ASSEMBLEA DIOCESANA PER L’INIZIO DELL’ANNO PASTORALE
Centro Diocesano Onisto, 20 settembre 2025
Ce lo ricordiamo spesso: mettiamoci in ascolto. In ascolto del Signore e della sua Parola. In ascolto dei fratelli e delle sorelle che ci manifestano il soffio dello Spirito. In ascolto della storia nella quale Dio con la sua Provvidenza si rende presente, soprattutto con la mano tanto discreta quanto potente degli umili.
Anch’io ho voluto mettermi in ascolto di un brano evangelico carico di promessa e di speranza, per iniziare il nuovo anno illuminati da quel “sole che sorge dall’alto” (Lc 1,78).
- La gioia umana che non viene a mancare
Il brano del Vangelo di Giovanni, conosciuto come “le nozze di Cana” (Gv 2,1-12), è un racconto che ci parla della gioia e della mancanza, dell’abbondanza e del timore, ma soprattutto ci parla del volto di Dio che si rivela nel volto umano di Gesù. In questo episodio, con la delicatezza di un gesto silenzioso ma potente, Gesù viene incontro alla nostra umanità — così fragile, esposta alla stanchezza, al fallimento, alla mancanza di senso — per farle ritrovare una gioia piena, autentica, una gioia che ha radici divine ma che si manifesta nella semplicità della vita quotidiana.
a) Il vino della festa: la gioia umana che si esaurisce
Gesù viene invitato a una festa di nozze. È lì con sua madre, è lì con i suoi discepoli. Non si trova in un tempio o in un luogo solenne, ma in una casa, in un momento di festa, nel cuore della vita umana. E subito il racconto ci presenta una mancanza: “Non hanno vino”. Il vino, nella Bibbia, è simbolo della gioia, dell’amore, della festa. Quando viene a mancare il vino, si affaccia la tristezza, il vuoto, la fine di un sogno.
Quante volte anche nelle nostre comunità, nelle nostre famiglie, manca il vino. Quante volte le nostre celebrazioni sono sobrie ma non festose, corrette ma non calorose. Ci si incontra, ma non ci si scalda il cuore. E quante persone, anche tra noi, cercano una gioia che sia vera, profonda, che non si consumi subito, che non sia solo emozione effimera. Cercano un vino buono, e trovano acqua tiepida.
b) Gesù e Maria: una compassione condivisa
In questo contesto, Maria ci appare come colei che si accorge del bisogno e si fa ponte tra la necessità umana e la potenza divina. “Non hanno vino” dice, senza chiedere, senza comandare. Solo constata un bisogno. E in quel bisogno, già si intravede la fiducia.
Gesù risponde con parole che ci sorprendono: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”. Eppure, Maria non si ritrae, non discute, ma lascia spazio alla fiducia: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. In questo scambio c’è un insegnamento profondo: il Signore non agisce per automatismo, ma nel dialogo, nella relazione, nella maturazione di una risposta d’amore.
Anche noi siamo chiamati a questo: non pretendere da Dio miracoli, ma porre con umiltà davanti a Lui le nostre povertà, e soprattutto disporci all’ascolto: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. È nella docilità, nell’obbedienza del cuore, che si compie il miracolo.
c) Un segno nascosto, una gloria rivelata
Gesù non compie un miracolo clamoroso. Non fa discorsi solenni, non convoca la folla. Dice semplicemente ai servitori: “Riempite d’acqua le anfore”. E quella acqua — simbolo della nostra vita ordinaria, delle nostre abitudini, delle nostre giornate grigie — diventa vino. Un vino abbondante e buono.
Ecco, qui si manifesta la forza trasfigurante dell’umanità di Gesù. Egli non è venuto a distruggere ciò che siamo, ma a portarlo al compimento. È entrato nella nostra carne per redimere la nostra umanità dall’interno, per farla fiorire. La festa non è finita: anzi, inizia davvero quando è Gesù a donare il vino.
Impariamo a leggere questi “segni” come inviti a una fede matura, che sa scorgere nella vita comune la presenza straordinaria del Signore. Non dobbiamo cercare altrove la gioia vera: essa è nascosta nel quotidiano, pronta a rivelarsi se lasciamo entrare Cristo nelle nostre “nozze”, cioè nei nostri legami, nelle nostre storie, nelle nostre fatiche.
d) Una Chiesa che sappia donare il vino buono
Questo Vangelo ci interpella come comunità cristiana. Siamo ancora capaci di offrire il vino buono? Oppure presentiamo sempre e solo ciò che è corretto, ma non ciò che scalda il cuore?
Tante persone si allontanano perché non sentono il calore del fuoco e il profumo della gioia. Non la superficialità, ma quella gioia che nasce dalla fede, dalla speranza, dalla comunione fraterna. Forse abbiamo anfore piene di acqua — riti, parole, gesti — ma solo l’incontro vivo con Cristo può trasformare quell’acqua in vino.
e) Conclusione: Una gioia possibile
Il Vangelo termina con queste parole: “Questo fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù… Egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”.
Il miracolo non ha cambiato solo l’acqua: ha trasformato anche i cuori. I discepoli hanno iniziato a credere perché hanno visto la gloria nascosta nell’umanità di Gesù. Anche noi possiamo fare questa esperienza. Anche oggi, nella stanchezza delle nostre parrocchie, Cristo può ridonare il vino della gioia.
Ma occorre aprirgli la porta, come a Cana. Occorre avere cuori docili e comunità accoglienti. Occorre essere madri come Maria, che sappiano intercettare le mancanze e sussurrare: “Non hanno vino”. Allora, sì, il miracolo può accadere ancora.
- Dall’assemblea diocesana di Schio, continua il cammino
Lo scorso 8 febbraio, a Schio, ci siamo congedati da un incontro importante con una celebrazione significativa, durante la quale quattro laici hanno ricevuto il ministero istituito: due lettori, una lettrice e un’accolita. Quella celebrazione è stata un segno e un annuncio: è tempo di un maggiore coinvolgimento dei laici nell’animazione evangelica delle nostre comunità cristiane.
Questo non implica che i preti non siano più necessari. Al contrario, il cammino sinodale promosso da papa Francesco ci ha spinti a riscoprire la vocazione del ministero presbiterale in forme nuove: più essenziali, più aperte alla condivisione e alla collaborazione. Al tempo stesso, emerge con forza la necessità di affidare ai laici responsabilità più ampie, non come meri esecutori, ma come protagonisti attivi nella cura pastorale delle comunità.
Durante la mattinata, abbiamo presentato l’esito di un discernimento che ha coinvolto vicariati e singole comunità nella configurazione di parrocchie chiamate a collaborare stabilmente all’interno di un’unità pastorale. Il cammino non è stato sempre lineare: alcune situazioni restano da chiarire e richiedono ancora un ascolto attento, tanto dei laici quanto dei presbiteri e dei diaconi. Altre si sono aggrovigliate e attendono di essere sciolte.
Nel pomeriggio dell’assemblea – vissuta con gioia e in un autentico respiro ecclesiale diocesano – ci è stato rivolto un invito prezioso: non avere fretta nel definire confini e strutture. C’è il rischio, infatti, di creare sistemazioni solo esteriori, soffocando il respiro spirituale che invece chiede un continuo cambiamento di mentalità.
Questo respiro è per noi essenziale. È il respiro dello Spirito Santo, che possiamo accogliere solo attraverso l’ascolto comunitario nella “conversazione secondo lo Spirito”, a cui ci stiamo educando in questi anni.
Le relazioni tra di noi sono fondamentali. Ma perché possiamo riconoscere in esse l’opera dello Spirito, dobbiamo prenderci il tempo per viverle davvero, per abitarle nella luce della Parola di Dio, dentro la nostra storia personale e comunitaria.
Come veri “discepoli missionari” (EG 120), in sintonia con il cammino sinodale della Chiesa universale e delle Chiese che sono in Italia, iniziamo la fase profetica o attuativa del percorso che avevamo chiamato “Camminando si apre il cammino”.
Dopo aver dato ascolto allo Spirito e alle comunità, accogliamo l’invito a rafforzare il metodo sinodale in modo da favorire l’annuncio creativo da parte delle comunità, chiamate allo stesso tempo alla testimonianza dell’unità.
Alcuni passi biblici sono particolarmente significativi nel ricordarci come la prima diffusione del Vangelo sia avvenuta certamente per l’impegno degli apostoli, ma anche di donne e uomini che si sono sparsi nelle regioni circostanti, per i motivi più diversi, tra cui il commercio e la persecuzione a cui erano soggetti.
L’esperienza felice di Num 11,16-25, in cui lo Spirito Santo scende sui settantadue uomini scelti da Mosè come collaboratori, si rende presente nella chiesa primitiva in vari momenti e modalità, in particolare nella designazione di alcuni anziani, in ogni chiesa, affidati al Signore e alla cura della comunità mediante la preghiera, il digiuno e l’imposizione delle mani (Cf Atti 14,23; 20, 17-38: gli anziani di Efeso).
- Un passaggio faticoso che ci interroga
Desidero ora condividere con voi un passaggio importante, faticoso ma importante, del nostro cammino diocesano.
L’assemblea che abbiamo vissuto a Schio l’8 febbraio scorso è stata un momento di grande bellezza e vitalità ecclesiale. Un’esperienza animata anche dalla presenza di cinque giovani coordinatori e due referenti del progetto che, nel corso dell’anno precedente, avevano partecipato attivamente al cammino sinodale nei vicariati, curando il rapporto con i facilitatori. A loro va ancora oggi il mio sincero grazie.
Sulla scia di quell’assemblea, come vescovo ho voluto istituire un Laboratorio pastorale con l’intento di accompagnare il cammino della diocesi alla luce delle prospettive emerse a Schio. Insieme al Gruppo dei giovani coordinatori, il Laboratorio aveva il compito di individuare alcuni passi concreti da compiere in questo primo tratto dell’anno pastorale. L’idea era semplice e ambiziosa: che ogni attuale unità pastorale potesse accogliere la presenza di don Flavio e dei giovani coordinatori per avviare, a partire dai frutti del cammino sinodale, la costituzione, mediante un processo di partecipazione, di un consiglio pastorale unitario.
Tuttavia, nei mesi successivi, il cammino si è fatto più difficile. Il rapporto tra i membri del Laboratorio pastorale e i giovani coordinatori si è rivelato complesso, fino a scoraggiarli nella prosecuzione della collaborazione. Ho avuto modo di dialogare sia con i membri del Laboratorio, sia con i giovani coinvolti, e vorrei qui mettere in luce almeno due delle difficoltà emerse, che considero decisive.
La prima è la fatica – che forse tutti sperimentiamo – di dare davvero fiducia alle “visioni” dei giovani sulla Chiesa e sul rinnovamento che essi desiderano. È una tensione che ci interroga profondamente: non possiamo perdere il tesoro di ciò che ci è stato consegnato – le parrocchie, i gruppi, i ministeri –, eppure siamo chiamati a lasciarci inquietare da un volto di Chiesa che sappia aprirsi alle generazioni più giovani, che oggi spesso avvertono la Chiesa come distante e rigida. In alcuni momenti, questi giovani si sono sentiti guardati con sufficienza, giudicati più che ascoltati – anche da noi preti. E questo ci interpella.
La seconda difficoltà riguarda la complessità della nostra vita diocesana. Non ci deve sorprendere, in una diocesi grande come la nostra, ma ci deve interrogare: spesso operiamo con grande impegno, ma in compartimenti separati, valorizzando più il proprio ambito che il cammino comune. Questo finisce per moltiplicare le iniziative, a volte a scapito delle parrocchie, che invece chiedono maggiore semplificazione e coordinamento. Per i giovani questo ha rappresentato una vera fatica e un certo disorientamento.
Nonostante tutto questo – anzi, proprio per questo – sono convinto che l’esperienza fatta con i giovani non vada abbandonata. Sì, abbiamo commesso degli errori. Ma è proprio da questi che possiamo imparare. La Chiesa non cammina per progetti perfetti, ma per relazioni autentiche. E senza il contributo delle nuove generazioni, il nostro cammino sarà monco.
Per questo abbiamo scelto di modificare tempi e modalità del cammino. Vorrei che questo momento, che possiamo anche chiamare un “incidente di percorso”, potesse essere affrontato con serenità e verità insieme al Consiglio pastorale diocesano e ai facilitatori, che in questi anni sono stati una risorsa preziosa.
È probabile che, nella seconda parte dell’anno pastorale – da gennaio in poi – si possa avviare una visita alle singole unità pastorali, per offrire una proposta concreta. Ma non dobbiamo avere fretta: un passo alla volta. Perché le relazioni valgono più delle strutture. E nessuna struttura deve diventare un ostacolo alla relazione.
Aggiungo, infine, che l’esperienza avuta a livello diocesano probabilmente interpella anche le nostre singole comunità cristiane circa le modalità di coinvolgimento dei giovani, di come possono sentirsi parte di quella Chiesa che sono le nostre comunità cristiane, di come possiamo rimanere in ascolto delle loro visioni su di noi e sul mondo.
- Cambio di mentalità
«Dio voglia che non manchino ai nostri giorni i buoni pastori; Dio non permetta che ne rimaniamo privi» (sant’Agostino, Discorso sui pastori).
La crisi del clero, con il forte calo del numero di preti, interpella profondamente le nostre Chiese, che devono affrontare questa realtà non solo come emergenza numerica, ma come occasione per ripensarsi: che tipo di Chiesa vogliamo essere con pochi o senza preti? La questione investe anche la realtà del nostro Seminario che grazie a Dio è ancora vivo.
Riprendo un breve contributo del teologo Andrea Toniolo, già preside della Facoltà Teologica del Triveneto che conosce bene la nostra realtà pastorale. Ritengo sia molto condivisibile la sua riflessione che ciascuno potrà approfondire in A. Toniolo, Una Chiesa senza preti? Le soglie da varcare, in Settimana news, 2 agosto 2025 (reperibile on line).
a) Innanzitutto sono necessarie tre conversioni
– La visione di Chiesa. La Chiesa cattolica non può fare a meno del ministero ordinato perché l’Eucaristia è essenziale. Senza questo “fuoco che arde” donato a noi gratuitamente ed espressione dell’Amore del Padre noi non possiamo vivere.
Tuttavia, la celebrazione Eucaristica, specialmente quella nel “Giorno del Signore”, da sola non basta perché non si tratta di un rito da compiere: essa è il frutto di una comunità viva, relazionale e caritatevole, fondata sull’ascolto della Parola.
Serve una conversione pastorale: non solo riti, ma comunità vive, fatte di relazioni vere, che “gustano” la gioia dell’incontrarsi tra di loro e con l’Amore di Dio fatto carne nel Figlio.
– Una nuova visione del ministero del prete. Occorre ripensare il ruolo del prete in modo relazionale, sinodale, condiviso, non solitario o gerarchico.
La figura del pastore non è più sostenibile se caricata di tutto: bisogna essenzializzare il ministero, superando il clericalismo.
– Una nuova visione dei laici. I laici non sono semplici collaboratori, ma protagonisti, con carismi e ministeri da valorizzare, in modo stabile e non solo per supplire ai preti. Si faccia attenzione, però, a due rischi: la clericalizzazione dei laici (assumono un ruolo di potere e non lo mollano più) e la laicizzazione della pastorale (con preti relegati solo al culto).
b) Due rimedi: la sinodalità e la ministerialità
La sinodalità è l’antidoto al clericalismo e alla solitudine pastorale: il potere nella Chiesa è quello di Cristo, esercitato come servizio, amore, perdono, profezia.
I preti devono esercitare l’autorità come promozione della partecipazione, non come comando.
Va promossa la collegialità tra preti (nella nostra Diocesi, sebbene con alcune fatiche spesso esercitano la cura pastorale “in solido”) e la collaborazione reale con i diaconi, i consacrati e i laici (con il Gruppo Ministeriale in ogni parrocchia), come previsto anche dal diritto canonico (canoni 517, 519).
c) Nuovi scenari pastorali
Le unità pastorali o collaborazioni pastorali tra parrocchie sono ormai la norma, e richiedono preti coordinatori e formati alla cooperazione.
In questo contesto, il presbitero è chiamato ad imparare a guidare e presiedere la comunità insieme ad altri, non da solo.
d) Mentalità da cambiare
La crisi può diventare liberazione: non serve fare tutto, ma rappresentare sacramentalmente l’opera di Dio, secondo una logica di segno più che di efficienza.
Questo permette di superare l’ansia della “pastorale dei numeri” per indirizzarsi ad una pastorale delle relazioni, della presenza credibile, della testimonianza.
La Chiesa del futuro dovrà essere più sinodale, più laicale, più essenziale, capace di trasformare la crisi del clero in una opportunità per rinnovare il suo volto e la sua missione. La posta in gioco è tenere viva la fede e l’annuncio del Vangelo anche in un contesto nuovo e sfidante.
- Il Seminario di Vicenza non chiude ma cambia
Il cambio di mentalità investe anche la formazione di futuri presbiteri. È in questo contesto che vorrei condividere in questa assemblea che vede rappresentate tutte le componenti del popolo di Dio, la nuova realtà della Comunità teologica formata dai giovani dei seminari della nostra Diocesi e da quelli delle diocesi di Adria-Rovigo, Chioggia e Padova.
a) Il Seminario di Vicenza, dunque, non chiude i battenti
Forse noi identifichiamo più facilmente il Seminario con i muri. In realtà il Seminario prima di essere costituito dai muri è fatto di persone chiamate al ministero presbiterale con i loro educatori: gli edifici sono in funzione di questa realtà personale.
b) La nuova Comunità teologica
Con il nuovo anno pastorale prende avvio la nuova Comunità Teologica composta da 18 giovani provenienti dalle 4 diocesi di cui tre vicentini (altri due seminaristi sono in cammino con modalità diverse).
Questa nuova realtà prende il nome “Seminario insieme” perché non prevede attualmente la costituzione di un “Seminario interdiocesano” come per le diocesi del Friuli Venezia Giulia o alcune diocesi del centro e sud Italia, perché questa istituzione può essere costituita solo dalla Santa Sede e noi siamo appena all’inizio di un cammino.
Come vescovi si è pensato ad un primo passo di condivisione dei nostri percorsi formativi e si vuole puntare a coniugare una vita comunitaria significativa, almeno nella parte centrale dell’itinerario formativo (circa quattro anni), con il radicamento nella propria diocesi di appartenenza.
La parte inziale del discernimento e la formazione finale nell’anno del diaconato, saranno attuate qui in Diocesi.
L’esperienza comunitaria residenziale si svolgerà presso l’Opera della Provvidenza Sant’Antonio, a Sarmeola di Rubano (PD). D’accordo con i quattro vescovi il Rettore della nuova comunità è il nostro don Aldo Martin al quale va la nostra riconoscenza per aver accettato di svolgere questo delicato ministero.
c) La Comunità del Mandorlo
Il tempo del primo discernimento vocazionale con l’anno propedeutico continuerà con la “Comunità del Mandorlo” presso l’Ora Decima qui in città nella parrocchia di Santa Caterina. Quest’anno al Mandorlo entreranno 4 giovani che sono frutto anche degli itinerari vocazionali, specialmente dei Gruppi Sichem e Sentinelle.
d) I Gruppi vocazionali
I tre gruppi vocazionali – Hand’s up (per ragazzi e ragazze di seconda e terza media), Sentinelle (per adolescenti dell’età delle scuole superiori) e Sichem (per giovani) – sono una realtà molto importante promossa da qualificate equipe composte da animatori e preti. Invito tutti a promuovere la conoscenza dei gruppi vocazionali che si incontrano mensilmente qui al Centro Diocesano Onisto o presso l’Ora Decima.
e) Continuare la preghiera e il sostegno al nostro Seminario
Invito tutte le comunità cristiane a pregare per tutte le vocazioni e per il dono di nuovi presbiteri per la nostra Chiesa diocesana e per cooperazione missionaria tra le chiese. Le nostre parrocchie abbiano l’audacia di invitare i giovani ad aspirare a cose grandi, alla santità, ovunque siano; invitare a non accontentarsi di meno – come ha suggerito Papa Leone XIV al Giubileo dei giovani.
- Unità pastorali e Collaborazioni pastorali
Come Chiesa diocesana vogliamo continuare il cammino di condivisione tra parrocchie riunite nelle unità pastorali. Verranno date alcune indicazioni, ma invito a creare occasioni per quel cambio di mentalità che ho richiamato sopra.
Senza questo cambio di mentalità per una Chiesa sinodale e missionaria le nostre riforme resteranno soltanto interventi esteriori, puramente organizzative ma prive di un’anima.
Lo ricordo con le parole di Papa Leone pronunciate proprio ieri sera nell’Assemblea diocesana di Roma. «Si tratta anzitutto di lavorare per la partecipazione attiva di tutti alla vita della Chiesa. A questo proposito, uno strumento per incrementare la visione di Chiesa sinodale e missionaria è quello degli organismi di partecipazione. Essi aiutano il Popolo di Dio a esercitare pienamente la sua identità battesimale, rafforzano il legame tra i ministri ordinati e la comunità e guidano il processo che va dal discernimento comunitario alle decisioni pastorali. Per questo motivo vi invito a rafforzare la formazione degli organismi di partecipazione e, a livello parrocchiale [per noi: le parrocchie nell’unità pastorale], a verificare i passi fatti fino ad ora o, laddove tali organismi mancassero, di comprendere quali sono le resistenze, per poterle superare» (19 settembre 2025).
Anche laddove si rende necessario ripensare la struttura giuridica di parrocchie piccole per organizzarle in una realtà più grande con degli accorpamenti, si colga l’occasione per un coinvolgimento ampio delle famiglie, dei giovani e dei ragazzi per comprendere insieme qual è il bene della comunità e quali sono gli strumenti e le esperienze più efficaci per condurre alla ricerca di Dio. Sembra urgente anche per noi «impostare una pastorale solidale, empatica, discreta, non giudicante, che sa accogliere tutti, e proporre percorsi il più possibile personalizzati, adatti alle diverse situazioni di vita dei destinatari» (Ibid.).
- Accompagnati da Maria
Prima di concludere questo nostro incontro, desidero esprimere un sentimento di profonda gratitudine a tutti i presbiteri della nostra Chiesa diocesana. A voi che, con dedizione e generosità, state vivendo un autentico cammino di conversione personale e vi impegnate con coraggio e fedeltà nel processo di riforma pastorale in senso missionario, va il mio più sincero grazie.
Un ringraziamento particolare desidero rivolgerlo a quei presbiteri che, in queste settimane, stanno concludendo il loro servizio in alcune comunità, passando il testimone ad altri confratelli, e che, nello stesso tempo, si preparano ad accogliere un nuovo inizio: per alcuni in altre comunità parrocchiali, per altri in servizi diocesani. Il vostro “sì” ci insegna che il ministero non è un possesso, ma una missione da vivere con libertà, obbedienza e disponibilità.
Con riconoscenza saluto anche coloro che, pur avendo superato il 75° anno di età, hanno accolto la mia richiesta di rimanere in servizio, aprendosi con generosità alla fraternità presbiterale in nuove realtà pastorali. La vostra disponibilità ci parla di un amore alla Chiesa che non conosce pensionamento, ma continua a farsi dono.
Il mio grazie si estende ai numerosi laici e laiche che, con spirito evangelico e passione per la Chiesa, stanno accogliendo i cambiamenti necessari. Vi ringrazio perché, con stima verso i sacerdoti e i diaconi, non fate mancare il vostro prezioso apporto negli organismi di partecipazione e nei servizi più umili ma tanto essenziali alla vita quotidiana delle nostre comunità. È anche grazie a voi che la nostra Chiesa si fa ogni giorno più sinodale.
Un grazie affettuoso alle consacrate e ai consacrati, la cui presenza carismatica continua ad abbellire la nostra Chiesa, ricordandoci che lo sguardo va sempre rivolto a Gesù e ai poveri. Il vostro essere segno profetico è una luce che ci guida nel discernere il cammino del Vangelo.
Infine, ci affidiamo tutti insieme a Maria, madre della Chiesa e madre nostra, che a Cana di Galilea ha saputo cogliere la mancanza e indicare con fiducia la via: «Fate quello che Lui vi dirà» (Gv 2,5).
Accogliendo con fiducia e audacia questa sua semplice ma potente indicazione, anche le nostre comunità potranno conoscere una vera rinascita: non tanto delle strutture, ma della vita secondo lo Spirito. Diventeremo sempre più comunità di uomini e donne capaci di vivere e testimoniare quella gioia vera, che solo il Signore sa donare e che il mondo attende.
Possa essere questa la grande intenzione dei nostri pellegrinaggi vicariali a Monte Berico nella ricorrenza dei 600 anni dalle apparizioni: L’anima mia gioisce nel Signore. Rinascere nella speranza con Maria.
+ vescovo Giuliano
In allegato il discorso di don Flavio Marchesini, vicario per l’evangelizzazione delle parrocchie riunite in unità pastorali




