Omelia del Vescovo Beniamino ai funerali di mons. Giulio Cattin

(Vicenza, Cattedrale, 4 dicembre 2014)

 
La liturgia della Chiesa aveva appena iniziato il tempo dell’Avvento quando è giunta la notizia della morte di mons. Giulio Cattin.

Per lui si è concluso il tempo dell’attesa ed è arrivato quello del compimento, dell’incontro personale con Dio, Padre buono e misericordioso. Non canterà più con noi il “Rorate caeli desuper et nubes pluant justum” (Mandate la rugiada, o cieli, e le nubi piovano il Giusto), ma canterà il “Te Deum” dicendo “Aeterna fac cum sanctis tuis in gloria numerari” (Concedimi di essere accolto insieme ai tuoi santi nella gloria eterna).

La nostra Diocesi, con il Vescovo, il presbiterio e il Seminario, ricordano con riconoscenza e gratitudine il ministero pastorale di don Giulio, svolto come insegnante nel Seminario diocesano e in vari altri incarichi, e la sua attività accademica nel campo della musica sacra come docente nelle università di Pisa e Padova.

In questi anni avevo intessuto con lui un rapporto profondo, anche se sobrio, di amicizia; lo incontravo quasi ogni settimana in Seminario durante il pranzo. Alcune volte mi comunicava le sue ansie e preoccupazioni in ordine alla salute e al ministero pastorale, così singolare e così prezioso per la Diocesi e la Città, nella chiesa del co-patrono S. Vincenzo in Piazza dei signori.

In questo momento di affettuosa memoria e di dolore per la sua morte, ci è di sicuro conforto la Parola di Dio che abbiamo ascoltato. Contempliamo insieme la visione dell’apostolo Giovanni, narrata nel libro dell’Apocalisse. Appare la città di Gerusalemme, la città santa e amata, che si erge sul colle di Sion, dove abita il Signore. In questo luogo sacro si trova il Cristo – Agnello, morto e risorto, giudice della storia e portatore della salvezza. Accanto a Cristo c’è un gruppo di persone segnate dal sigillo, che portano sulla fronte il nome dell’Agnello e del Padre. Queste persone rappresentano il piccolo resto di Israele e non si limitano ad una facile sequela dell’Agnello, ma lo seguono dovunque vada, fino alla morte. Costoro sono in grado di ascoltare “il canto nuovo” che nel cielo risuona con voce potente davanti al trono di Dio e all’Agnello, ma sono anche in grado di cantare con gioia e trasmettere agli altri la bellezza della novità di Cristo. Questa liturgia del cielo è già in svolgimento, qui in terra, nella liturgia della Chiesa. S. Ignazio di Antiochia affermava: “il canto è la sinfonia della carità” e invitava i cristiani “a formare un solo corpo prendendo tutti la nota da Dio e così egli riconoscerà dalle vostre opere che voi siete il canto del suo Figlio”.

Don Giulio si è dedicato, per incarico del Vescovo di allora, alla musica, alla bellezza della liturgia della Chiesa, perché fosse anticipo e pregustazione della liturgia del cielo. Per lui la musica non era soltanto realtà sonora, captabile e sfuggente, ma un farsi storico. La musica come un’eco impercettibile della voce di Dio, che vuole comunicarsi all’uomo.

Per alcuni anni (dal 1974 al 1978) è stato chiamato dall’Università di Pisa a insegnare storia della liturgia, primo incarico per tale disciplina nelle università statali; dal 1978 al 2001 è stato docente di storia della musica all’Università di Padova e dal 1988 coordinatore delle attività culturali della Fondazione Ugo e Olga Levi di Venezia.

Ora don Giulio è stato chiamato a partecipare alla liturgia del cielo, dove si realizzerà quanto abbiamo espresso nel ritornello del salmo: “Canterò per sempre l’amore del Signore”. Lo stesso salmo 94, che abbiamo proclamato, è un inno di origine liturgica, posto ancor oggi in apertura al culto ebraico e a quello cristiano; è un “iniziare cantando”.

Nel vangelo di Matteo abbiamo ascoltato la narrazione dell’ultima cena di Gesù con i suoi discepoli. La novità di questo pasto, sia esso pasquale o festivo, sta nelle parole di commento di Gesù sul pane e sul calice del vino. Il Signore annuncia con semplicità e chiarezza che il pane spezzato e condiviso è il suo corpo e perciò l’invito alla commensabilità si traduce nella decisione di condividere il destino della sua persona. Così pure le parole sul calice del vino illuminano il significato dell’espressione “sangue dell’alleanza”. La morte violenta di Gesù sanziona l’alleanza definitiva. Come il “servo del Signore” egli dà la sua vita per la moltitudine degli uomini, ottenendo ad essi il perdono dei peccati. E quindi il calice condiviso è segno profetico della sua morte. L’ultima cena di Gesù, in forza del valore salvifico della sua morte, anticipa e prefigura la piena e gioiosa comunione di vita con lui e con il Padre suo. Per 63 anni don Giulio ha celebrato l’Eucaristia, vale a dire il sacramento della morte e della risurrezione di Gesù. Per un prete la S. Messa è tutto: è il pane che dà forza, l’appuntamento quotidiano atteso che dà senso al faticare, al soffrire, al morire, il sostegno nelle esperienze di amarezza e di delusione. L’Eucaristia è sosta del cuore in preghiera, è supplica e pianto, è conforto e speranza. L’Eucaristia fa della vita del prete un corpo donato e un sangue versato. L’Eucaristia, atto di amore supremo di Gesù per la sua Chiesa e per il mondo, è posto nelle mani povere, deboli e tremanti del prete, che deve dire con Gesù: “Questo è il mio corpo donato……questo il mio sangue versato”.

L’evangelista Matteo narra che questo pasto di Gesù con i suoi discepoli si conclude con il canto dell’inno, unico elemento che ricorda il suo carattere pasquale, come succede nel rituale della cena pasquale ebraica, che prevede, in canto, la seconda parte del Hallel, i salmi 115-118. Anche da questo particolare si comprende bene che il canto liturgico è un “luogo teologico” ed è elemento fondamentale dell’intera azione liturgica.

Don Giulio è stato uno studioso appassionato ed un promotore intelligente della musica e del canto liturgico, passione ereditata dal suo maestro, mons. Ernesto Dalla Libera, che lo salutò scherzosamente “Ave, Magister” dopo averlo sentito cantare, qui in Cattedrale, “Incipit lamentatio Jeremiae Prophetae”. Passione e competenza riconosciute dal Pontificio Istituto di Musica Sacra con il conferimento del dottorato “honoris causa in studiis bene modulandi peritus”.

Un ultimo pensiero di riconoscenza e di gratitudine desidero rivolgere al compianto fratello don Giulio per il suo prezioso servizio di insegnante di latino e greco in Seminario. Come ricorda un suo collega sacerdote “lo fece un po’ contratto, ma con virtù e impegno, perché sapeva di educare i futuri preti. Gli alunni lo ricordano rigoroso nel metodo, severo nell’esigere. Spesso si alzava in piedi, il libro in mano, il dito sopra il passo. Tentava con il mento di entrare dentro l’intendimento dell’alunno. Talora soddisfatto della accoglienza, più spesso con il sorriso della rassegnazione”.

Nel rito del congedo canteremo: “In paradiso ti accolgano i martiri e ti conducano nella santa Gerusalemme”. La Vergine Santa, la nostra Madonna di Monte Berico, che tu hai tanto amato, ti accolga e ti conduca a Gesù, che ha detto: “Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se morto, vivrà; e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno”. E tu, dal paradiso, continua a intercedere per la nostra Diocesi, per la nostra Città; intercedi presso il Signore, affinché porti a buon frutto la vocazione dei nostri seminaristi e faccia fruttare il seme di vocazioni sacerdotali, religiose e alla vita matrimoniale. Amen.

 

† Beniamino Pizziol

Vescovo di Vicenza