Misericordiosi come il Padre (8): Suor Carolina, dal Congo per vivere tra noi l’amore del Signore

 
Riprendiamo oggi le testimonianze sulla misericordia e lo facciamo con l’esperienza di suor  Carolina Minela Fioti, una suora congolese della congregazione delle Suore delle poverelle che abita a Vicenza, nella comunità “Santa Lucia”. Ecco il racconto del nostro incontro e la sua testimonianza.

Ho incontrato sr. Carolina il mercoledì santo, nella mattinata, sulla fiducia accordata a chi me l’ha indicata come persona con una bella esperienza di misericordia da presentarmi, ma è stato ben più di una testimonianza.

Suor Carolina, quando sei arrivata in Italia?
La prima volta sono venuta in Italia per due settimane, per prepararmi alla professione solenne. Ormai sono passati 16 anni. Dovevo venire per un periodo più lungo, ma ci sono stati problemi con il mio passaporto… la Provvidenza, però, mi ha permesso di venire in Italia.

Che cosa ti ha colpita dell’Italia?
Ho potuto visitare solo qualche nostra comunità, per vedere e conoscere alcune sorelle anziane. Non ho visitato molto, ma mi ha colpita una suora anziana che, vedendomi, ha esclamato “Ma che bella gioventù. Possiamo vivere insieme?”.

Allora sei rimasta in Italia?
No, la mia vocazione è nata e cresciuta in Congo. L’Italia è arrivata dopo… Non pensavo nemmeno che sarei venuta in Italia.
Quand’ero giovane ho partecipato al gruppo vocazionale “Giovani della luce”, ma quando ho iniziato il percorso avevo appena perso improvvisamente entrambi i miei genitori. Dio per me era amore, ma era anche ingiusto in quel momento. Mio fratello maggiore si prodigava per tutti noi e riusciva a non farci mancare nulla. Noi sette fratelli lo aiutavamo in tutti i modi, ma lui era davvero speciale.
Ricordo che dopo un anno di percorso vocazionale sono riuscita a condividere con gli altri ragazzi del gruppo che per me Dio era diventato amabile.
In quel periodo c’erano due situazioni che mi colpivano in modo particolare: i bambini denutriti e gli anziani. Ricordo che mi davo da fare in tutti i modi per trovare vestiti, cibo… per loro.
La mia vocazione è nata così, in un contesto di povertà, non grave come oggi, dove vedevo tante necessità… Grazie alla mia mammache raccontava della vocazione alla vita matrimoniale e alla vita consacrata, come scelte di amore. Sentivo che la vita religiosa era per me, anche se lei non mi diceva nulla di particolare. Sentivo questo e vedevo le suore della parrocchia che si donavano completamente.
Anche i genitori sono chiamati a essere una testimonianza per i figli. E poi la Parola di Dio, in modo particolare Matteo 25…

Spesso si racconta che in alcune culture è molto difficile fare scelte di consacrazione. Anche per te è stato così?
La mia famiglia è cattolica e praticante. Abbiamo imparato a pregare con i nostri genitori e sempre loro ci hanno insegnato a condividere quello che avevamo. Anche quando era poco.
Quando ho deciso di entrare in convento, temevo che mio fratello maggiore si opponesse. Invece no, ma per la nostra cultura dovevo chiedere il permesso alla zia, essendo già morti i miei genitori. Lei si è opposta per tre volte. Poi ha visto la mia paziente perseveranza  e mi ha detto “è la strada di Dio, allora ti lascio andare”.
Ho fatto un’esperienza di due anni, poi il noviziato e poi la prima professione.
Appena sono diventata suora mi è stato chiesto di andare a fare servizio in un centro ospedaliero con oltre 200 persone denutrite. Lì ho ritrovato ancora la mano di Dio nella mia vita.
Insomma, le opere di misericordia che ti attiravano prima di iniziare il percorso con le suore, hanno segnalato la presenza di Dio nella tua vita…
Sì, quando vedevo le suore in ospedale mi dicevo “sarò anch’io come loro”. Aiutare i bambini denutriti e gli anziani africani, cioè quando hanno 60 anni non come in Europa, mi sembrava così importante…

Perché una suora africana che vive in un paese così povero decide di venire in Italia?
Come dicevo prima, sono stata un paio di settimane in Italia prima della professione perpetua, ma poi sono tornata in Congo. Parlando con la mia superiora generale ho detto che il gran numero di suore anziane italiane mi aveva profondamente colpita. Dopo alcuni anni, mi è stato ricordato quello che avevo notato in Italia e mi è stata chiesta la disponibilità per venire in Italia. Così sono arrivata nella comunità di Camisano Vicentino, dove sono rimasta diversi anni, poi sono stata un paio d’anni vicino a Bergamo e ora sono a Vicenza dallo scorso Natale. In queste comunità mi sono sempre occupata delle sorelle anziane. Qui a Vicenza ne ho 29…una ultrecentenaria, l’altra poco più giovane… Quando sono entrata in convento mio fratello maggiore mi ha detto che loro sarebbero state le mie sorelle, come quelle che avevo avuto in casa fino a quel momento, e che avrei continuato a vivere con lo stesso amore con cui avevo vissuto in famiglia…
Il fatto che mi ha aiutata a rispondere positivamente alla proposta di venire in Italia è legato alle morti di sei nostre sorelle. Durante l’epidemia di ebola che ha duramente colpito anche la città dove sono nata, le nostre suore sono morte per aiutare in tutti i modi la mia gente. Davanti a questa scelta mi sono detta che in Italia ci sono tante suore anziane e noi africane, più giovani, possiamo aiutare le sorelle anziane.
Così il Signore si è fatto presente, permettendomi di occuparmi anche degli anziani.

Suor Carolina, cosa significa per te essere misericordiosa?
Per me è un’esperienza legata alla quotidianità. Significa chiedere scusa, perdonare, dire “sono qui con voi e per voi”… Significa anche saper amare e condividere, farsi vicino, esserci con attenzione.
 
Nella tua vita hai fatto tante esperienze di Dio, ce n’è una in particolare che ti ha colpita perché misericordiosa?
E’ un fatto che ho vissuto durante la tesi in infermieristica. Ho saputo per caso di un ragazzo che non aveva proseguito gli studi per problemi economici. Io non potevo aiutarlo direttamente, ma mi sono fidata delle intuizioni che il Signore mi ha donato e, grazie soprattutto  alla mia superiora e ad un sacerdote, siamo riusciti a far laureare questo ragazzo. E’ stata un’esperienza di misericordia perché c’è stato l’ascolto delle persone, ma anche del cuore di Dio; ci sono state attenzione, condivisione, disponibilità…
Quel ragazzo diventando infermiere, a sua volta, sta aiutando altre persone e porta lui stesso la misericordia di Dio, con la sua vita, nella vita di altre persone.

Il grande sorriso di sr. Carolina racconta di una donna piena di vita, che davvero ha incontrato la misericordia di Dio e ci invita a non guardare solo a noi stessi, ma “dobbiamo guardare tutto il mondo. Io aiuto qui e qualcuno aiuta là”, come ha detto lei stessa.

Naike Monique Borgo