OMELIA PER LE ESEQUIE DI STEFANO GHELLER

Il rito è stato presieduto dal vescovo Beniamino Pizziol, emerito di Vicenza

Da quattro anni c’eravamo abituati a vedere, nei giornali o alla televisione, il volto amico di Stefano Gheller, con il  respiratore artificiale, che portava ormai da 14 anni.

Stefano, insieme ai suoi cari, si era accorto di essere affetto dalla distrofia muscolare fin dall’età di 15 anni, quando aveva avvertito fatica nel camminare, nel correre, nel salire le scale.

Da allora, la maggior parte della sua vita è trascorsa in una sedia a rotelle, assistendo a una lenta ma progressiva limitazione della propria autonomia fisica.

Nei primi anni dalla comparsa della malattia, la cura da parte del papà, della mamma e della sorella Cristina, la vicinanza di tanti amici e dei compagni di scuola avevano reso sostenibile il decorso della sua malattia.

Ha vissuto questo periodo con serenità, circondato da affetto e simpatia, prendendosi cura della sua formazione culturale e sviluppando interessi per la musica, i concerti, il tutto, però, racchiuso nell’ambito della vita familiare.

Dal 2019 ha deciso di uscire da questa riservatezza per rendere pubblica e manifesta la sua malattia, pensando alle numerose altre persone che, in modi diversi, vivevano situazioni simili.

A partire da quella decisione è iniziata la nostra amicizia, i nostri incontri e il nostro dialogo, improntati sul rispetto reciproco, nonostante una visione diversa sul senso del dolore e della morte.

Sul senso della vita c’era grande consonanza.

Stefano amava la vita, era circondato da tanti amici, con i quali amava trascorrere del tempo all’aria aperta, e anche attraverso il computer, che sapeva usare con destrezza, riusciva a dialogare con tante persone, confidare i suoi progetti, i suoi sogni e anche le sue delusioni.

La sua casa era diventata un luogo di incontri, di riflessioni e di confronto. Lo hanno visitato persone del mondo religioso, politico, sanitario, civile, associativo.

Gli ho fatto visita più volte, ma la visita che più mi è rimasta impressa è quella compiuta insieme ad altri tre vescovi della Conferenza Episcopale del Triveneto.

Abbiamo ascoltato quanto Stefano aveva messo per iscritto e che ci aveva pregato di consegnare a Papa Francesco.

Abbiamo dialogato in sincerità di cuore e di mente.

In questi anni Stefano, con i suoi interventi, ci ha sollecitati a riflettere sul senso della vita, della sofferenza, della morte.                          A noi oggi riuniti in questa chiesa, per dare l’ultimo saluto a questo comune amico, sono stati offerti due testi delle Sacre Scritture.

La parabola del “Buon Samaritano”, narrata da Gesù, che troviamo nel Vangelo secondo Luca, ci insegna come dobbiamo comportarci quando nel nostro cammino ci incontriamo con un fratello o una sorella che sono feriti dalla vita, a causa di malattia, incidenti, violenza, guerra.

Nella parabola, della persona ferita non sappiamo niente, né perché è ridotto in quella condizione, nè conosciamo a quale popolo appartenga, se sia credente o non credente: è una persona ferita, che corre il rischio di morire, questa è la realtà fondamentale.

Diverso è il comportamento di coloro che passano per quella stessa strada e vedono quest’uomo mezzo morto.

Due di loro, tra l’altro appartenenti agli addetti al culto del tempio, lo vedono e passano oltre.

Solo una persona che proviene dalla Samaria, un samaritano, un commerciante, prova compassione per quell’uomo ferito e moribondo, gli si avvicina, gli presta, diremo oggi, un primo soccorso, poi lo carica sulla sua cavalcatura e lo porta in un luogo dove può essere curato, medicato e risanato.

In questo momento sento di ringraziare tutti coloro che si sono fermati, che hanno trovato il tempo, i modi per farsi vicini al nostro amico Stefano.

C’è stata una notevole convergenza di persone, a partire dalla sorella Cristina, dalla collaboratrice familiare, i condomini, i parroci della comunità cristiana, gli amici e poi i responsabili dell’amministrazione comunale, della Regione, dell’ULSS pedemontana, delle associazioni e del volontariato.

L’altro testo biblico che abbiamo proclamato come prima lettura, appartiene alla lettera dell’apostolo Paolo ai cristiani di Roma.

L’apostolo ci ricorda il nostro Battesimo, inizio del nostro cammino di fede.

Il Battesimo ci innesta, ci inserisce nel mistero di Cristo, nella sua morte e nella sua resurrezione.

Il nostro fratello Stefano è stato battezzato, si è formato nella comunità cristiana.

Lungo il corso della vita, la fede può attenuarsi, a volte, oscurarsi o addirittura perdersi.

Ma non si oscura mai e tantomeno viene a mancare l’amore di Dio: Dio che vuole che tutti gli uomini siano salvi.

In questo momento il nostro cuore è turbato perché sentiamo che ci viene a mancare un amico, un fratello che ci ha tolti dall’indifferenza e ci ha quasi obbligati a guardare in faccia la malattia, il dolore, la morte.

Noi lo consegniamo al Signore della Vita perché lo accolga nella sua dimora di luce e di pace, con tutte le sue domande, i suoi progetti e con il suo grande cuore.

Vescovo Beniamino

 

Nella foto la recente visita di alcuni vescovi del Triveneto a Stefano.