La vera miseria è non vivere da figli di Dio e da fratelli di Gesù

Cammino di Quaresima attraverso i commenti al Messaggio del Papa

Il Messaggio di papa Francesco per la Quaresima 2014 è come un “incendio” che scocca da una scintilla. La scintilla è un versetto della Seconda lettera ai Corinti: Si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà (8,9)». Dopo aver evidenziato “La prima fiammata” accesa da questa scintilla (vedi il commento per la Prima settimana di Quaresima), don Matteo Pasinato passa a indicarne una seconda.
  

LA SECONDA FIAMMATA

Davanti al Cristo Povero il papa accende una seconda fiammata, e questa riguarda la nostra testimonianza. Papa Francesco usa qui una delle sue immagini efficaci: la nostra vera e sola miseria è non vivere da figli di Dio e da fratelli di Gesù. Questa immagine è molto profonda, perché finora il papa aveva parlato del Povero (Gesù), e nella seconda parte si sposta lentamente su un’altra parola: misero. Povero e misero non sono semplicemente sinonimi. La nostra vera miseria è il rifiuto del Povero. Senza il Povero e senza la povertà non ci resta che la miseria.
        
Meditando la seconda parte del Messaggio troviamo un passaggio quasi brutale da Cristo a noi: questa via della povertà è solo di Cristo? Noi (cristiani) partiamo solamente da questa povertà, e poi continuiamo usando dei mezzi ricchi? No!, dice il papa, Cristo continua a farsi Povero nei sacramenti, Povero nella Parola, Povero nella Chiesa, Povero in un popolo di poveri. Se usciamo da questo stile, se non scegliamo la povertà che è sempre e ovunque il Suo stile, non ci resta che dichiarare la nostra miseria. Sembra un paradosso: siamo sempre più miseri perché non scegliamo il Povero e la sua povertà.
        
Qui sta una delle idee semplici ed efficaci a cui ci sta abituando papa Francesco col suo linguaggio. Povertà e miseria non sono la stessa cosa. La povertà riguarda i mezzi, la miseria riguarda la speranza. Misero è chi è povero di fiducia, povero di speranza, povero di solidarietà. Il nostro mondo che è sempre meno povero, in realtà è sempre più misero. Abbiamo i mezzi ma ci manca la fiducia, la speranza e la solidarietà. E poi il papa distingue tre miserie:
       
        1. La miseria materiale: quella che è indegna della condizione umana. Ci sono molti che vivono al di sotto di un livello umano. C’è qui un punto radicale. Molti vivono al di sotto dell’umano perché pochi vivono al di sopra dell’umano. Mancanza di diritti, mancanza di cibo, di acqua, di lavoro, di crescita culturale. Non sono solo mancanze ma privazioni. Qualcosa che è negato, che è tolto, che è rubato prima ancora che ogni uomo ne entri in possesso. E la Chiesa non può offrire solo il suo servizio, il papa chiede un «impegno… in modo che cessino nel mondo le violazioni della dignità umana, le discriminazioni e i soprusi». La carità non è la sola riposta che abbiamo alla povertà. Abbiamo anche un’altra risposta: la nostra povertà, perché il potere, il lusso, il denaro… diventano idoli. Guai chi li tocca! Sono sacri! Sono più sacri di Dio e sono più sacri dell’uomo.

La povertà apre a un nuovo stile: un’equa distribuzione delle ricchezze, le coscienze che si convertono alla giustizia, all’uguaglianza, alla sobrietà, alla condivisione. Il papa non prende queste parole da qualche ideologia economica o politica. Sono uno stile che appartiene al cristiano in quanto è di Cristo e come Cristo (cfr. LG 8). Alcuni anni fa il teologo Leonardo Boff parlava di alcuni passaggi: da una Chiesa per i poveri, a una Chiesa con i poveri, infine ad una Chiesa povera. È miseria materiale quella di chi manca del giusto ed è miseria materiale quella di chi manca di giustizia. Queste due miserie guariscono attraverso la povertà.
       
        2. La miseria morale: è quella miseria della condizione umana schiava, miseria che toglie letteralmente la vita (suicidio incipiente), o perché giochiamo la vita nel rischio o perché la mancanza di mezzi ci fa ritirare dalla gara. La miseria morale è una vita che gioca fino a impazzire e sballare, ma anche un uscire dal gioco perché non c’è più speranza. Si toglie la vita chi ha troppo e si toglie la vita chi non ha nulla. L’uomo muore per indigestione e muore per fame. E la colpa sembra essere della morte. Solo la povertà della vita ci frenerà dalla morte per miseria.
       
        3. Infine la miseria spirituale: è l’ultima miseria (papa Benedetto l’avrebbe messa per prima, papa Francesco la mette per ultima… anche questo è uno stile!), è la miseria di chi si priva di Dio, si priva dell’amore suo. È la miseria di chi basta a se stesso, e pensa, e dice che non c’è alcuna miseria… c’è solo un po’ di crisi, ma passerà!♦  ♦  ♦Papa Francesco, nominata per ultima la miseria spirituale, si ferma. Dopo che le sue parole ci hanno accompagnato, qui vuole che ci fermiamo. Perché qui papa Francesco chiama in causa il vangelo. «Il vero antidoto contro la miseria spirituale» è il vangelo. La notizia buona che Dio ama è come l’ultimo punto fermo che ci resta. Se perdiamo anche questo non resta che la miseria assoluta: non c’è più nulla di buono. Nemmeno Dio, nemmeno il vangelo, nemmeno una notizia buona. Questa ultima parte è come un colpo allo stomaco ai cristiani: e noi? Siamo «avvolti nel buio» proprio come tutti gli altri? Che sia il tempo di accendere qualche piccola luce, anziché parlare continuamente delle tenebre? Che sia il tempo di cominciare a farci poveri di lamentele sul mondo e ricchi di vangelo? Che sia il tempo di farci più poveri di lezioni impartite e più ricchi di testimonianza offerta?
        
La quaresima è un tempo adatto per la «spoliazione». Svestire, togliere un costume, spogliare… e io, e noi, che cosa possiamo togliere in questa quaresima? Togliere a me… arricchire qualcuno. Il papa non dice cosa fare, ma che questo è il tempo per farlo. E chiude con una sincerità molto onesta: «la vera povertà duole». La povertà ci fa male… non è a buon mercato. La povertà è costosa, perché toglie il male facendoci male. Ma dobbiamo pur decidere se tenerci il male (restando ricchi) a buon mercato o stare tutti meglio a caro prezzo, quello della povertà.Don Matteo Pasinato
teologo,
direttore dell’Ufficio della Pastorale sociale e del lavoro