don Torresin alla Scuola del Lunedì

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La registrazione dell’intervento di don Antonio Torresin andrà in onda su Radio Oreb  (FM 90.2 e streaming web):

– sabato 3 marzo 2018 alle ore 9 DISCERNIMENTO E CONSIGLI ECCLESIALI DI PARTECIPAZIONE   Don Antonio Torresin, parroco di S. Vito al Giambellino – Milano   Vicenza, Centro “Mons. Arnoldo Onisto”, 26 febbraio 2018     Don Antonio ha iniziato il suo intervento affermando che gli strumenti di discernimento comune devono favorire un lavoro fatto insieme e non dalle singole persone. Infatti, questo è il senso della sinodalità (= camminare insieme). Si tratta, però, di un innesto difficile, perché inserisce una pratica comunitaria in una struttura gerarchica ancora, di fatto, piramidale. Tale comportamento risale al Concilio di Trento (1545-1563), la cui riorganizzazione della Chiesa ha funzionato bene in questi secoli al punto da faticare, oggi, a mettere mano ad una nuova organizzazione ispirata al Concilio Vaticano II. L’assise conciliare trentina ha avuto dei grandi meriti, come l’attenzione al bene delle anime (che rimane valida), ma chiede, ai nostri giorni, un suo superamento alla luce della realtà contemporanea. Oggi la sinodalità ed il discernimento dovrebbero portare a cambiare l’immagine ed il senso della comunità cristiana. Non a caso papa Francesco parla di conversione pastorale in ordine alla evangelizzazione. Un secondo punto toccato dal relatore riguarda il discernimento comunitario quale strumento per realizzare l’ecclesiologia del Vaticano II. Citando il documento della Commissione teologica internazionale “Il sensus fidei nella vita della Chiesa” (2014), don Antonio ha sottolineato come il sensus fidei è presente nel popolo di Dio ed aiuta a determinare e a discernere la volontà divina. Richiamando alcuni numeri del documento (78 – 121 – 125) ha evidenziato come la sinodalità sia creazione del consenso senza del quale non si cammina; come la recezione delle novità della storia, da parte del popolo di Dio, chieda una sintonia con la Tradizione ecclesiale senza cadere nell’immobilismo. Dentro questa fatica un ruolo importante lo ricopre chi ha delle responsabilità a vari livelli, chiamato ad una consultazione paziente, attenta, sincera. Evitare tale impegno significa favorire la debolezza nel governo della comunità, alla guida della quale una persona è stata chiamata. E’ curioso ricordare che, nel Medioevo, la sensibilità sinodale era più sviluppata di oggi come testimonia la massima del Diritto romano, tenuta in considerazione, che recita: “Quod omnes tangit ab omnibus tractari et approbari debet” (Quello che riguarda tutti, deve essere trattato e approvato da tutti). Alla luce di quanto detto, è possibile cogliere meglio il nesso tra sensus fidei e consensus fidelium. Un terzo punto della relazione ha cercato, con un esempio concreto, di precisare meglio quanto affermato prima. Don Antonio ha fatto riferimento ai due sinodi dei vescovi sulla famiglia tenutisi a Roma nel 2014 e nel 2015, i cui risultati sono contenuti nell’esortazione apostolica “Amoris laetitia” (2016). Si tratta di un prototipo di un modo di funzionamento del discernimento comunitario, una novità rispetto alle assisi sinodali precedenti sempre fortemente influenzate dalla logica gerarchica piramidale. Papa Francesco, nella decisione di convocare queste assemblee con uno spirito nuovo, ha manifestato coraggio e determinazione, visto che la scelta del tema era rischiosa e non scontata. Il relatore, facendo riferimento al pensiero del teologo Giuseppe Ruggieri, ha affermato che il sinodo è uno strumento della Chiesa per rispondere ai problemi del tempo presente, sugli esempi narrati dagli Atti degli Apostoli (cap. 6 l’istituzione dei sette e cap. 15 il cosiddetto Concilio di Gerusalemme). I due sinodi hanno avuto tempi prolungati, necessari per elaborare scelte e decisioni condivise, ed hanno prodotto un documento finale, che chiede una autentica recezione, pena diventare lettera morta. Il relatore si è, quindi, soffermato ad analizzare il comportamento del Pontefice durante i lavori dei sinodi. Francesco ha parlato con franchezza, ascoltato con umiltà, proposto delle catechesi sulla famiglia, rilanciato il tema con l’esortazione apostolica finale. Circa la “Amoris laetitia”, va detto che il Papa ha recepito il messaggio giuntogli dall’assemblea sinodale, vi ha messo un proprio contributo ed ha cercato dei punti di incontro sulle questioni rimaste aperte. Questa modalità di procedere ha determinato, una volta pubblicato il documento conclusivo, una recezione, che ha avuto risvolti diversi nelle varie realtà locali. Riprendendo il pensiero di Ruggieri, don Antonio ha ricordato che lo stile sinodale si identifica con il modo di presentare ed intendere la Chiesa, convocata da Cristo per ripensare la pastorale, dove per pastorale s’intende la lettura del Vangelo nel discernimento nella storia. Un rischio da evitare è relativo alla distinzione tra discernimento pastorale e dottrinale, la quale non ha ragione di esistere, poiché le due realtà necessitano l’una dell’altra. In passato, c’era la convinzione che la verità era chiara ed andata semplicemente applicata; oggi, invece, c’è la consapevolezza che il Vangelo è criterio di discernimento nell’attualità della storia. Il tema del discernimento comunitario chiede anche un ripensamento dell’autorità nella Chiesa. Essa è chiamata ad ascoltare il popolo di Dio per poi fare sintesi e giungere ad una decisione. Un prete torinese, don Giovanni Ferretti, nel suo libro “Essere prete oggi” (Elledici 2017) scrive che l’origine del termine autorità porta a considerare il concetto di far spuntare qualcosa di nuovo. Quindi, l’autorità è chiamata a generare, portare all’esistenza, far crescere gli altri; è colei che dà voce all’altro. Secondo questa prospettiva e nella riflessione sul discernimento comunitario, l’autorità cerca di promuovere i soggetti e di trovare un punto d’accordo possibile tra le differenti posizioni. Ciò comporta il non puntare sull’efficienza, ma sul paziente coinvolgimento di tutti, sulla promozione di tutti i soggetti interessati. A questo punto, don Antonio ha citato un altro autorevole autore, padre Ghislain Lafont, il quale parla del modello sinodale come dialogo, che richiede la capacità di ascoltare e parlare. Precisando il suo pensiero, il monaco francese afferma, con grande acume, prendendo come riferimenti le figure del prete e del laico, che il prete deve allenarsi nel parlare ad ascoltare, mentre il laico nell’ascoltare a parlare. Una sottolineatura che merita molta attenzione, perché descrive una realtà nuova che la Chiesa non può ignorare. Il discernimento pastorale verso dove sta andando? La risposta alla domanda sta nella presa di coscienza che la comunità cristiana (parrocchia o diocesi), procedendo per inerzia (= secondo una vita programmata), necessita di individuare e stabilire una scala di priorità, visto che fare tutto non è possibile, che la porti a fare il bene possibile, concentrandosi su una scelta precisa da elaborare nel tempo in fedeltà al Vangelo qui ed ora. Il relatore ha concluso la sua relazione con un esempio, offrendo alcune indicazioni tecniche circa l’organizzazione di una riunione del Consiglio pastorale parrocchiale. Innanzitutto, va scelto un tema e tale scelta va fatta dal parroco assieme ad altre persone. Poi c’è la preparazione insieme della riunione, durante la quale predisporre il materiale da inviare, prima dell’incontro, a tutti i membri per favorirne la partecipazione attiva. L’ordine del giorno non comporti mai più di due temi da trattare. L’incontro inizi con un tempo di preghiera per invocare la presenza e l’azione dello Spirito Santo. L’introduzione del parroco o di altra persona sia breve e chiara. Durante la riunione è opportuno equilibrare gli interventi di tutti al fine di facilitare la partecipazione di tutti. Al termine, non necessariamente devono essere prese delle decisioni, che potrebbero chiedere ulteriore riflessione e confronto. Un dato importante da tenere sempre presente riguarda il clima con cui vivere questa esperienza di Chiesa. Essa deve caratterizzarsi per umanità, spiritualità, vivacità, arricchimento reciproco, responsabilità: senza questi elementi sarà difficile rinnovare gli organismi ecclesiali di partecipazione come anche rendere attraente una comunità cristiana. La partecipazione dovrebbe portare ad una crescita nella fede in Dio e nell’amore per la Chiesa.   Massimo Pozzer  

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