Il vescovo Giuliano ai 3 nuovi diaconi e al nuovo sacerdote: “Le vostre vite dicono che lo Spirito non conosce confini”
Omelia nella solennità dell’Immacolata con le ordinazioni diaconali e presbiterale
Cattedrale, 8 dicembre 2025
Letture: Gen 3,9-15.20; Sal 97; Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26-38
Fratelli e sorelle, celebriamo Maria Immacolata, il sì puro e totale dell’umanità al progetto di Dio. E, dentro a questa liturgia, la Chiesa ci dona la grazia di vedere maturare quattro vocazioni: Emanuele, del nostro nuovo Seminario insieme con le diocesi di Adria-Rovigo, Chioggia e Padova; fra Joseph e padre Benon, originari dell’Uganda, Servi di Maria; Rosario, originario di Villabate, dei Padri Teatini.
In loro oggi vediamo all’opera lo Spirito che plasma una Chiesa sempre più a immagine di Maria, come ci ha ricordato il Concilio Vaticano II: una Chiesa che, guardando a lei, impara a essere in ascolto, povera, serva, segno di comunione e di pace. Fissando lo sguardo su Maria Immacolata possiamo raccogliere tre sottolineature che introducono alle ordinazioni diaconali e presbiterale: 1) Maria, nuova Eva, nel cuore della storia ferita. 2) Maria, “immacolata nell’amore”, volto della Chiesa che sogniamo. 3) Maria, scuola di vita per i nostri fratelli che oggi vengono ordinati.
Maria, nuova Eva nel cuore della storia ferita
La prima lettura ci porta nel giardino delle origini. Non è solo un racconto del passato: è lo specchio di ogni nostra storia personale e comunitaria. Dio cerca l’uomo e la donna e domanda: «Dove sei?». È la grande domanda di Dio all’umanità di ogni tempo: dove sei? Dove sono finiti il tuo cuore, i tuoi desideri, i tuoi legami?
L’uomo si nasconde, accusa, si difende. In mezzo a questo gioco di paure e sospetti, Dio non si ritira. Pronuncia parole severe sul male, ma nello stesso tempo apre una promessa: nel cuore della storia ferita ci sarà una discendenza, un figlio, una donna; tra la donna e il serpente vi sarà inimicizia, e il male non avrà l’ultima parola (Gen 3,15).
La festa dell’Immacolata ci fa contemplare il volto di questa donna: Maria. In lei, sin dal primo istante della sua esistenza, Dio mostra cosa sogna per ogni creatura: una vita non schiacciata dal male, non prigioniera della paura, ma libera per amare. Maria è la prima che vive pienamente il Vangelo della Grazia: tutto in lei è risposta, ma una risposta resa possibile dalla iniziativa di Dio.
In un mondo attraversato da guerre, violenze, divisioni, dal grido della terra e dei poveri, l’Immacolata non è una figura “fuori dalla storia”, ma il segno che dentro la nostra storia ferita è già cominciato qualcosa di nuovo. La vittoria sul male non è un sogno ingenuo – come qualcuno pensa -, ma ha un nome e un volto: Gesù. E Maria è la “terra buona” da cui questo seme è sbocciato.
Maria, “immacolata nell’amore”, volto della Chiesa che sogniamo
San Paolo, nella lettera agli Efesini, ci ha consegnato parole altissime: «In Cristo ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (Ef 1,4). Non sta parlando solo di Maria, ma di tutti noi.
Maria è la prima realizzazione di questo progetto, la “primizia” della Chiesa.
Il Concilio Vaticano II, in Lumen gentium, ci invita a contemplarla come la figura della Chiesa nel suo compimento: ciò che Maria è già, la Chiesa è chiamata a diventarlo; ciò che in Maria è pienamente realizzato, in noi è ancora in cammino.
Immacolata non significa lontana, irraggiungibile, ma “tutta abitata dalla grazia”. È una persona che si lascia tessere da Dio. Per questo il salmo invita: «Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie» (Sal 97). La meraviglia più grande non è un miracolo spettacolare, ma un cuore umano diventato trasparente a Dio.
E qui la Parola si incrocia con la nostra storia di Chiesa di Vicenza e con la vita dei Servi di Maria e dei Teatini. Nella presenza dei Servi al Santuario di Monte Berico, che ogni giorno ascoltano le pene e le speranze di tanti pellegrini, vediamo una Chiesa che si lascia raggiungere dal grido del popolo, come Maria che “si alza e va in fretta” da Elisabetta. Nella comunità di Santa Maria del Cengio e nella loro custodia del creato riconosciamo una Chiesa che riscopre la propria responsabilità verso la terra, Casa comune affidata alle nostre mani.
Nel carisma dei Teatini, nati dalla passione di San Gaetano Thiene per la riforma spirituale della Chiesa nel tempo della crisi, riconosciamo il bisogno sempre attuale di un rinnovamento tutto animato dallo Spirito che parta dal cuore dei ministri ordinati, dalla loro vita di fede, dalla loro fraternità e dalla loro carità.
Tutte queste realtà carismatiche, insieme al cammino sinodale della nostra Chiesa diocesana, ci ricordano che non esiste una Chiesa “perfetta”, ma una Chiesa che, guardando a Maria, impara a essere più povera, libera da sicurezze mondane; più serva, capace di chinarsi sulle ferite degli uomini; più sinodale, in ascolto dello Spirito e di tutti i fratelli; più segno di comunione, riconciliazione e pace in un mondo attraversato da muri e diffidenze.
Maria, scuola di vita per padre Benon, Emanuele, Joseph, Rosario
Il Vangelo dell’Annunciazione è la “scuola” nella quale oggi vengono accolti i nostri fratelli. In quella casa di Nazaret, piccola e periferica, Dio entra con passo discreto e pronuncia il suo saluto: «Rallegrati, piena di grazia…».
L’annuncio non cade su un terreno passivo. Maria ascolta, si turba, domanda, cerca di capire: «Come avverrà questo?». Ma, alla fine, si apre alla Parola che sola è in grado di reggere tutta la sua esistenza: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola» (Lc 1,38).
Carissimi padre Benon, Emanuele, Joseph, Rosario, oggi la Chiesa pronuncia il vostro nome dentro questo “eccomi” di Maria.
A te, padre Benon e a te fra Joseph, religiosi Servi di Maria, il Signore chiede di intrecciare ancora più profondamente la vostra vita con quella di questa Chiesa e di questa terra. Venite da lontano, dall’Uganda, e proprio per questo siete un dono prezioso: ricordate a noi, che rischiamo talvolta di chiuderci nei nostri confini, che la Chiesa è cattolica, che parla tutte le lingue, che porta nel cuore tutti i popoli. Nel vostro ministero al Santuario di Monte Berico e laddove il Signore vorrà destinarvi, nella vita fraterna e nella custodia del creato al Cengio, fate risplendere il volto di una Chiesa che accoglie, consola, accompagna, che indica Maria come Madre di misericordia. Il diaconato e il presbiterato vi configurano a Cristo Servo e Buon Pastore: lasciate che la vostra parola, il vostro sguardo, i vostri gesti siano un riflesso della tenerezza di Dio.
A te, Emanuele, figlio della nostra Chiesa di Vicenza, è affidato il ministero diaconale come primo grande passo verso il presbiterato. Diacono significa servo. Sarai servitore della Parola, dell’Eucaristia, dei poveri. A contatto con le nostre comunità, con le loro fatiche e le loro attese, ti è chiesto di essere un segno concreto di una Chiesa che non sta al centro della scena, ma che si mette a fianco, che ascolta, che si fa prossima a tutti.
A te, Rosario, figlio della Sicilia e membro della famiglia dei Teatini, lo Spirito affida il servizio diaconale sulle orme di San Gaetano Thiene. La sua passione per la riforma spirituale della Chiesa ti interpella direttamente: oggi, in un tempo in cui il ministero ordinato è talvolta affaticato, contestato, povero di numeri, tu sei chiamato a ricordare che la vera riforma nasce da cuori che si lasciano plasmare dal Vangelo, da ministri che vivono la fiducia nella Provvidenza, la sobrietà, la vicinanza ai poveri. Il tuo diaconato sia un segno concreto di questa Chiesa che si lascia rinnovare alla scuola dei santi.
Con voi quattro, noi tutti e l’intera Chiesa di Vicenza, canta oggi un piccolo “magnificat”: Dio ha guardato la piccolezza dei suoi servi e continua a fare grandi cose. Le vostre vite dicono che lo Spirito non conosce confini. Mentre nel mondo crescono muri, guerre, sospetti, oggi questa liturgia ci mostra una fraternità possibile: molti carismi, un’unica Chiesa, un solo Spirito. È questo il segno che il mondo si aspetta da noi: non strutture perfette, ma comunità che custodiscono la comunione in un mondo assetato di giustizia e di pace.
Affidiamo questi nostri fratelli e il loro cammino all’abbraccio di Maria, Madonna di Monte Berico, Immacolata Madre della Chiesa. Lei, che ha detto il suo “eccomi” senza condizioni, insegni anche a noi, ogni giorno, a dire il nostro piccolo “eccomi” nelle situazioni concrete alle quali il Signore ci manda.
E mentre tra poco li vedremo prostrarsi a terra e poi rialzarsi come diaconi e presbitero della Chiesa, chiediamo che lo Spirito Santo scenda su di loro e su di noi, perché, guardando a Maria, possiamo diventare davvero una Chiesa che canta, con la vita: «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente, e santo è il suo nome».