Omelia nella Celebrazione Eucaristica della XXIX domenica del Tempo Ordinario (Anno C) con l’inizio del ministero dei presbiteri dell’Unità Pastorale di San Bonifacio San Bonifacio, 19 ottobre 2025

Omelia nella Celebrazione Eucaristica della XXIX domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

con l’inizio del ministero dei presbiteri dell’Unità Pastorale di San Bonifacio

San Bonifacio, 19 ottobre 2025

Letture: Es 17,8-13; Sal 120; 2Tm 3,14-4,2; Lc 18,1-8

Fratelli e sorelle, il Vangelo di questa domenica ci mette davanti a una domanda che Gesù affida al cuore di ciascuno: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8).

È una domanda che non chiede una risposta teorica, ma che invita a guardarci dentro: troverà, in me, in noi, una fede che sa ancora attendere, sperare, pregare con perseveranza?

Oggi la Parola di Dio ci offre tre immagini, come tre lampade per il nostro cammino: le braccia alzate di Mosè, la fedeltà di Timoteo alla Parola, e la vedova che non si stanca di chiedere giustizia. Tre gesti che dicono il volto di una fede viva, non rassegnata, che si nutre di speranza.

Le braccia alzate di Mosè: la fede sostenuta dalla fraternità

Vediamo Mosè con le braccia alzate sul monte, mentre il popolo combatte nella valle. Ma le sue forze vengono meno, e solo grazie ad Aronne e Cur, che gli sostengono le mani, la preghiera non si interrompe.

È un’immagine delicata e concreta della vita del credente e del pastore: nessuno può restare a lungo con le braccia alzate da solo.

Cari don Matteo, don Devis, don Paolo, la vostra missione nelle parrocchie di questa Unità Pastorale comincia così: non da eroi solitari, ma da fratelli che si sorreggono. Il ministero in solido non è una formula giuridica: è un segno evangelico. E a voi, comunità di San Bonifacio, è chiesto di essere come Aronne e Cur: sostenere i vostri preti con la preghiera, la fiducia e la collaborazione. Perché la vittoria della fede — la vittoria dell’amore — passa per queste mani intrecciate, per questa comunione che non si stanca.

Timoteo e la Parola: la fede nutrita dalla memoria

San Paolo, nella seconda lettura, invita Timoteo a “perseverare in quello che hai imparato”. È un ritorno alla sorgente, alla Parola che educa, corregge, consola. La Parola di Dio è la prima maestra del discepolo, e il primo compito del pastore è lasciarsene plasmare.

Anche per le nostre comunità questo è il cammino più sicuro: non smarrire il gusto dell’ascolto. In un tempo di rumori e opinioni, la Parola è il filo che ci tiene uniti al Signore e tra noi.

Don Matteo e don Devis, voi siete chiamati a custodire questo ascolto comune; don Paolo, nella freschezza del tuo ministero, fai sentire alla gente che la Parola non invecchia mai, ma rinnova chi la vive.

E tu, caro don Emilio, che continui a servire come collaboratore, porta nel silenzio e nella prova la testimonianza che la Parola si fa carne anche nella fragilità: è una predicazione silenziosa, ma profonda, che il Signore saprà moltiplicare.

La vedova del Vangelo: la fede che spera contro ogni speranza

Gesù ci racconta la parabola di una donna semplice, una vedova, che non si arrende davanti a un giudice ingiusto. È sola, ma non smette di credere nella giustizia di Dio.
È l’immagine della Chiesa che prega, che non si scoraggia, che continua a bussare al cuore del Signore per il mondo intero.

Oggi, nella Giornata Missionaria Mondiale, Papa Francesco ci invita a essere “Missionari di speranza tra le genti”. Non missionari di efficienza, né di grandi progetti, ma testimoni di una speranza ostinata, come quella vedova del Vangelo: la speranza che il bene è più forte del male, che Dio ascolta, che l’amore vince e che è possibile rinnovare le nostre comunità. Questa speranza è la linfa della missione. Non nasce dalle nostre forze, ma dal grido che sale dalla terra e trova risposta in un Dio che si commuove.

Siamo missionari quando non smettiamo di credere che anche qui, nelle nostre parrocchie e famiglie, in questa città, Dio opera, consola, converte. Missionari quando il Vangelo non resta parola da annunciare, ma diventa stile di vita, segno di fraternità e di fiducia.

Il volto di una Chiesa che cammina

Oggi, insieme ai nuovi pastori, inizia un tratto nuovo della storia di queste parrocchie, anche con l’ingresso ufficiale nell’Unità pastorale della parrocchia di Locara. Ogni inizio porta con sé emozione e timore. Ma la Parola ci rassicura: non siete soli. Il Signore cammina con voi; Egli “non si addormenta, non prende sonno il custode d’Israele” (Sal 120).

La fraternità dei presbiteri, la corresponsabilità dei laici con i gruppi ministeriali e gli organismi di partecipazione, la preghiera dei malati e dei piccoli, tutto questo è la carne viva di una Chiesa che, pur fragile, continua a sperare e ad amare. E forse questa è la risposta alla domanda di Gesù: sì, Signore, sulla terra ci sarà ancora la fede, perché tu continui a suscitarla nel cuore dei tuoi figli.

 Ringrazio insieme a voi don Ismaele e don Davide e don Alex per il ministero che hanno esercitato in mezzo a voi con generosità affrontando una situazione impegnativa.

Affidiamo questo nuovo cammino all’intercessione di Maria, Madre della Speranza, donna che ha creduto quando tutto sembrava perduto. Che la sua fede diventi la nostra: una fede che non si arrende, una preghiera che non tace, una missione che non si chiude ma si apre al mondo con la fiducia mite e forte dei poveri del Vangelo.

Così, come Mosè, Timoteo e la vedova, anche noi potremo dire: “Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo e terra” (Sal 120).

+ vescovo Giuliano