OMELIA nella Celebrazione Eucaristica a Forni
in occasione dell’80° anniversario dell’eccidio di Forni, Settecà e Pedescala
Forni, 30 aprile 2025
Letture: At 5,17-26; Sal 33; Gv 3,16-21
Il povero grida e il Signore lo ascolta. Con queste parole abbiamo pregato dopo aver ascoltato la misteriosa liberazione degli apostoli dal carcere. Gli apostoli erano persone innocenti. Ma la gelosia di un gruppo come la setta dei sadducei aveva spinto ad orchestrare il loro arresto conducendoli in carcere. Sì, nel loro caso, i poveri apostoli gridarono al Signore e vennero ascoltati. Leggendo questo racconto degli apostoli ci viene spontaneo sostituire la parola “ascolta” con la parola “libera”. Sono stati ascoltati e perciò sono stati liberati.
Ma il racconto degli Atti degli apostoli non dice che gli apostoli si erano rivolti a Dio per chiedere la liberazione dal carcere. Gli apostoli avevano un’unica missione, quella indicata dall’angelo: annunciare le parole di vita. Annunciare la buona notizia che è il Vangelo di Gesù. Annunciare cioè la vicinanza di Dio a tutti coloro che si trovano ingiustamente nella difficoltà. Questa è la bella notizia.
Ma a Settecà, a Forni, a Pedescala nei tragici giorni dal 30 aprile al 2 maggio di 80 anni fa il Signore ha ascoltato il grido delle mamme? Il grido dei loro figlioletti? Il grido dei papà e il grido dei parroci? Hanno vissuto ore di angoscia, di sangue e di fuoco – come scrive il parroco di allora in una breve cronistoria di quei giorni. Nelle sue parole si avverte il terrore che è stato seminato in mezzo a queste case, nelle famiglie, nella carne umana ridotta a macello. Quel 30 aprile era di lunedì quando venne seminato la morte in questi paesi. Scrive il parroco di allora: «venerdì sera raccolte e ricomposte le salme nelle bare saranno portate nelle adiacenze della chiesa per attendere al solenne funerale di sabato mattina. Dinanzi alla porta maggiore della chiesa, allineate le bare ai piedi della gradinata, alle 11.30 il parroco celebrerà la s. Messa di suffragio».
Qui, sembra a noi che il grido del povero non sia stato ascoltato. Il povero è stato soppresso ingiustamente. Mogli rimaste vedove, figli privati del padre e una parrocchia senza parroco. Dov’era Dio in quei giorni? Verrebbe da concludere che Dio assisteva indifferente a quell’eccidio?
«Prima delle esequie, – di quel tragico sabato di maggio – l’arciprete di Arsiero, a nome del parroco, tesse un breve elogio funebre. Preghiera, conforto e amore: è la traccia del discorso». Perché pregare? Da dove il conforto e l’amore? Cosa c’era nel cuore di tutti? Non c’era forse dolore, lutto e perfino odio verso coloro che avevano provocato tutto questo? Anche se le notizie erano confuse, ma qualcuno aveva delle responsabilità!
La chiesa di allora come quella di oggi può offrire preghiera, conforto e amore, non per meriti suoi bensì nel nome di Gesù Cristo, il Figlio di Dio. Egli non è venuto per condannare il mondo bensì per amarlo, sempre, in tutte le circostanze, e donare vita. 80 anni fa Dio non se ne stava indifferente in cielo, lontano da Forni, Settecà e Pedescala. Dio era presente nell’umanità degli innocenti torturati e uccisi ingiustamente. Come era nell’umanità di Suo Figlio così era nell’umanità travolta dall’odio della guerra che ha attraversato questi paesi.
In quel Figlio innocente percosso e messo in croce come uno dei peggiori malfattori Dio ha voluto gridare al mondo fino alla fine dei tempi che sta sempre dalla parte di chi soffre, di chi consegna la propria vita piuttosto che eliminare quella degli altri. Gesù, l’uomo nel quale abitava tutta la divinità ha scelto di gridare il suo dolore sulla croce e perfino gridare la percezione che aveva di essere stato abbandonato da Dio, piuttosto che condannare i suoi uccisori. Ed è così che è stata custodita la vita – sembra una contraddizione ma è la verità. Così è stata custodita la vita, fino a discendere nel sepolcro che il terzo giorno venne spalancato. Così è stata custodita la vita, la nostra vita umana, fino all’eternità.
Preghiera, conforto, amore si possono attestare solo perché Dio ascolta sempre il grido del povero e sta al suo fianco, sempre, in tutte le circostanze anche le più tragiche.
E noi siamo qui a ricordare quei giorni tragici, per pregare e affidare tutte le vittime della guerra di allora e di oggi, alla misericordia del Padre.
Siamo qui per versare ancora lacrime di dolore per quanto accaduto. Le lacrime arrecano conforto, quello che nasce dalla compassione cristiana.
Siamo qui per confessare la nostra fede nell’umanità santa di Gesù. Lo facciamo in questi giorni pasquali dove passione e morte sono unite alla risurrezione. Questo è il trionfo dell’amore vero. Non c’è amore alcuno nel promuovere guerre e fabbriche di armi, come purtroppo stiamo assistendo in questi anni. Chi ha responsabilità le assuma con serietà ascoltando il dolore e le ferite ancora aperta di questo popolo.
Signore ascolta anche il nostro grido di poveri che invocano la pace e fratellanza tra paesi, popoli, famiglie. Maria, Madre di Misericordia, tanto venerata a Monte Berico, proteggi queste popolazioni dal flagello del rancore, della divisione, della violenza.
+ vescovo Giuliano
ORE DI ANGOSCIA, DI SANGUE E DI FUOCO
30 aprile, 1-2 maggio 1945
L’ultima settimana di aprile dell’anno 1945, di notte e di giorno per la strada che da Vicenza conduce a Trento, è un passare, anzi una fuga precipitosa delle truppe tedesche. L’orgasmo e la paura della popolazione arriva al massimo della tensione. Le ore dure di sangue e fuoco, più volte in chiesa preannunziate dal parroco, per scuotere la popolazione a voler ricordarsi di più del Signore, non tardarono ad abbattersi anche sul centro di Forni, Settecà e Barcarola. È il giorno 30 aprile – lunedì: giornata nuvolosa, con tendenza a piovaschi primaverili – sono le ore 9.30. il parroco è in casa a far compagnia a quattro reduci dalla Germania, due dei dintorni di Vicenza, uno da Livorno ed uno da Cassino, quando raffiche di mitraglia e colpi di cannone richiamano l’attenzione di tutti. Il cuore batte forte si corre alle finestre e colonne di fumo e fuoco si vedono alzarsi dalle case di Pedescala. Non si conosce il motivo. Alle ore 11.00 arrivano anche a Forni i primi elementi della retroguardia tedesca (non mancano i traditori italiani) sono il terrore in persona. Alle 11.30 quattro armati battono alla porta della canonica e chiedono al parroco le chiavi della chiesa per farvi un sopralluogo: ogni cosa in chiesa è visitata minuziosamente: lo scopo è quello di rinvenire armi e munizioni, così interpreta il parroco, grazie al cielo non era questo il luogo. Il terrore della popolazione è al colmo: gli uomini vengono concentrati nel salone del dopolavoro e le donne e i bambini in una casa privata. Alle ore 13.30 è la volta del parroco che verrà rinchiuso con gli uomini al dopolavoro. Gran parte dei prigionieri stanno seduti con la faccia al muro ed altri in piedi ignari della dura sorte che li attendeva. Segue più tardi lo spoglio dei documenti personali e verso le 16 persone dai più giovani agli anziani e tra questi i sei reduci dalla Germania e quattro veronesi saranno condotti a Settecà, non per lavorare, come fu la parola d’ordine nel prelevarli, ma per essere uccisi. Il fatto del massacro sarà conosciuto il mercoledì mattina quando i barbari avranno lasciato il paese. A dopolavoro ringraziano ancora una ventina di uomini col parroco. Verso sera le donne e i bambini saranno rinchiusi in un’aula scolastica. Una guardia armata vigilerà giorno e notte i prigionieri. Cala la notte: i deportati non fanno ritorno: ore di angoscia colpiscono tutti: il rombo del cannone, dei mortai, raffiche di mitraglia e fucileria si fanno udire continuamente. Dalle case di Sella e di Lorenzi si alzano le fiamme di fuoco. Quale notte di dense tenebre e di spavento si abbatte sui vivi prigionieri. Dopo una notte di veglia, sorge l’alba di martedì – 1 maggio – si promette ai prigionieri che saranno liberati in giornata: ma sono parole vane, lusinghiere. Verso le 9 si accende una grande battaglia tra i tedeschi e i partigiani dell’altopiano di Asiago: dalle gallerie di Castelletto questi ultimi sparano contro i tedeschi di vallata e questi rispondono al fuoco con tute le armi a loro disposizione. La battaglia continua con ritmo accelerato fino alle ore 19 di sera. I pochi uomini abili al lavoro, rimasti al dopolavoro per tutta la giornata di martedì, sotto il pericolo continuo delle pallottole dei partigiani, dovranno servir il signor tedesco in tutti i lavori fino alle ultime ore della sua agonia in Italia. Alle 19 viene sospeso il fuoco: tre ragazze recanti una bandiera bianca ed una lettera del comandante tedesco partono alla volta di Castelletto per chiedere l’armistizio ai partigiani. A questa nuova, una gioia mal contenuta traspare sui visi dei superstiti. Cala una seconda volta la notte. Alle 23.45 entrano a spron battuto nella sala del dopolavoro tre tedeschi: chiedono del parroco, che svegliato di soprassalto risponde alle domande degli interroganti: lo si accusa di aver fatto suonare le campane (da un quarto d’ora era suonata la meridiana del campanile). Di fronte a tale accusa il parroco sa difendersi, spiegando la ragione del suono delle campane (era forse questo l’ultimo tentativo di trovare il pastore in fragranza, per fare la festa?). Dio però vegliava sull’innocenza. Alle prime ore del mattino – mercoledì 2 maggio – i tedeschi si preparano a partire. Il rumore delle macchine richiama l’attenzione di tutti i prigionieri. Che sia giunta l’ora della liberazione? Un fremito di gioia malcontenuta percorre le stanche membra di tutti. Si accende una candela, per meglio osservare i movimenti dell’oppressore e la realtà non tarda a venire. Sono le 6.30: il tedesco è partito: i poveri prigionieri stanchi ed affamati abbandonano le due stanze della loro reclusione e si avviano alle loro abitazioni: dappertutto regna il disordine: le case sono trovate sottosopra: i vandali le hanno spogliate di quanto tornava loro di utile: ma tutto questo poco importa di fronte alla morte scampata ed alla libertà lungamente attesa. L’angoscia delle famiglie sulla sorte dei 32 deportati ancor la sera del lunedì si fa più acuta: dove saranno? La cruda realtà sulla loro sorte non tarda a rivelarsi. Alle ore 7 il parroco è chiamato di urgenza a Settecà da un uomo, certo Lorenzini Romano. Perché colà è stata segnata la sorte dei deportati. Sotto il portico dello stabile di Lorenzi Francesco (Bastianello) furono rinchiusi i 32 uccisi in parte da due bombe a mano e mitragliati: ben 19 uomini e giovani tra cui 4 prigionieri di guerra e tre veronesi, trovarono la morte e per giunta fu dato alle fiamme lo stabile con vittime. Raccapricciante lo spettacolo. A quella vista al parroco cadono le forze e lentamente si muove a dare la benedizione a quei corpi deformati dal fuoco. Ben 12 sono le vittime ridotte a quello stato, mentre altre 7 salme sono ritrovate morte dissanguate nei dintorni delle case per le ferite riportate. Tra le vittime si contano 12 parrocchiani, 3 veronesi e 4 prigionieri. La notizia dell’eccidio non tarda a diffondersi in paese e altrove. Scena straziante per le famiglie delle vittime. Ben presto accorrono uomini e giovani a prestare il loro compito pietoso nel raccogliere le vittime dai vari luoghi e allinearli dinanzi alla casa Lorenzi, come si potrà vedere dalle fotografie. Da mercoledì fino al sabato mattina le salme saranno vegliate di giorno e notte da un picchetto armato. Venerdì sera raccolte e ricomposte le salme nelle bare saranno portate nelle adiacenze della chiesa per attendere al solenne funerale di sabato mattina. Dinanzi alla porta maggiore della chiesa, allineate le bare ai piedi della gradinata, alle 11.30 il parroco celebrerà la s. Messa di suffragio. Oltre a grande folla di gente, si nota l’autorità civile, una formazione di partigiani, la presenza di Mons. Emilio Campi, arciprete di Arsiero, un cappellano don Rino Rigon ed il parroco di Tonezza don Antonio Lovato. Prima delle esequie, l’arciprete di Arsiero, a nome del parroco, tesse un breve elogio funebre. Preghiera, conforto e amore: è la traccia del discorso. Compiute le esequie, al lugubre rintocco delle campanesi snoda il corteo funebre all’ultima dimora. Il parroco accompagna le vittime dell’odio nazista al cimitero. L’acqua benedetta scende ancora una volta sulle bare prima di essere consegnate alla terra.
(dalla cronistoria scritta dal Parroco di Forni)




