Le relazioni al centro del “Secondo Annuncio”: esse determinano ciò che siamo

Intervista a Don Giovanni Casarotto

 
Da qualche anno un gruppo di persone impegnate nell’ambito dell’evangelizzazione si ritrova per una settimana di laboratorio a S. Cesarea Terme in Puglia, dove si vive l’ascolto di alcune esperienze scelte, l’approfondimento di alcuni esperti invitati ad aiutare a far tesoro di quanto ascoltato, il lavoro in gruppo per riconoscere gli atteggiamenti, i suggerimenti e ciò di cui far tesoro.

Le diverse soglie di vita che possono aprire e custodire l’annuncio di Cristo costituiscono il tema del laboratorio di ogni anno. A S. Cesarea per il “Progetto secondo annuncio” quest’anno al centro dei lavori sono state le relazioni: “Legarsi, lasciarsi, essere lasciati, ricominciare”. Circa 160 persone hanno lavorato a partire da alcune esperienze di vita che sono state narrate. Don Giovanni Casarotto, direttore dell’Ufficio diocesano per l’evangelizzazione e la catechesi, ha partecipato all’appuntamento con Nicola. Lo abbiamo sentito per un   bilancio sull’esperienza.

«Perché la centralità delle relazioni?»
«Le relazioni fanno parte di noi e determinano molto di ciò che siamo. Riconoscere che la nostra vita, nella sua normalità, è il luogo nel quale annunciare la gioia di essere cristiani e luogo in cui si riapre un nuovo  cammino di fede… non è scontato».
 
Cos’è il “Progetto secondo annuncio”?
«Il Progetto appare come una sfida e una nuova possibilità per riconoscere e annunciare il Vangelo oggi. Siamo cresciuti in un ambiente segnato dalla fede cristiana, ma l’abitudine e il disinteresse non ci fanno più sentire che esso sia Buona Notizia. Abbiamo già ricevuto il primo annuncio della fede, c’è un “secondo primo annuncio” che può rimetterci in cammino a partire dalla vita.
Non si tratta di inventare attività nuove, ma di saper vivere le occasioni in cui l’esistenza di ciascuno svela o richiede una parola di Vangelo».
 
I lavori sono stati caratterizzati da una serie di laboratori. Qual era il loro scopo?
«Lo scopo era quello di fissare gli elementi più significativi (le luci di posizione), l’annuncio di Vangelo che viene offerto ai soggetti e il coinvolgimento della comunità cristiana. Si tratta di lasciarsi coinvolgere per riconoscere come il Vangelo annunciato e vissuto diventa nuovamente annuncio che rigenera la vita dei discepoli di Cristo».
 
Su quali contributi avete lavorato?
«Don Giuseppe Laiti e fra Enzo Biemmi hanno aperto la settimana con un chiarimento di cosa significhi il secondo annuncio. Laiti ha riflettuto su «La misericordia: Dio fa i conti con la storia». La misericordia è l’arte di Dio di legare amore, giustizia e la condizione umana concreta. Così l’annuncio del Vangelo ha una storia e avviene in una storia: il modo di vivere di Gesù è annuncio dell’amore di Dio che diventa la vita dei discepoli lungo i secoli. La vita di Gesù racconta all’umanità il volto vicino e accogliente di Dio, non una distanza da colmare o un giudice da temere. La misericordia non è un buonismo, ma lo sforzo di recuperare l’ingiustizia alla giustizia, non con imposizioni, ma facendosi compagni di viaggio. In questo spirito e in sintonia con il Vaticano II, la pastorale si fa attenta ai soggetti per vivere e far risuonare la misericordia di Dio. Il secondo annuncio vive di misericordia: l’amore è la sua forza creativa e abita la vita dell’uomo per vivere l’amore di Dio. Quale fede è possibile oggi? Quella che nasce dall’incontro con l’amore inedito di Dio che è presente nella vita».
 
E l’intervento di Biemmi cos’ha evidenziato?
«Ha richiamato il senso del secondo annuncio, sottolineando il tentativo di sostenere l’esistenza con la parola del Vangelo e di far vivere nel quotidiano la Buona Notizia: è un lavoro d’artigianato che impegna diversi ambiti, creatività e competenze. L’ascolto della vita è ciò che permette di accogliere il Vangelo».
 
Altri interventi stimolanti?
«Quello di Giuseppe Savagnone. Con «I legami nella cultura del provvisorio», ha descritto il clima contemporaneo in cui pensiamo d’essere liberi e che sia sufficiente per noi essere ‘liberi da’. Mancano oggi la libertà ‘di’, ‘per’ e ‘con’. La famiglia è il luogo principale in cui è possibile tornare a vivere la ‘libertà con’ che domanda responsabilità e reciprocità nella logica del dono di sé.
C’è stata poi Lidia Maggi, pastora della chiesa Battista che ha percorso i legami presenti nella Bibbia arrivando ad affermare che per la Bibbia, “niente tiene”. La storia è segnata dalla fragilità e dalla debolezza e ogni relazione è a rischio di corrompersi e di finire. La Bibbia più che narrare le imprese di Dio, racconta il “ricominciare” che Dio offre con la sua Parola. Ancora, c’è stato Andrea Grillo che ha offerto una presentazione di «Amoris lætitia», usando l’immagine di un menù per descriverne la composizione e dando uno sguardo aperto proprio con la rilettura fatta con gli occhiali dell’Amoris Laetitia al sacramento del matrimonio e al ripensamento di alcune pratiche pastorali».
 
Cosa ancora da evidenziare dell’esperienza?
«Non possiamo dimenticare la voce di alcune testimonianze che è stata la novità dell’edizione 2016: don Saulo Sarabattoli, parroco, cappellano del carcere femminile di Perugia e chiamato da papa Francesco a partecipare al recente Sinodo sulla famiglia e il “nostro” don Dario Vivian (teologo della nostra Diocesi) per l’accompagnamento delle persone omosessuali nel cammino di fede.
È stata una settimana ricca di spunti proprio a partire dalla struttura utilizzata, non quella del convegno ma di un laboratorio, di un processo che coinvolge tutti i partecipanti nella vita del quotidiano per essere annuncio del Vangelo».