Canoniche per la comunità

Esperienze positive per le strutture rimaste senza preti residenti

La canonica è uno dei luoghi simbolo in una parrocchia. È la “casa del prete” uno dei riferimenti per i fedeli (e non solo) di una comunità. Ad oggi, 144 canoniche in diocesi sono senza parroco residente. È un fatto che, da tempo, si è reso inevitabile con il progressivo calo del numero di presbiteri, un fatto metabolizzato con sofferenza e difficoltà dalle singole comunità, perché chiede un profondo ripensamento del modo di essere chiesa e di vivere la propria responsabilità ecclesiale.

A tale riguardo le singole comunità hanno camminato e stanno maturando una nuova consapevolezza. In questo cammino di discernimento e di crescita s’inserisce anche la scelta della destinazione delle canoniche non più residenza dei parroci. «È importante – ci dice il Vicario generale mons. Lodovico Furian – che la decisione sia assunta dalla singola parrocchia e per questo va dato tempo. Non c’è una soluzione scontata, né tanto meno che cala dall’alto, anche se le singole decisioni vedono comunque sempre il coinvolgimento della Diocesi». In molte situazioni (almeno una cinquantina) questi edifici erano già usati anche come luoghi d’incontro per le attività parrocchiali. «Si tratta di situazioni – spiega mons. Furian – dove non ci sono altri spazi di aggregazione e dove la parrocchia ha bisogno di un punto fisico di ritrovo. In questi casi la canonica rimane a disposizione della comunità per le sue necessità pastorali ed educative».

Ci sono poi gli edifici inagibili. Sono più di trenta. In questo caso il problema è primariamente economico. «Per ristrutturare queste case – osserva Furian – servono, spesso, ingenti risorse economiche che le comunità non hanno. Su questo, in particolare, si sta facendo una valutazione puntuale, caso per caso, disponibili a considerare le soluzioni più diverse. Può anche accadere che la parrocchia decida di vendere l’immobile, anche se non è una cosa facile visto che spesso si tratta di edifici in posizione non particolarmente appetibile».


La richiesta che si riscontra, comunque, nella gran parte delle comunità è che questi edifici siano un luogo vivo, utile alla comunità o comunque un segno di carità della chiesa locale nei confronti delle situazioni più bisognose. «In genere c’è una buona disponibilità da parte di gran parte dei parrocchiani a pensare a usi diversi per questi luoghi. È importante però – conclude il Vicario generale – che siano destinati a qualcosa che non risulti estraneo alla parrocchia, allo spirito che la anima».

La lettera di Natale del Vescovo è in questa prospettiva un messaggio netto che rafforza una direzione e offre ulteriori elementi per continuare un cammino che diventa di per sé un segno chiaro di uno stile di testimonianza e di condivisione per le nostre comunità ecclesiali in questo tempo difficile di crisi per molte famiglie.
 

Lauro Paoletto
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25 CANONICHE GIA’ DESTINATE, PER ALTRE E’ IN ATTO UN DISCERNIMENTO DA PARTE DELLA PARROCCHIA  
 
Si avvicina il Natale. Ma il Signore che viene ad abitare in mezzo a noi, soprattutto tra i poveri e gli esclusi, dove troverà alloggio se essi non hanno più casa?
La Lettera natalizia del Vescovo Beniamino Pizziol diffusa in questi giorni sollecita a prendere in considerazione proprio la situazione dei sempre più numerosi vicentini per i quali “non c’è posto nell’alloggio” e, poi, chiede alle parrocchie, agli ordini e alle congregazioni religiose di “fare un serio esame di coscienza sull’uso dei beni, degli ambienti, degli spazi che possiedono”. Nella nostra diocesi, questa riflessione è in atto da tempo, eppure mons. Pizziol invita a intensificarla.

Circa il 40 per cento delle parrocchie è entrato a far parte di Unità pastorali, lasciando 144 canoniche senza parroco residente: 33 di queste sono chiuse perché inagibili e 51 sono utilizzate abitualmente per le attività pastorali delle singole comunità cristiane. Delle 60 rimanenti, già 25 sono state date in uso a famiglie, associazioni e servizi di prossimità, comunità di suore… mentre per le altre è in atto un discernimento per definirne la destinazione.

Per tutte le canoniche assegnate, l’iter è stato pressappoco quello narrato da don Diego Zaupa, arciprete dell’Unità Pastorale Roncà-Terrossa: «Innanzitutto abbiamo discusso la proposta in Consiglio Pastorale e successivamente riflettuto in Assemblea parrocchiale. Quindi abbiamo sentito il parere del Consiglio per gli affari economici e chiesto l’autorizzazione al Vescovo, che ha garantito l’accompagnamento del Vicario Generale e dell’Economo diocesano».

La canonica di Terrossa, dal 1° gennaio 2013, è abitata dai coniugi Donata e Marcellino Dalla Chiusa, assieme ai loro 2 bambini e ad altri “figli” in affido, tre in modo stabile e uno in modo saltuario. Fanno parte della Comunità Papa Giovanni XXIII e la loro casa famiglia ha anche un nome: “Santa Chiara”.

«Il rapporto con la parrocchia è ottimo – spiega don Diego Zaupa -. I ragazzi del catechismo e  i giovani dei gruppi visitano la casa famiglia periodicamente e ci sono pure alcuni adulti che vanno a prestare piccoli servizi di supporto alla vita familiare. E’ un bel segno di prossimità vissuto nella fede».

L’esperienza di dare casa a una famiglia riguarda anche la canonica della parrocchia di Santa Maria Ausiliatrice a Vicenza, dov’è parroco don Alberto Baron Toaldo della Pia Società San Gaetano.

«Questa – racconta – era la zona di azione del nostro fondatore don Ottorino Zanon, quand’era cappellano di Araceli e la parrocchia dell’Ausiliatrice non era ancora stata eretta. Visto il legame storico e affettivo con questo territorio in cui abbiamo la nostra Casa madre e il nostro Istituto, nel 1992 la Diocesi di Vicenza decise di affidarla alla nostra cura. La canonica è rimasta libera quando la Congregazione ha chiesto a me e a don Guido Massignan, parroco in solido, di tornare ad abitare nell’Istituto per rafforzare la vita della comunità religiosa. Allora ci siamo detti che non era moralmente giustificato tenerla vuota, specie con tutte le necessità che ci sono in questo momento».

Così da maggio 2013, mentre al pianterreno dell’ex canonica continuano a trovare posto la sala per gli incontri e l’ufficio del parroco, il piano superiore è diventato un alloggio per una famiglia che si è assunta l’incarico di custodire i locali parrocchiali e la chiesa.

«Si tratta di un nucleo composto da papà, mamma e tre figli – informa don Alberto -. Sono cattolici di origine bosniaca e professano la fede con molto fervore. Prestano il loro servizio alla parrocchia come una vera e propria vocazione: sono una presenza viva e offrono a tutti un bell’esempio di dedizione e disponibilità».

Per la canonica di Cresole è stata decisa una molteplicità di destinazioni, dopo che la parrocchia è entrata a far parte dell’Unità Pastorale di Rettorgole, dove da un paio di mesi è parroco don Simone Stocco.

«A Cresole i locali sono ripartiti tra quattro esperienze diverse – illustra don Simone -. Innanzitutto ci sono due servizi pubblici garantiti da Ulss e Comune di Caldogno: lo Spuma Get (Gruppo Educativo Territoriale), che è un centro diurno per persone disabili, e un doposcuola per ragazzi con difficoltà di apprendimento gestito da uno psicoterapeuta. La canonica, inoltre, ospita una famiglia composta da un genitore anziano e una figlia disabile. Infine accoglie una comunità di religiose: le Figlie di Nazareth, che qui hanno gli alloggi e una cappellina. Si tratta di tre suore di nazionalità indiana che da circa 8 anni sono a completa disposizione della vita parrocchiale: si occupano della sacrestia e della liturgia, visitano i malati, si dedicano al catechismo».

«E’ una cosa positiva e buona – riflette don Simone Stocco -. Ma la convivenza con la comunità cristiana non deve mai essere mai data per scontata. Una volta concessa in uso la struttura, non si può procedere per inerzia: la comunità cristiana va continuamente motivata e accompagnata ad accogliere nel proprio vissuto ognuna di queste esperienze. Proprio là dove ci sono situazioni di difficoltà, bisogna aiutare i fedeli a capire che la comunità diventa cristiana nel momento in cui sostiene, accompagna, mette a disposizione ciò che ha».


Nel discernimento per la destinazione delle canoniche non più abitate dai preti, l’en plein spetta all’Unità Pastorale Riviera di Vicenza. Don Giuseppe Pasquale e don Diego Castagna, i due parroci in solido, risiedono in quella di Longara, ma per le altre quattro, cioè quelle di Campedello, Debba, Santa Croce Bigolina e San Pietro Intrigogna, non è stato difficile trovare un’immediata destinazione.

A Campedello hanno trovato casa le attività del gruppo di auto mutuo aiuto della Caritas Diocesana “Davide & Golia” rivolto a persone con disagio mentale; a Debba già dal 2000 si è insediata una comunità delle Piccole Sorelle del Vangelo che oggi conta cinque religiose; a Santa Croce Bigolina la canonica è divenuta la sede della Caritas interparrocchiale, con tutti i suoi servizi; infine, a San Pier Intrigogna da tre anni vive una famiglia “missionaria” appartenente all’organizzazione Operazione Mato Grosso.

«San Pietro è un posto meraviglioso – conferma don Diego Castagna -.  E’ una striscia di terra delimitata dagli argini dei fiumi Tesina e Bacchiglione. Un sussurro di campagna a pochi chilometri dalla città. La famiglia di Andrea e Anna Losi, con i loro tre bambini, è arrivata nella canonica di San Pietro Intrigogna direttamente dall’Ecuador, dov’era stata in missione. Così oggi questa è diventata “una canonica in missione”, dove si pratica l’operazione “Porte aperte”, in quanto la famiglia accoglie volentieri i giovani che desiderano conoscere la realtà dell’OMG e confrontarsi su questioni che riguardano la missione».

Con la comunità parrocchiale i Losi condividono  una dimensione familiare della vita: «Ci sono dei vicini che hanno stretto un bellissimo rapporto con loro».

 
Luca de Marzi