Daniele ci introduce nel linguaggio della speranza. La sua parola nasce in un tempo di oppressione, quando tutto sembrava perduto. Eppure egli osa dire che la morte non è l’ultima parola. «Molti di quelli che dormono nella polvere si risveglieranno»: è il primo annuncio biblico della risurrezione dei morti, la certezza che Dio non dimentica nessuna delle sue creature.

Questa promessa illumina la vita di don Filippo: ottantotto anni vissuti come un servizio paziente e nascosto, a volte in luoghi piccoli e periferici, ma con lo sguardo fisso su Dio, sorgente della vita. Anche nei momenti più umili del suo ministero — da vicario a San Carlo e a Olmo di Creazzo, da parroco a Castana, da insegnante di religione, da cappellano nella casa di riposo — egli ha custodito la speranza che ogni seme gettato, anche quello invisibile, avrebbe trovato la sua primavera in Dio.

Daniele aggiunge: “I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento”. Non parla di eroi, ma di “saggi”: uomini che hanno vissuto con sapienza, cioè con un cuore docile al Signore.
Don Filippo appartiene a questa stirpe: uomo interiormente libero, non ha cercato la visibilità, ma la fedeltà; non ha costruito per sé, ma per gli altri soprattutto i poveri. La sua sapienza è stata quella del seminatore: l’intuizione semplice e feconda del campeggio di Olmo, che ha fatto crescere generazioni di ragazzi nella fraternità e nella fede, ne è un segno eloquente.

 

“L’anima mia ha sete del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?” (Sal 41-42)

Questo salmo è il grido dell’uomo credente di fronte al mistero del tempo e della morte: la nostalgia di Dio. È la sete che attraversa tutta la vita e che, alla fine, diventa invocazione pura.

Possiamo immaginare don Filippo ripetere in silenzio questa preghiera nei giorni sereni e in quelli della prova, specialmente negli anni della fragilità e della malattia, che ha affrontato con serenità presso la comunità del Novello quando il ministero si è trasformato in offerta. Il servizio nella casa di riposo di Montebello deve avergli insegnato a contemplare la vita come un passaggio, a vedere nel volto dei malati il volto di Cristo sofferente e paziente.

Ora quella sete trova compimento. Non più sete di Dio, ma incontro con Lui. Il volto tanto cercato nella preghiera e nell’Eucaristia ora si fa visione, luce, comunione piena.

 

“Siate pronti, con le lampade accese” (Lc 12,35-40)

Gesù ci parla della vigilanza: non come di un atteggiamento di paura, ma come di un’attesa amorosa. Il servo fedele è colui che, quando il padrone ritorna, è ancora sveglio, ancora in servizio, ancora fiducioso.

Questo è il ritratto del prete che abbiamo conosciuto: discreto, fedele, sobrio nello stile di vita, originale in alcuni tratti del ministero.

Non uno che si è stancato del Vangelo o di essere presbitero, ma che ha saputo rimanere al suo posto fino alla fine, con la lampada accesa, anche quando la fiamma era piccola e fragile.

La parabola ci svela anche la sorpresa finale: il Signore che ritorna si cinge le vesti e serve Lui i suoi servi. È il capovolgimento evangelico: chi ha servito, sarà servito; chi ha dato, riceverà in abbondanza; chi ha vegliato, sarà accolto nella gioia.

 

Conclusione: il servo fedele e prudente

In questa liturgia, noi non celebriamo soltanto la morte di don Filippo: celebriamo la fedeltà di Dio. È Lui che ha guidato i passi del suo servo, che lo ha sostenuto nei giorni luminosi e in quelli oscuri. Ora, questa è la nostra preghiera, come un padre pieno di misericordia Dio gli corra incontro come al figlio che ritorna.

La vita di don Filippo ci insegna che la vera fecondità del ministero non si misura dai numeri, ma dalla disponibilità quotidiana, dallo sguardo buono, dalla fedeltà silenziosa.
E mentre lo accompagniamo con la preghiera, facciamo nostre le parole del salmo: «Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio».

Don Filippo ha cercato questa sorgente per tutta la vita. Ora, conclusa la vita terrena, è stato immerso per sempre in quella sorgente.

E noi, che ancora camminiamo, siamo invitati ad accogliere la sapienza dell’attesa, la gioia del servizio, la fiducia nella promessa: che un giorno anche per noi il Signore possa dire — come desideriamo che dica per lui —: “Bene, servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore”.

+ vescovo Giuliano