OMELIA nella Celebrazione Eucaristia memoria della B.V. di Lourdes con il PELLEGRINAGGIO DIOCESANO GIUBILARE DEI MALATI Santuario di Monte Berico, 11 febbraio 2025

OMELIA nella Celebrazione Eucaristia memoria della B.V. di Lourdes

con il PELLEGRINAGGIO DIOCESANO GIUBILARE DEI MALATI

Santuario di Monte Berico, 11 febbraio 2025

Letture: Is 66,10-14c; Gdt 13,18-20; Lc 1,41b-55

Con Maria, pellegrini di speranza

Siamo in tanti qui raccolti nel Santuario di Monte Berico. Ma vi sono come due realtà che ci appaiono un po’ contrastanti. Qui davanti a noi in carrozzina e nelle sedie vi sono tante persone ammalate o persone con disabilità. Nello stesso tempo le letture che abbiamo ascoltato, i canti e un certo sentire dell’essere qui insieme sono espressione di lode e di gioia come il cantico del Magnificat. Possono stare insieme queste due realtà?

E non vorrei dimenticare che questo Santuario è direttamente collegato ai numerosi santuari familiari dove vivono le persone che soffrono: in casa, in residenze per anziani, in case di cura, all’ospedale, in comunità per persone diversamente abili. La rete che lega noi qui in questo Santuario e tutte le nostre realtà è molto fitta. È una rete spirituale.

In questo pellegrinaggio giubilare dei malati e degli operatori della sanità ci accompagna Maria, stella della speranza.

Siamo tutti pellegrini. Perché la nostra vita è proprio come un grande pellegrinaggio che ha una partenza, l’inizio della nostra esistenza, ed ha una meta: abitare per sempre nella casa del Signore per fare esperienza di un Amore che non tramonta.

Il nostro pellegrinaggio non è sempre lineare. Conosce fatiche, difficoltà, malattie fisiche e interiori. Maria ha ricevuto una profezia presentando il piccolo Gesù al tempio: anche a te una spada trafiggerà l’anima (Lc 2,35). Sappiamo quali sono state le sofferenze che Maria ha incontrato: l’umiliazione di partorire in un ricovero di animali; di migrare nel vicino Egitto per fuggire alla furia violenta di Erode; di perdere il figlio dodicenne al Tempio; di accompagnare il Figlio sulla via del Calvario.

In tutte queste situazioni Maria non ha smesso di camminare; non ha smesso di compiere il suo pellegrinaggio verso la meta che gli è stata svelata poco per volta.

In tutte queste situazioni Maria ha portato nel cuore la speranza.

In che modo ha sperato Maria? “Sperando” che tutte queste situazioni causa di sofferenza passassero al più presto? Non è stato così per Maria. Per comprendere che cosa è stata la speranza in Maria possiamo evocare un’immagine cara ai primi cristiani: l’àncora. La speranza è come un’àncora sicura.

L’àncora è uno strumento di ferro formato da un’asta fissata all’ormeggio e munita di due o più bracci ricurvi e appuntiti che, riversato nell’acqua, si conficca sul fondo, tenendo ferma la nave. È il segno della stabilità della speranza. Per la sua forma l’àncora divenne un simbolo per rappresentare la croce cristiana. L’àncora, unita al pesce, si trova nelle tombe cristiane dei primi secoli come simbolo di fede nella risurrezione.

Maria ha potuto camminare nel pellegrinaggio della sua esistenza affrontando prove e sofferenze – come la sofferenza di una madre che assiste al supplizio e alla morte ingiusta di un figlio e che solo chi ha avuto esperienza può intuire realmente – perché era aggrappata a Dio e alle sue promesse come a un’àncora. Maria non ha smesso di credere che le prime parole dell’angelo fossero sempre vere: Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te (Lc 1,28). Lei ha ritenuto che quelle parole erano realmente rivolte a Lei anche quando la vita del figlio era minacciata; anche quando stava versando lacrime per quel Figlio. Il Signore è con te, sempre.

Carissimi fratelli e sorelle ammalati, accogliamo Maria tra le nostre realtà più preziose e lasciamoci guidare da Lei nel pellegrinaggio della vita con la speranza nel cuore.

Alcuni di voi hanno incontrato la sofferenza fin dall’infanzia, ma nessuno di voi può essere identificato con la sua malattia: non dimenticate le parole rivolte a Maria perché sono rivolte anche a voi: Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te sempre.

Nel cammino di ogni giorno, accompagnati da altri fratelli e sorelle, si può sperimentare la gioia di vivere in qualunque condizione.

Penso alla testimonianza di fiducia nella vita che molti di voi ci offrono con una tenacia che le persone considerate “sane” non conoscono perché si arrendono di fronte alle prime difficoltà. Permettete che qui ricordi le parole – mi hanno toccato il cuore – di Sammy Basso: «sicuramente in molti diranno che ho perso la mia battaglia contro la malattia. Non ascoltate! Non c’è mai stata nessuna battaglia da combattere, c’è solo stata una vita da abbracciare per com’era, con le sue difficoltà, ma pur sempre splendida, pur sempre fantastica, né premio, né condanna, semplicemente un dono che mi è stato dato da Dio» (dal Testamento).

Altri sono stati raggiunti dalla malattia lungo il sentiero della vita, a causa di un incidente o di un infortunio o per altre ragioni. I sentimenti possono essere anche molto oscuri e tempestuosi in queste circostanze. Nei salmi troviamo molte preghiere rivolte a Dio frutto anche di una rabbia profonda, ma sempre con lo sguardo rivolto a Lui e normalmente in queste preghiere alla fine quei sentimenti vengono trasformati in fiducia e abbandono. L’àncora è la vita quale dono di Dio. L’àncora è la croce gloriosa di Cristo che svela il senso della vita anche nella sofferenza. Croce gloriosa presso la quale rivolgere lo sguardo perché posta sulla vetta di un monte o nella parete della propria stanza: la si guarda, la si contempla, si dialoga con lei.

Possiamo anche riconoscere che l’àncora è la presenza di fratelli e sorelle che si prendono cura di noi, in famiglia, nelle case di riposo, negli ospedali e nelle case di cura. Medici, infermieri, operatori sanitari impegnati ogni giorno nel prendersi cura.

Con papa Francesco dico a voi: «Cari malati, cari fratelli e sorelle che prestate la vostra assistenza ai sofferenti, in questo Giubileo voi avete più che mai un ruolo speciale. Il vostro camminare insieme, infatti, è un segno per tutti, un “inno alla dignità umana, un canto di speranza” (Bolla Spes non confundit, 11), la cui voce va ben oltre le stanze e i letti dei luoghi di cura in cui vi trovate, stimolando e incoraggiando nella carità «la coralità della società intera» (ibid.), in una armonia a volte difficile da realizzare, ma proprio per questo dolcissima e forte, capace di portare luce e calore là dove più ce n’è bisogno.

Tutta la Chiesa vi ringrazia per questo! Anch’io lo faccio e prego per voi affidandovi a Maria, Salute degli infermi, attraverso le parole con cui tanti fratelli e sorelle si sono rivolti a Lei nel bisogno:

Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio. /Non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, / e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta» (Messaggio in occasione della XXXIII Giornata del malato).

vescovo Giuliano