Qoelet: parole malate, parole guarite

La sintesi dell'intervento di Maria Pia Veladiano alla Scuola del Lunedì. In onda su RADIO OREB venerdì 15 e sabato 16 marzo

 
 QOÈLET

PAROLE MALATE……PAROLE GUARITE   sig.ra Maria Pia Veladiano dirigente scolastico e scrittrice   Vicenza, Centro “Mons. Arnoldo Onisto”, 11 marzo 2019 Puoi ascoltare l’intervento su Radio Oreb FM 90.2 venerdì 15 marzo alle ore 11.00 in replica alle ore 22.00 e sabato 16 marzo alle ore 10.00 Maria Pia Veladiano ha iniziato il suo intervento, presentando un po’ il suo cammino formativo, che l’ha portata a compiere gli studi teologici, fino al raggiungimento del dottorato, scoprendo successivamente l’interesse per l’educazione, la letteratura e l’arte dello scrivere. Lei non si ritiene una teologa, ma afferma che del contenuto della teologia la letteratura è ricca e stimolante. Posta questa introduzione, la relatrice è partita dalla considerazione che nessuno può fare tutto ed è, quindi, necessario scegliere. Ecco perché, nell’ambito scolastico, ma il pensiero può essere esteso a tutti i settori, di fronte ai molti documenti, scritti, norme prodotti, da leggere ed applicare, la consapevolezza di dover scegliere si fa più chiara e precisa, evidenziando così la libertà personale, che porta ad avere un’attenzione particolare, senza per questo ignorare il resto. Nel caso di Veladiano tale interesse si è concentrato sullo studio e ricerca delle parole, strumento quotidiano di comunicazione, proprio di ogni essere umano. L’importanza della parola è più chiaramente comprensibile in una affermazione di don Lorenzo Milani, priore di Barbiana, (1923 – 1967), il quale diceva: “Finché ci sarà uno che conosce 2000 parole e un altro che ne conosce 200, questi sarà oppresso dal primo. La parola ci fa uguali”. Don Milani riteneva che la parola è sempre maiuscola ed importante, sia quando è umana, sia quando è divina. A questo punto, la relatrice ha citato il testo di Giovanna Axia, Elogio della cortesia, Il Mulino, richiamando due esempi  di vita con protagonisti i bambini, che evidenziano come la cortesia, la gentilezza, che hanno nella parola un loro punto di forza, permettano la pace preventiva e l’accadimento delle cose tramite le parole. Una convinzione che incoraggia la persona a farsi gli affari degli altri con cortesia, perché crede nella potenza della parola. La relatrice, perciò, auspica che questo linguaggio di cortesia venga preso in considerazione ed insegnato, anche a scuola. Questo perché, oggi, la parola è malata, è aggressiva, è sfiduciata, è pervasiva, viene usata e abusata. La riflessione è continuata con un riferimento alla vita quotidiana, relativo agli stranieri giunti in Italia, i quali devono affrontare il muro, non secondario, della lingua, indispensabile per comunicare ed inserirsi nella vita sociale. Veladiano afferma che il linguaggio della cortesia è un prezioso veicolo per favorire l’inserimento dello straniero nella nostra società, perché smorza, nel nascere, la tensione, l’aggressività, il sospetto, che accompagnano la presenza di un non indigeno nella propria realtà. Non solo: è importante anche tenere sempre presente che una parola, comune a tante persone, di culture diverse, assume significati differenti, a partire dalle storie personali. Un dato confermato dalle reazioni di molti migranti giunti nel nostro Paese, a riprova che una parola è in grado di esprimere l’identità e lo stato d’animo di un individuo, la sua vicenda di vita. La parola è anche la modalità espressiva scelta da Dio per  comunicarsi all’uomo. La relatrice ha sottolineato come esiste una profonda differenza tra l’epifania (manifestazione), realtà violenta e divisiva, e la parola. Questa è più rispettosa  della libertà della persona, non si impone, si propone, permettendo la nascita di una relazione libera tra Dio e l’uomo. Questo è il punto di forza della parola come anche il suo anello debole, come sottolineava Elio Vittorini in un numero de “Il Politecnico” (1945 – 1947), riflettendo sul fatto che, nonostante il cristianesimo, l’illuminismo, i grandi pensatori del passato, l’umanità aveva vissuto la tragedia di due guerre mondiali. Nel proseguo della riflessione, la relatrice ha fatto riferimento ad un articolo di Bernard- Henri Lévy, pubblicato ne Il Corriere della sera il 12 marzo 2016, dal titolo “Trump e l’internazionale della volgarità diffusa”. In questo testo il filosofo francese analizza la prevaricazione, la volgarità e l’aggressività di cui il linguaggio è capace con conseguenze pericolose. Un fenomeno presente anche nei cosiddetti social, dove l’immediatezza e l’incapacità di pensare e far pensare, troppo spesso sostenute dall’anonimato, hanno un peso non indifferente. Nella seconda parte del suo intervento, la relatrice si è posta, all’inizio, una domanda: quali sono le parole giuste? La risposta sta nel preciso tempo storico che si sta vivendo. Veladiano ha esplicitato il pensiero, analizzando la parola ed il linguaggio all’interno della Chiesa in riferimento al problema attuale della violenza sessuale sui minori. I mass media, come anche i documenti, parlano di abuso sessuale dei minori, espressione impropria, perché tale termine, da leggersi in stretto legame ad uso, porterebbe a giustificare, in un certo senso, la violenza sui minori, fatto del tutto inaccettabile. Circa, invece, gli adulti la parola utilizzata è violenza, aggressione, che viene sostituita ancora da abuso, allorquando i soggetti della violenza sono delle religiose. La relatrice ha fatto notare che il termine abuso presuppone un uso legittimo, che attenua, anche nel sentire comune, la gravità di una violenza sessuale. Ora, nessuna violenza, nello specifico sessuale, può essere accettata o giustificata. Ne consegue che è urgente riappropriarsi del significato profondo, etimologico delle parole per farne un uso corretto, capace di aiutare la conoscenza e la comprensione della realtà, nonché la comunicazione tra le persone.   Massimo Pozzer