Mamma Rosa: dieci anni dalla beatificazione

Una Santa di famiglia

Dieci anni fa, il 6 novembre 2005, fu una giornata di pioggia torrenziale, ma ciò non impedì che la cattedrale di Vicenza fosse stracolma di persone, venute per partecipare alla beatificazione di Mamma Rosa, la prima volta che un simile rito veniva compiuto non già a Roma, ma nella diocesi di appartenenza della nuova beata.

In un certo senso era un ritorno all’antico, poiché inizialmente, e per quasi tutto il primo millennio, il culto dei santi e dei beati procedeva, per così dire, dal basso verso l’alto. Erano i fedeli e le chiese locali che onoravano i propri membri più esemplari, specialmente i martiri: la vox populi precedeva l’approvazione da parte dell’autorità ecclesiastica. Poi nel secondo millennio la Santa Sede aveva riservato sempre più a sé stessa il procedimento per riconoscere i nuovi santi e il loro culto. Ora per le beatificazioni questo compito, sempre su delega papale, è affidato al vescovo del luogo e così sarà in futuro.

Questa indubbiamente è una valorizzazione del vescovo diocesano, voluta da papa Benedetto XVI, che così anticipava quello che papa Francesco sta facendo e ha più volte affermato: «È necessaria una sana “decentralizzazione” nella guida e nel governo della chiesa universale.

Dall’omelia pronunciata il 6 novembre 2005 da mons. Cesare Nosiglia, attingiamo la frase che «santi si diventa in famiglia».

È questo, infatti, l’elemento caratteristico della vita di Mamma Rosa e della sua spiritualità. Non ha compiuto gesti eclatanti, non ha fondato un nuovo ordine religioso, non è andata a predicare il Vangelo in terre lontane.

Nata nel 1866 e morta nel 1932, Eurosia Fabris Barban, conosciuta da tutti come Mamma Rosa, è sempre rimasta nella sua casa, attenta ai figli, ai nipoti, al suo sposo. Certo, era anche attiva in parrocchia come catechista e partecipava con assoluta fedeltà alla messa quotidiana, e a tutte le altre iniziative pastorali che vi si svolgevano.

È vissuta in tempi non facili, di grande povertà. La fine del secolo XIX ha visto una forte emigrazione dalle nostre campagne verso il Sud America. Anche un fratello di Mamma Rosa se ne andò per più di 30 anni laggiù, per cercare fortuna. Inoltre, gli anni della guerra 1915-1918 furono per le famiglie di allora un periodo di prova durissima e Mamma Rosa, pur nella sua povertà, non si tirò indietro, ospitando i profughi che scappavano dall’altipiano di Asiago e cercavano rifugio nella pianura sottostante.

Si racconta che un giorno Mamma Rosa accolse una famigliola che aspettava la nascita di un bambino: e il parto avvenne proprio nell’alloggio di fortuna procurato da Mamma Rosa, che prestò premurosamente l’assistenza necessaria alla giovane mamma: le sembrava di ospitare la Sacra Famiglia pellegrina e nelle pecore, che quei profughi si portavano dietro, vedeva le pecorelle attorno a Gesù Bambino!

L’esempio di Mamma Rosa spinge tutti noi a prendere consapevolezza che siamo chiamati alla santità: non è una parola esagerata, è la vocazione che riceviamo nel battesimo, cioè di conformare la nostra vita al modello che Gesù ci propone nelle Beatitudini. Oggi più che mai la testimonianza di una famiglia cristiana è decisiva sia per la trasmissione e l’educazione della fede ai figli, sia per la costruzione di una società civile solidale e onesta, anzi una società che tenda verso la «civiltà dell’amore», come esortava Paolo VI.

Per fare memoria del decennale e ringraziare del dono di Mamma Rosa, la parrocchia di Marola propone al santuario Mamma Rosa per questo fine settimana alcuni significativi appuntamenti.  Venerdì 6 novembre alle ore 19, messa e quindi alle 20.30 “Pregare cantando” con i cori dell’Unità pastorale. Sabato 7 novembre alle 18.30 celebrazione della messa e alle 20.30 preghiera con adorazione eucaristica per la famiglia. Domenica 8 novembre, messa presieduta dal cardinale Velasio De Paolis.

Luigi Dal Lago

Articolo da La Voce dei Berici di questa settimana