Omelia nella festa della Dedicazione della Basilica Lateranense (con la partecipazione delle Comunità Papa Giovanni XXIII – nel centenario della nascita di don Oreste Benzi) Cattedrale, 8 novembre 2025

Omelia nella festa della Dedicazione della Basilica Lateranense
(con la partecipazione delle Comunità Papa Giovanni XXIII – nel centenario della nascita di don Oreste Benzi)

Cattedrale, 8 novembre 2025

Letture: Ez 47, 1-2.8-9.12; Sal 45; 1Cor 3,9-11.16-17; Gv 2, 13-22

Fratelli e sorelle, la festa di oggi — la Dedicazione della Basilica Lateranense, madre e capo di tutte le chiese di Roma e del mondo — ci ricorda che la Chiesa non è anzitutto un edificio di pietre, ma una comunità di persone viventi, plasmata dallo Spirito e fondata su Cristo, pietra angolare.

Ezechiele ci ha mostrato un’immagine suggestiva: dall’interno del tempio sgorga un’acqua viva, che scende, si allarga, e porta vita dove tutto sembrava sterile. È l’acqua che risana il deserto, che fa rifiorire la terra. È la grazia di Dio che esce dai confini del culto per raggiungere ogni uomo.

Questo fiume che scaturisce dal santuario ci dice che Dio non abita in uno spazio chiuso: la sua presenza è in movimento, sempre “in uscita”. E ogni volta che la Chiesa vive l’amore, la misericordia, la giustizia, quell’acqua riprende a scorrere nel mondo.

San Paolo, nella seconda lettura, ci ha ricordato che noi stessi siamo tempio di Dio: «Lo Spirito di Dio abita in voi». Ogni volta che riconosciamo la dignità di una persona, ogni volta che ci chiniamo su una povertà, ogni volta che custodiamo un piccolo segno di fraternità, il tempio di Dio viene edificato nel cuore del mondo. Non si tratta di costruire muri, ma di aprire porte: “Nessuno sia straniero in casa tua”, diceva san Giovanni Crisostomo.

Nel Vangelo, Gesù entra nel tempio e ne purifica il cuore. Non accetta che il luogo della presenza di Dio diventi un mercato, un calcolo, una convenienza. E Giovanni aggiunge una parola decisiva: «Parlava del tempio del suo corpo».

Gesù è il nuovo tempio. In lui Dio abita per sempre in mezzo a noi. Da quando il suo corpo crocifisso e risorto è diventato la vera dimora del Padre, ogni corpo umano è diventato sacro. Ogni uomo, ogni donna, ogni bambino, anche il più povero o ferito, è un santuario da venerare.

Come non pensare, oggi, a don Oreste Benzi, nel centenario della sua nascita? La sua vita è stata come quel fiume che Ezechiele vide uscire dal tempio: un’acqua che va verso i luoghi più aridi dell’esistenza, dove la vita sembrava spenta. Con il suo linguaggio semplice e profetico, don Oreste non ha mai smesso di gridare che ogni persona è un tempio abitato da Dio, anche chi vive per strada, anche chi è rifiutato, anche chi ha sbagliato.

Diceva spesso: «Nessuno è così povero da non avere qualcosa da dare, e nessuno è così ricco da non aver bisogno di ricevere». Era convinto che la risurrezione di Cristo non è una verità lontana, ma una forza viva che cambia le relazioni, che restituisce dignità a chi è calpestato, che rende nuova la storia.

Don Oreste guardava i poveri non con pietà, ma con fede. Li guardava come presenza viva del Risorto, come luogo dove Dio si manifesta e parla. Così, le case famiglia, le mense, le strade della notte, i centri di accoglienza diventavano nuove “chiese”, nuovi “tabernacoli del corpo di Cristo”.

Carissimi, celebrare oggi la Dedicazione del Laterano con voi, famiglie e amici della Comunità Papa Giovanni XXIII, è riconoscere che il tempio di Dio continua a crescere ogni volta che una comunità sceglie di vivere con i poveri e non semplicemente per i poveri. Ogni gesto di condivisione, ogni casa aperta, ogni accoglienza vissuta nel nome di Gesù è una pietra viva di questa Chiesa che nasce dal Vangelo e che non smette di ricostruirsi dal basso, dal cuore dei piccoli.

Cari fratelli e sorelle, la festa di oggi ci invita a riscoprire il tempio del corpo, nostro e dei fratelli, e a custodirlo come dimora di Dio. Ci invita a lasciar scorrere l’acqua viva dello Spirito oltre le nostre sicurezze, verso le periferie, là dove Cristo ci precede.

E ci chiede di guardare il mondo con gli occhi della Pasqua: non più luoghi profani e luoghi sacri, ma ogni vita redenta, ogni volto amato, ogni povero incontrato, come una chiesa che Dio ha scelto per abitarvi.

Con le parole di don Oreste possiamo allora pregare: «Signore Gesù, fa’ che non ci stanchiamo mai di cercarti nei volti di chi è solo, di chi è scartato, di chi soffre. Rendici Chiesa povera e accogliente, tempio vivo del tuo amore risorto, perché chiunque incontri noi, possa incontrare Te». Amen.

+ vescovo Giuliano