Intervista a Mons. Adelio Pasqualotto, il vicentino vescovo di Napo che ha celebrato la messa solenne dell’8 settembre

 
Monsignor Adelio Pasqualotto, vicentino di Novoledo, è vescovo del vicariato apostolico di Napo, un territorio in Ecuador, vasto e disperso nell’oriente amazzonico, solcato dagli affluenti che scendono dai ghiacciai perenni di montagne vulcaniche alte anche 6.000 metri. Gli abitanti sono oltre 120.000, i sacerdoti locali nove, a cui si aggiungono una quindicina di missionari Giuseppini, sparsi in 19 ampie zone che contano ciascuna dai 30 ai 40 villaggi. La frammentazione è tanta, la severità del clima e delle piogge che di tanto in tanto spazzano via strade e collegamenti è ancora più marcata.
Nei giorni scorsi il vescovo vicentino Pasqualotto, della famiglia dei Giuseppini del Murialdo, ha fatto tappa a Villaverla, nella casa di mamma Gina e dei fratelli. Ha incontrato il vescovo di Vicenza Beniamino Pizziol e con lui ha celebrato la messa solenne dell’8 settembre nella Basilica di Monte Berico.
 
Mons. Pasqualotto qual è lo stato di salute della Chiesa che dallo scorso mese di marzo le è stata affidata come Vescovo?
  «È una Chiesa austera, poverissima, missionaria e per questo non è diocesi, ma vicariato apostolico. Si lavora molto con i laici e con le religiose di sette congregazioni, tra le quali le Dorotee di santa Bertilla, attive fin dal 1922, quando, chiamate dal primo vescovo giuseppino Emilio Cecco, dovettero vestirsi da “donna comune” per ingannare i duri controlli del tempo. L’attività di evangelizzazione passa soprattutto attraverso l’educazione e l’impegno per opere sociali e sanitarie. Non ci sono più i collegi divisi tra maschi e femmine che proponevano una formazione scolastica al mattino e professionale al pomeriggio e che ha forgiato generazioni di uomini e donne. Resistono invece le scuole cattoliche, dall’infanzia all’università, tre ospedali sostenuti direttamente dal vicariato, sei centri missionari ed una struttura di accoglienza con 90 ragazzi disabili seguiti da 40 operatori».
 
Come viene conciliato il lavoro di evangelizzazione e l’opera di promozione umana e sociale?
  «Al centro sta sempre la persona e l’insegnamento di Gesù Cristo. Cerchiamo di essere semplici, di tenere le strutture che servono e di incontrare la gente.    
  Viviamo tutti “alla buona”, senza pretese che non possiamo permetterci, cercando soprattutto di stare bene e di vivere con gioia. Ce ne vuole di pazienza e di tempo… Nella costa e nella cordigliera andina centrale dell’Ecuador si può vivere e lavorare, seppure con difficoltà. L’Amazzonia è massacrata: dal clima, dai pochi mezzi, e per i collegamenti difficili. A volte non rimane che la radio e dobbiamo farci carico di garantire a tutti le pile di alimentazione, perché la corrente elettrica non c’è dappertutto. In prospettiva dovremo occuparci della famiglia: a motivo del lavoro, per esempio nei pozzi di petrolio, i maschi lasciano i villaggi per lunghi periodi e tornano in famiglia con alle spalle settimane di lavoro, e non solo. L’azione sociale e di evangelizzazione impegna molti: i catechisti, i preti e le suore che li seguono, il vescovo che li incontra, li visita e coordina l’azione pastorale».
 
La visita recente di papa Francesco in Ecuador ha riscaldato i cuori. Ci racconti qualcosa.
  «La visita del Papa non ha previsto tappe nelle zone amazzoniche. Tanta gente del mio vicariato è partita con 23 pullman per raggiungere Quito, la capitale, e tornare dopo una settimana. Il Governo si è prodigato, aprendo strade che da oltre tre mesi erano bloccate, le città hanno interrotto le azioni di protesta e di sciopero. Anche il tempo ha dato tregua e una mano provvidenziale: qui piove ogni giorno, ma per quella settimana questo non è avvenuto. Papa Francesco ha celebrato e visitato alcuni luoghi e centri di aiuto, lasciando la traccia del suo inconfondibile stile e messaggio nel segno della povertà e della essenzialità. La sua visita ha riempito di entusiasmo e ha rappresentato una animazione importante che ha reso più fruttuoso il nostro lavoro missionario di evangelizzazione».

Il suo stemma episcopale dice chiaramente l’attaccamento alla terra vicentina. Perché questa scelta?
  «Sono nato a Novoledo 65 anni fa e ho conservato sempre buoni ricordi e legami con il paese e con la famiglia. Nel mio stemma c’è il richiamo alla mia congregazione religiosa dei Giuseppini, fondata da san Leonardo Murialdo. In un riquadro il riferimento è all’Amazzonia, dove sono in missione da 1991, dopo essere stato per  21 anni in Messico.  L’essere vicentino mi ha portato ad inserire nello stemma la facciata della chiesa di Novoledo dove sono stato battezzato, le iniziali dei miei genitori Angelo e Gina, le fornaci di Villaverla che ricordano il lavoro, e alcuni richiami alla zona delle risorgive del “Bosco” e ai monti dell’Alto Vicentino. Infine, è riprodotta l’immagine della Madonna di Monte Berico, la tanto amata Madre della Misericordia che, in questo momento attuale, ci ricorda il Giubileo della Misericordia chiesto e voluto da papa Francesco».
 
Michele Pasqualetto
 
 
Articolo da La Voce dei Berici di questa settimana