SANTA MESSA NELLA NOTTE DI NATALE(Vicenza, chiesa cattedrale, 24 dicembre 2017)

       Desidero porgere un cordiale e fervido augurio di Santo Natale a tutti voi, fratelli e sorelle, a voi consacrate e consacrati, canonici, sacerdoti, diaconi e a voi carissimi ascoltatori di Radio Oreb.
 
       La notte di Natale suscita nei nostri cuori e nei cuori di tanti uomini e tante donne — anche in quelli più tiepidi, più stanchi, più affaticati — sentimenti di gioia, di pace interiore e di bontà. Ma, chiediamoci, da dove nascono e si nutrono questi sentimenti?
       Nascono da un evento unico e irripetibile, un evento che ha segnato e cambiato la storia dell’umanità: l’Incarnazione del Figlio di Dio, disceso dal cielo per la nostra salvezza, fatto uomo come noi, venuto in mezzo a noi, venuto per noi. Sta qui la sorgente vera dei sentimenti di gioia, di pace interiore e di bontà.
 
       Questo evento unico e irripetibile viene narrato solo dall’Evangelista Luca, nel secondo capitolo del suo Vangelo, descrivendone le coordinate storiche dentro l’orizzonte geopolitico del potente e ramificato Impero Romano: «In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città» (Lc 2,1-3).
 
       Dentro a questa storia di grandi e potenti personaggi, si colloca la narrazione della storia semplice e ordinaria di due sposi, Maria e Giuseppe, che sono in viaggio verso la città di Betlemme, luogo di origine di Giuseppe, per farsi censire. Per la sposa, Maria, si compiono i giorni del parto, dà alla luce il suo Figlio primogenito, lo avvolge in fasce e lo depone in una mangiatoia, trovandosi nella parte più riservata della grotta nella quale è stata accolta, luogo normalmente riservato agli animali domestici.                    
       Alcuni pastori, avvisati da un angelo, della nascita di questa creatura si recano in fretta, senza indugio e con grande gioia, a far visita a questo bambino. La narrazione evangelica di questo avvenimento ha segnato la storia del mondo occidentale e non solo, ha stimolato l’immaginazione e la fantasia di artisti, di pittori, di letterati, di musicisti di grande sensibilità e di eccezionale maestria.
       Ma questo avvenimento, a partire da Francesco di Assisi, nei primi anni del 1200, è diventato patrimonio comune di tanti uomini e donne, di tante famiglie, di tante comunità e istituzioni attraverso l’allestimento annuale del presepio. Il presepio non è un simbolo da usare — magari come occasione di scontro ideologico — ma è la ripresentazione di un fatto, di un evento, anzi il più grande fatto della storia, l’avvenimento che ha portato nel mondo, come dice il poeta Ungaretti, un Dio che ride come un bimbo, un Dio che non allontana gli infedeli, che non respinge i poveri, che non evita i fragili.
 
       I simboli possono scaldare le discussioni, i racconti scaldano i cuori e la conoscenza. I grandi artisti, cultori dell’allestimento del presepe, hanno posto tra le statuine una molto curiosa e originale, l’hanno chiamata il “pastore meravigliato” o “l’incantato”. La figura rappresenta un fanciullo con le mani vuote, le braccia aperte e il volto che esprime meraviglia, e vi hanno creato attorno una storiella. Un giorno le statuine del presepio se la presero con “l’incantato” perché non portava nessun dono a Gesù. Gli dicevano: “Non hai vergogna? Vieni a Gesù e non gli porti niente?”. L’incantato non rispondeva, era totalmente assorto a guardare il bambino. I rimproveri si fecero più insistenti. Allora la Madonna intervenne e disse loro: “l’incantato non viene a mani vuote. Non vedete che porta al mio Gesù la sua meraviglia, il suo stupore! L’amore di Dio fatto bambino lo incanta”. Quando tutti compresero, la Madonna concluse: “Il mondo è pieno di meraviglie, ma gli uomini hanno perso la meraviglia. Peccato! Perché è lo stupore che fa crescere il voltaggio dell’anima e la rende luminosa”.
 
       Carissimi, il nostro Natale quest’anno può essere sovraccarico di problemi, di fatiche, di delusioni: la mancanza di lavoro dei nostri giovani, il rischio di licenziamento di molti lavoratori e lavoratrici, la perdita di tanti risparmi, pensati come garanzia per la vecchiaia, il poco rispetto della salute delle persone e dell’ambiente in cui viviamo, le guerre e le violenze in tante parti del mondo. I problemi sono tanti, sono reali e sono gravi, ma non tali da farci perdere la capacità di stupirci, di recuperare la semplicità dello sguardo di fronte un Dio che, con la sua venuta, dimostra di non essere ancora stanco degli uomini.
       Egli ci aiuterà a guardare i problemi del mondo e le persone con occhi e cuore nuovi, gli occhi dei figli di Dio, gli occhi, il cuore, il volto del bambino Gesù, che il profeta Isaia ha indicato con questi nomi: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. In Lui e con Lui è possibile portare luce e speranza in questo nostro mondo così complesso e tormentato.
 
       La venuta di Gesù, il Figlio di Dio tra di noi, assumendo la nostra fragile natura umana, ci insegni la via della solidarietà, della condivisione, della tenerezza e della compassione. Ci renda testimoni del suo amore verso tutte le persone, senza distinzione alcuna. Rinnovi il nostro cuore e la nostra mente per realizzare pensieri e progetti di pace e di giustizia. La nascita del Figlio di Dio riaccenda in noi la speranza che è possibile costruire un mondo più giusto, più solidale e più fraterno.
 
       Auguro che la luce del Natale illumini le menti di tutti i governanti e i responsabili della società, rendendoli capaci di individuare quello che è bene per la nostra società civile; auguro che la pace del Natale si diffonda nel cuore delle nostre città, del nostro paese e di tutti gli abitanti per una rinnovata stagione di solidarietà, di amore fraterno, di attenzione soprattutto ai nostri giovani e alle nostre famiglie, che hanno bisogno di lavoro, di serenità e di guardare al futuro con fiducia.
 
       Auguro un buon Natale ai malati, che lottano e che per guarire, insieme alle medicine, necessitano della nostra vicinanza e del nostro sostegno. Auguro un buon Natale di cuore agli anziani, che costituiscono una straordinaria risorsa di saggezza e di fede.
 
       Auguro un buon Natale ai sacerdoti e ai diaconi, ai religiosi e alle religiose, ai seminaristi e a tutti i fedeli laici, affinché continuino ad annunciare — con tenacia e convinzione — la buona notizia che «il Verbo di Dio si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi». Amen.


 
SANTA MESSA NEL GIORNO DI NATALE
(Vicenza, chiesa cattedrale, 25 dicembre 2017)
 
 
       Desidero porgere un cordiale e fervido augurio di Santo Natale a tutti voi, fratelli e sorelle, a voi consacrate e consacrati, canonici, sacerdoti, diaconi e a voi carissimi ascoltatori di Radio Oreb.
 
       La Solennità del Santo Natale suscita nei nostri cuori e nei cuori di tanti uomini e tante donne — anche in quelli più tiepidi, più stanchi, più affaticati — sentimenti di gioia, di pace interiore e di bontà. Ma, chiediamoci, da dove nascono e si nutrono questi sentimenti?
       Nascono da un evento unico e irripetibile, un evento che ha segnato e cambiato la storia dell’umanità: l’Incarnazione del Figlio di Dio, disceso dal cielo per la nostra salvezza, fatto uomo come noi, venuto in mezzo a noi, venuto per noi. Sta qui la sorgente vera dei sentimenti di gioia, di pace interiore e di bontà.
 
       L’Evangelista Giovanni ha espresso il grande evento del Natale con queste parole: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14); alla lettera: “fissò la sua tenda in mezzo a noi”. È, questo, il punto culminante di tutto il Prologo del Quarto Vangelo che abbiamo appena letto. Questa espressione vuole dirci che Dio, in Gesù suo figlio, non solo si è fatto uomo, ma di più: si è fatto carne, vale a dire ha assunto la fragilità e la debolezza dell’esistenza umana. Dio si è fatto debole per accogliere pienamente la nostra umanità.
       Così si esprime l’Apostolo Paolo nella Lettera ai Filippesi: «Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2,6-7).
 
       “Carne”, nel linguaggio biblico, indica l’uomo nel suo aspetto di essere debole, fragile, perituro. Dio non pretende un uomo forte, perfetto, nel quale non ci sia posto per il limite, l’imperfezione, il peccato. Accettare la fragilità che è in noi e negli altri, saper vivere nella debolezza senza interrompere il nostro cammino e il nostro progetto di vita, prendere coscienza che mai saremo la persona che abbiamo sognato, è il modo per essere uomini e credenti pienamente umani.
       Quando Giovanni dice che “la Parola si fece carne” non afferma semplicemente che prese un corpo mortale, ma che divenne uno di noi, che si fece in tutto simile a noi, compresi i sentimenti, le passioni, le emozioni, i condizionamenti culturali, la stanchezza, la fatica, le gioie e i conflitti interiori. In tutto simile a noi fuorché nel peccato.
 
       La Parola che si fece carne annuncia che Dio è dalla parte dell’uomo, condivide la sua sofferenza, realizza le sue aspirazioni umane. Il Verbo che si è fatto carne nella persona di Gesù, il Figlio di Dio, ha condiviso la nostra storia, le nostre gioie e le nostre fatiche, compresa la fatica e l’esperienza del lavoro, a tal punto da essere definito — nel Vangelo di Marco — «il falegname» (Mc 6,3).
       Gesù, nei trent’anni di vita nascosta a Nazaret, ha lavorato a fianco di Giuseppe, aiutando sua madre Maria, diventando realmente un uomo, “esperto in umanità”, come afferma il Concilio Vaticano II nella Costituzione Gaudium et spes, 22: “Con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, hanno agito con volontà di uomo, ha amato con un cuore d’uomo”.
 
       Oggi voglio ricordare, con preoccupazione e sofferenza, le tante fatiche e incertezze che attraversano il mondo del lavoro: l’elevata percentuale della disoccupazione giovanile, il rischio di licenziamento di molti lavoratori e lavoratrici nel nostro territorio e nel nostro paese, il precariato, il lavoro festivo, il poco rispetto della salute delle persone e della cura e della tutela dell’ambiente.
       Il lavoro è una dimensione fondamentale dell’essere umano, insieme agli affetti e al riposo. La concretezza del lavoro quotidiano diventa il banco di prova e la manifestazione più concreta dei nostri ideali e dei nostri valori. Grazie al lavoro l’uomo e la donna possono dirsi, in qualche modo, compartecipi dell’opera creatrice di Dio.
 
       Faccio appello a tutti coloro che hanno responsabilità politiche, al mondo produttivo, economico e finanziario, perché mettano al primo posto il bene della persona, di ogni persona e di tutte le persone, la solidarietà e il bene comune, affinché si possa realizzare per ogni uomo e ogni donna il diritto ad avere un posto di lavoro come strumento di crescita personale, familiare e sociale. Trovare, mantenere e custodire un posto dignitoso di lavoro può essere uno dei più grandi doni riconosciuti a ogni uomo e a ogni donna della nostra società civile e religiosa.
 
       La venuta di Gesù, il Figlio di Dio tra di noi, assumendo la nostra fragile natura umana, ci insegni la via della solidarietà, della condivisione, della tenerezza e della compassione. Ci renda testimoni del suo amore verso tutte le persone, senza distinzione alcuna. Rinnovi il nostro cuore e la nostra mente per realizzare pensieri e progetti di pace e di giustizia. La nascita del Figlio di Dio riaccenda in noi la speranza che è possibile costruire un mondo più giusto, più solidale e più fraterno.
 
       Auguro che la luce del Natale illumini le menti di tutti i governanti e i responsabili della società, rendendoli capaci di individuare quello che è bene per la nostra società civile; auguro che la pace del Natale si diffonda nel cuore delle nostre città, del nostro paese e di tutti gli abitanti per una rinnovata stagione di solidarietà, di amore fraterno, di attenzione soprattutto ai nostri giovani e alle nostre famiglie, che hanno bisogno di lavoro, di serenità e di guardare al futuro con fiducia.
 
       Auguro un buon Natale ai malati, che lottano e che per guarire, insieme alle medicine, necessitano della nostra vicinanza e del nostro sostegno. Auguro un buon Natale di cuore agli anziani, che costituiscono una straordinaria risorsa di saggezza e di fede.
 
       Auguro un buon Natale ai sacerdoti e ai diaconi, ai religiosi e alle religiose, ai seminaristi e a tutti i fedeli laici, affinché continuino ad annunciare — con tenacia e convinzione — la buona notizia che «il Verbo di Dio si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi». Amen.
 

† Beniamino Pizziol
Vescovo di Vicenza