“Testimoni della misericordia che il Signore ha avuto per noi”: il Vescovo illustra il tema del nuovo anno pastorale

 
In questa intervista rilasciata al direttore del settimanale diocesano il Vescovo illustra il tema della Lettera pastorale che verrà diffusa in occasione del pellegrinaggio diocesano a Monte Berico la sera del prossimo 7 settembre.
 
  Abbiamo incontrato mons. Pizziol per farci spiegare questa scelta e le sue declinazioni. «La scelta del tema della misericordia – spiega il Vescovo – recepisce senz’altro l’indicazione di papa Francesco, ma tiene anche conto del contesto generale in cui viviamo dove colpiscono il perdurare e l’aggravarsi della crisi economica (quanto sta avvenendo nel mercato cinese getta nuovi interrogativi sul futuro), la questione degli immigrati e dei richiedenti asilo, il problema del risorgere dei “fondamentalismi-estremismi” dal volto truce, in nome di una osservanza religiosa, le questioni etiche suscitate dalla domanda dei “diritti civili”».
 
Ma cosa significa oggi praticare la misericordia?
«Questa scelta può contribuire alla costruzione di un mondo più umano e fraterno, più giusto e pacifico, da costruire insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà».
 
Non è però una indicazione che sembra molto di moda oggi, non trova?
«Oggi la nostra cultura ritiene la misericordia un atteggiamento di debolezza e di rinuncia a ottenere giustizia. La parola misericordia è sospettata di essere una parola debole, indicante una sorta di bonarietà, di indulgenza compassionevole a fronte del bisogno di verità e di giustizia».
 
Ma cos’è la misericordia, come la possiamo presentare?
«È una qualità fondamentale di Dio e come dice San Tommaso d’Aquino: “Specialmente nella misericordia Dio manifesta la sua onnipotenza”.
La misericordia è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre alla certezza di essere amati per sempre da Dio, nonostante il limite del nostro peccato.
La misericordia di Dio verso ciascuno di noi è il primo fattore da prendere in considerazione nelle nostre riflessioni. Per questa ragione la prima domanda che ciascuno dovrebbe farsi (senza la quale perde di senso il resto) è che significato ha la misericordia nella mia vita e nelle mie relazioni personali? Poi le altre questioni riguardano come è vissuta nelle nostre comunità ecclesiali, nel dialogo con i fratelli delle altre confessioni cristiane e con i fratelli di altre fedi religiose e infine nelle relazioni con la comunità civile».
 
In questa prospettiva la scelta dell’icona biblica del servo spietato ha un significato particolare, ce lo può spiegare?
«Nella parabola si descrive la totale gratuità di Dio nei confronti dell’impossibilità dell’uomo di salvarsi con i propri mezzi. C’è una evidente asimmetria tra la misericordia di Dio e la debolezza e la fragilità umana.
La misericordia è una virtù necessaria per affrontare ogni problema a livello personale, ecclesiale e sociale. Senza la misericordia il nostro mondo rischia la barbarie, la spietatezza e in ultima analisi la disumanità. La misericordia è fonte di gioia, di serenità, di giustizia e di pace».
Quali sono i criteri metodologici per dare attuazione alle indicazioni che derivano dalla centralità della misericordia?
«Individuerei tre criteri metodologici: innanzitutto tener sempre presente, in un giusto equilibrio, “il particolare e l’universale”, questo significa che bisogna avere una visione globale della situazione misurandola con le situazioni locali».
 
Un esempio?
«La questione degli immigrati: va inquadrata nelle politiche economiche, militari e culturali adottate dai Paesi più forti quali gli Stati Uniti, la Cina, la Russia, l’Europa. Chiediamoci: “Come stiamo trattando il continente africano?”. Basta pensare al commercio delle armi, la sistematica sottrazione di risorse e materie prime, la permanente negazione dei più elementari diritti umani».
 
Il secondo criterio?
«La consapevolezza che da questi gravi problemi si deve uscire tutti insieme. Ho sempre presente l’affermazione del grande educatore don Lorenzo Milani quando affermava: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia”.
L’ultimo criterio poi riguarda la dinamica democratica alla quale partecipa anche la Chiesa. Tutte le persone hanno diritto e, per certi versi, il dovere di intervenire sulle questioni che sono in campo, con rispetto, ma anche con schiettezza, franchezza di parole. E questo vale anche per me Vescovo. Non si possono relegare i vescovi solo alle questioni interne alla Chiesa cattolica o impedire ai politici e ai non politici di entrare nelle questioni della Chiesa. Ognuno, in un contesto di sana laicità che tiene conto di tutti i soggetti presenti nella società civile, ha la libertà di intervenire e alla fine quel che conta è arrivare a delle decisioni, seguendo le procedure democratiche del nostro Paese, nel rispetto della “libertà di coscienza” di ogni cittadino».
 
Anche con riferimento alle unioni civili tra coppie gay?
«Come vescovo ho il diritto – dovere di esprimere la posizione della Chiesa, poi il governo farà le sue scelte, questo ovviamente non è in discussione. Sono convinto che la famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, aperti al dono della vita, è la cellula fondamentale della società e precede la stessa organizzazione sociale. Per questo la famiglia, così intesa, va promossa e tutelata con delle leggi appropriate a ogni livello, locale e nazionale, per il bene comune di tutti”.
 
Lauro Paoletto