in occasione dei 90 anni della chiesa parrocchiale di Muzzolon
Muzzolon, 26 ottobre 2025
Letture: Sir 35,15-17.20-22; Sal 33; 2Tm 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14
Fratelli e sorelle della parrocchia di Muzzolon,
oggi è giorno di grazia. La Parola di Dio ci raduna, come ha fatto per novant’anni, in questa casa costruita dalla fede dei vostri padri e delle vostre madri, da mani callose e cuori fiduciosi, e che oggi continua ad accoglierci come grembo di comunione e di preghiera. Ogni pietra di questa chiesa parla di loro — del coraggio di don Emilio Campi, dell’entusiasmo di un popolo che, nei primi anni ’30, volle credere che nulla è impossibile se ci si affida a Dio.
Eppure, oggi la Parola ci conduce più in profondità. Gesù ci invita a guardare dentro, nel tempio del cuore, dove si decide la verità della nostra fede. Due uomini salgono al tempio a pregare: un fariseo e un pubblicano. Il primo si presenta davanti a Dio vantando i propri meriti; il secondo, restando a distanza, si batte il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Gesù non condanna la giustizia del fariseo — il suo digiuno, la sua fedeltà — ma mostra che la radice della preghiera autentica è l’umiltà. Il pubblicano “tornò a casa giustificato” perché riconobbe che tutto è dono.
Il cardinale Carlo Maria Martini amava dire che la preghiera è il luogo in cui “il nostro cuore diventa trasparente davanti a Dio”, dove lasciamo cadere le maschere e permettiamo alla misericordia di entrare. Così è anche la storia di questa chiesa: novant’anni di preghiera umile, di mani giunte, di lacrime e di gioie affidate a Dio.
Il libro del Siracide ci ha ricordato: “Il Signore non fa preferenze di persone, ascolta la preghiera dell’oppresso”. È la promessa che ha sostenuto generazioni cristiane di Muzzolon nei momenti duri: la guerra, le fatiche del lavoro, la perdita dei sacerdoti, la necessità di riorganizzarsi come comunità viva anche senza un prete residente. Quante volte, anche voi, come il pubblicano, avete detto: “Signore, abbi pietà di noi”, e avete trovato la forza di tenere aperte le porte della chiesa, come chiese don Silvano dal letto della sofferenza.
E Dio non è rimasto sordo. Egli ha sostenuto il vostro cammino: nei catechisti, nei ministri, nei cori, negli alpini, nella banda, nei volontari della sagra, nelle famiglie che pregano in contrada nel mese di maggio. La giustizia di Dio è fatta di misericordia che si incarna nella fedeltà quotidiana di chi serve, canta, pulisce, educa, perdona.
San Paolo, nella seconda lettura, parla da uomo alla fine della corsa: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede”. Queste parole potrebbero essere scritte sulle pareti di questa chiesa. Per novant’anni, qui si è combattuta la buona battaglia della fede semplice e concreta, che non si misura dai numeri, ma dalla speranza custodita nel cuore.
Cari fratelli e sorelle, oggi il Signore ci chiede di guardare avanti con lo stesso spirito del pubblicano: senza presunzione, ma con la fiducia di chi sa che Dio non si stanca di noi. Questa chiesa non è un monumento al passato, ma un segno di ciò che può nascere quando una comunità si lascia toccare dal Vangelo.
Vi invito a fare memoria non per nostalgia, ma per riconoscenza. Ogni pietra, ogni canto, ogni Eucaristia celebrata qui è un atto di lode. La gratitudine è la forma più alta dell’umiltà. Chi sa ringraziare, è già entrato nella verità di Dio. Chi non sa ringraziare porta solo tristezza e lamentela distruttiva
Oggi, la comunità di Muzzolon torna a casa giustificata, come il pubblicano. Non per i meriti, ma per la fede che ancora palpita in voi. Continuate a tenere aperte le porte della chiesa e della vita: perché chi entra possa trovare non un luogo perfetto, ma un popolo che sa pregare con semplicità, che sa dire: “Signore, tu sei la nostra forza”.
E allora, insieme al salmista, possiamo ripetere: “Il povero grida e il Signore lo ascolta, lo libera da tutte le sue angosce” (Sal 33).
Che il Signore benedica questa comunità che da novant’anni è casa di preghiera, e la renda sempre più casa di misericordia, di accoglienza e di speranza. Anch’io mi sento parte di questa parrocchia: con voi e per voi prego così:
Signore Gesù,
ti ringraziamo per questa casa di pietre e di cuori,
che da novant’anni custodisce il tuo nome e la tua parola,
come il Vangelo trasmesso dall’Evangelista Marco,
che qui è patrono e compagno di cammino.
Donaci il suo sguardo limpido e ardente,
la sua fede che corre dietro a te,
il suo cuore giovane che sa dire al mondo:
“Ecco, il Regno di Dio è vicino”.
Ti rendiamo grazie per la fede dei nostri padri e delle nostre madri,
per la loro tenacia e la loro gioia,
per chi ha edificato muri e cementato speranze,
per chi ha acceso candele di fede nelle notti della storia.
O Dio, che sempre rinnovi la tua Chiesa,
donaci l’audacia di chi non teme il nuovo,
di chi sa trasmettere la fede alle generazioni che crescono,
con la forza mite della testimonianza e della bellezza.
Fa’ che la nostra comunità sia casa che accoglie,
soglia che non respinge e tavola che condivide.
Insegnaci a collaborare con le parrocchie sorelle,
perché insieme possiamo essere un solo corpo,
una sola voce, un solo Vangelo vissuto nel mondo.
E allora, Signore,
i nostri giorni saranno ancora seme di futuro,
le nostre mani intrecceranno legami di pace,
e ogni bambino che entrerà in questa chiesa
sentirà che qui c’è casa,
che qui è accolto con la tenerezza di Maria tua Madre,