Per diventare discepoli di speranza, discepoli dell’umanità di Gesù Cristo
Desideriamo vivere questo ritiro spirituale di inizio Quaresima nel cammino dell’anno giubilare. In continuità con quanto il vescovo Lauro ci ha proposto: “Discepoli della speranza” ovvero “Discepoli dell’umanità di Gesù Cristo”.
Don Lauro ci ha invitati ad essere Discepoli di speranza nell’umanità di Gesù. Non in astratto, bensì nella realtà i cui siamo coinvolti quotidianamente, laddove noi che siamo ritenuti “gli operatori del sacro” non siamo esenti da tentazioni e rischi. La realtà è il volto di Dio.
Dio ci ha manifestato un volto talmente innovativo che facciamo fatica ad ospitarlo nella nostra vita, nel nostro ministero e nelle nostre comunità: un Dio che muore per l’uomo. Gesù si è preso cura dell’uomo in tutte le sue dimensioni.
Affermava don Lauro: «Oggi uno dei grandi problemi che abbiamo è una riforma che è a latere di Gesù Cristo. Siamo concentrati sulla dimensione strutturale. Parliamo troppo di strutture… È arrivato il momento di spostare l’attenzione dalle strutture al volto di Dio: un Dio leggero, un Dio innovativo, un Dio che fa dono di sé. – Ed ha aggiunto – Da più parti si sottolinea che il mondo giovanile ha una domanda di spiritualità, sta cercando senso per la vita, ma non lo trova nelle stanze ecclesiali».
Sempre il vescovo Lauro chiedeva: «Chi e che cosa dona calore alla mia vita? Chi e che cosa mi rende felice?». E ci invitava a fissare lo sguardo su Gesù per scoprire che per Lui contavano le persone; contavano i volti. Dove cerco felicità? Nelle attività, nella performance, nel consenso, nei numeri, nel gestire il potere…? Oppure nei volti, nel compagno di viaggio, nell’essere accanto a chi piange, soffre, sta morendo, si interroga, cerca un senso alla sua vita?
Per diventare discepoli di speranza… una triplice conversione
Nel messaggio per la Quaresima di quest’anno papa Francesco ci invita a «Camminare insieme nella speranza per scoprire gli appelli alla conversione che la misericordia di Dio ci rivolge come persone e come comunità».
Il Papa ha sottolineato i tre aspetti dell’unica realtà cui siamo chiamati: conversione al camminare quale appello personale, conversione all’insieme invito alla sinodalità, conversione alla speranza di una promessa.
La conversione ha questi tre aspetti che non possiamo separare.
Le possiamo distinguere nella riflessione per aiutarci ad approfondirli.
Innanzitutto l’appello alla conversione del camminare. Scrive papa Francesco: «Il motto del Giubileo “Pellegrini di speranza” fa pensare al lungo viaggio del popolo d’Israele verso la terra promessa, narrato nel libro dell’Esodo: il difficile cammino dalla schiavitù alla libertà, voluto e guidato dal Signore, che ama il suo popolo e sempre gli è fedele. E non possiamo ricordare l’esodo biblico senza pensare a tanti fratelli e sorelle che oggi fuggono da situazioni di miseria e di violenza e vanno in cerca di una vita migliore per sé e i propri cari. Qui sorge un primo richiamo alla conversione, perché siamo tutti pellegrini nella vita, ma ognuno può chiedersi: come mi lascio interpellare da questa condizione? Sono veramente in cammino o piuttosto paralizzato, statico, con la paura e la mancanza di speranza, oppure adagiato nella mia zona di comodità? Cerco percorsi di liberazione dalle situazioni di peccato e di mancanza di dignità?»
La seconda conversione strettamente unita alla precedente è al camminare non da soli bensì insieme. Ancora papa Francesco: «Camminare insieme significa essere tessitori di unità, a partire dalla comune dignità di figli di Dio (cfr Gal 3,26-28); significa procedere fianco a fianco, senza calpestare o sopraffare l’altro, senza covare invidia o ipocrisia, senza lasciare che qualcuno rimanga indietro o si senta escluso. Andiamo nella stessa direzione, verso la stessa meta, ascoltandoci gli uni gli altri con amore e pazienza».
Il cammino va percorso insieme, anche da noi come presbiterio, presbiteri e vescovo. Non siamo battitori liberi. Siamo chiamati a servire le comunità ascoltandoci gli uni gli altri, cercandoci, aspettando chi è più lento, spingendo in avanti chi è pigro, rimanendo al fianco di chi è in crisi, mai lasciando per strada qualcuno, e neppure abbandonando definitivamente – lasciatemi dire – coloro che per le più svariate motivazioni hanno intrapreso altre strade.
Si giunge così alla terza conversione che è la conversione alla speranza. Aggiunge papa Francesco: «Come ci ha insegnato nell’Enciclica Spe salvi il Papa Benedetto XVI, «l’essere umano ha bisogno dell’amore incondizionato. Ha bisogno di quella certezza che gli fa dire: ‘Né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezze né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore’ ( Rm 8,38-39)”». La nostra grande speranza sta nella risurrezione di Gesù Cristo che ha vinto la morte. Perciò dobbiamo chiederci, continua sempre il Papa: «ho in me la convinzione che Dio perdona i miei peccati? Oppure mi comporto come se potessi salvarmi da solo? Aspiro alla salvezza e invoco l’aiuto di Dio per accoglierla? Vivo concretamente la speranza che mi aiuta a leggere gli eventi della storia e mi spinge all’impegno per la giustizia, alla fraternità, alla cura della casa comune, facendo in modo che nessuno sia lasciato indietro?»
L’esperienza della riconciliazione comunitaria e personale
Oggi siamo invitati ad entrare nell’esperienza della riconciliazione come presbiterio (o comunità diaconale) e come singoli.
Durante la pandemia abbiamo vissuto in alcune parrocchie la celebrazione comunitaria della penitenza con assoluzione generale – date le circostanze eccezionali e l’autorizzazione della Penitenzeria Apostolica. Sono state celebrazioni che hanno coinvolto molto le persone per la dimensione comunitaria del cammino penitenziale. Quella prassi ha fatto emergere la necessità di far uscire dalla stanza privata dell’individuo il sacramento della penitenza per farlo entrare nella piazza più ampia della comunità cristiana. Una comunità che in quanto tale necessita di chiedere perdono. Immersi come siamo in una cultura individualistica, certo senza dimenticare l’aspetto personale dei peccati, tuttavia occorre far emergere anche la loro incidenza sociale, in tutto il corpo ecclesiale, anche in considerazione di quei peccati che sono legati ad un male che si è strutturato e che esige di essere riconosciuto in un cammino penitenziale perché possa essere non solo perdonato da Dio ma pure sradicato dal tessuto della vita comunitaria.
In un tempo piuttosto buio della storia, per gli sconvolgimenti geopolitici, per la rimozione dei più basilari principi che sovrintendono alla vita sociale allo scopo di tutelare interessi particolari di singoli o di gruppi, che cosa possiamo essere e vivere per offrire un barlume di luce e di speranza?
Con la nostra piccola lanterna, credo che possiamo umilmente offrire un barlume di luce in questo nostro mondo innanzitutto riconoscendo le nostre oscurità per “ritornare a Dio” con tutto il cuore, invocando il perdono e così camminare nella conversione.
Proviamo a vivere oggi come presbiterio insieme ai diaconi l’ascolto della Parola di Dio che ci ispira una triplice confessione: della lode, della vita e della fede. All’interno di questa triplice confessione comunitaria viviamo anche quella personale, sempre partendo dalla confessione della lode per giungere alla confessione della vita e della fede (ci sono dei confessori a disposizione ma se non dovessero bastare possiamo in questa particolare occasione giubilare chiedere a qualche confratello di ascoltare la nostra confessione).
L’anno di grazia… oggi si compie
Il testo biblico che ho scelto per vivere la triplice confessione comunitaria e personale è il Vangelo che verrà proclamato anche nella Messa crismale del Giovedì santo. Esso ci può accompagnare nel cammino penitenziale di questa Quaresima fino a Pasqua.
Il contesto. Tre interventi dello Spirito Santo.
Gesù ha ricevuto il battesimo mentre stava in preghiera, “il cielo si aprì” – afferma l’evangelista Luca – e su di Lui scende lo Spirito Santo mentre da quel cielo aperto venne una voce: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”. È il primo intervento dello Spirito Santo per rivelare l’identità di Gesù e la natura della sua missione.
Ed è così che Gesù inizia il suo ministero, quando aveva circa trent’anni. È a questo punto che l’evangelista pone la genealogia di Gesù diversa da quella di Matteo per far risalire quello che era ritenuto figlio di Giuseppe ad Adamo figlio di Dio. Come per la caduta di uno solo – dirà l’apostolo Paolo – si è riversata su tutti gli uomini la condanna (e questo uno è Adamo), così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita (con Cristo nuovo Adamo).
Seguendo l’impulso dello Spirito e da lui guidato Gesù lascia il Giordano e va nel deserto dove per quaranta giorni viene tentato dal diavolo. Qualcuno dopo l’ordinazione presbiterale fa una specie di “viaggio di nozze”, per Gesù l’inizio del ministero avviene con un viaggio nel deserto. Al termine dei 40 giorni Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.
Questo secondo intervento dello Spirito Santo vuole mostrare la strada che Gesù ha scelto di percorrere, la strada liberante e impervia della fiducia nella Parola di Dio al posto di altre strade che si presentano umanamente più promettenti.
Ed ecco che giungiamo al terzo intervento dello Spirito a Nazareth in Galilea. È in questo contesto che lo Spirito suggerisce il contenuto e il destino del suo ministero di annuncio.
Gesù nella sinagoga legge il passo di Isaia 62,1-2. Un testo profetico sul quale richiamiamo due sottolineature.
1) Il testo di Isaia viene modificato, tralasciando l’espressione “guarire i contriti di cuore” e introduce un’altra frase di Isaia: “dare la libertà agli oppressi”. C’è anche un’altra modifica: viene tolta la locuzione “un giorno di vendetta per il nostro Dio”, dicono gli esegeti che quell’espressione “avrebbe limitato il significato universale del passo”. Possiamo ricavare da queste modifiche apportate che la vera novità per Gesù non si ferma al pentimento, va oltre in senso positivo: a tutti è offerta la possibilità di essere uomini liberi. Tutti possono vivere nella libertà dei figli amati.
Mi chiedo se la fatica nostra e di altri di dare valore al cammino penitenziale non dipenda proprio dal fatto che consideriamo troppo poco la libertà che ci viene offerta da Cristo e ci fermiamo alla tristezza che ci procura solo il pensiero delle nostre infedeltà e peccati. Il nostro sguardo non è rivolto a Lui; siamo ancora una volta ripiegati su di noi.
2) Un secondo aspetto interessante è il fatto che Gesù dopo aver proclamato il testo di Isaia “modificato”, non lo spiega e non offre indicazioni morali derivanti da esso. L’evangelista sembra dirci una cosa importante quando scrive e gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi attoniti su di lui. L’attenzione si sposta dalla Scrittura al predicatore. È lui, Gesù, l’inviato dello Spirito, il compimento / la realizzazione ora e nella continuità verso il futuro di quella profezia appena letta nella sinagoga. Le promesse di libertà per tutti si realizzano nell’oggi di Gesù che continua nel tempo e si prolunga nel tempo della chiesa.
Possiamo chiederci: dove è diretto il nostro sguardo? Sull’organizzazione pastorale? Sulle strutture? Sulle Scritture con tutti i possibili approfondimenti esegetici?
L’autore della Lettera agli Ebrei consegna alla comunità cristiana una esortazione che è tanto utile a noi: Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento (12,1-2a). Ecco descritto ancora una volta il nostro camminare o correre pellegrini nella speranza. Ciò ha come conseguenza che l’organizzazione pastorale, le strutture, l’esegesi… tutto questo trova senso nella misura in cui il nostro sguardo è orientato a Gesù Cristo.
Possiamo noi rispondere come rispondeva Madre Teresa a chi le chiedeva “Perché lo fate?”: “Lo facciamo per Gesù”. Nei tanti volti dei poveri di cui si prendeva cura con le sue sorelle vedeva il volto di Gesù.
O dire con San Paolo VI: «Io voglio gridare: Gesù Cristo! / Voglio celebrarti, o Cristo, / non soltanto per ciò che Tu sei per te stesso, / ma esaltarti ed amarti per ciò che Tu sei per noi, /per ciascuno di noi, per ciascun popolo e per ciascuna civiltà».
Fermiamo ora l’attenzione sul contenuto della missione di Gesù.
Gesù dichiara di essere stato inviato (e continua ad essere inviato) per due compiti fondamentali: evangelizzare i poveri e predicare l’anno giubilare.
Il primo è un compito scandaloso per la concezione religiosa del tempo e forse anche per questo nostro tempo. La comunità dei monaci esseni perseguivano un ideale di santità “separandosi” dai peccatori e da coloro che erano colpiti da malattie indicative di una presenza in loro del peccato. La stessa concezione era presente negli ambienti farisaici. Per comprendere questa visione possiamo richiamare due testi scoperti tra i reperti del Mar Rosso: «Stolti, pazzi, deficienti, alienati, ciechi, storpi, zoppi e minorati: nessuno di essi può far parte della comunità: perché angeli santi sono in essa». E in un altro testo: «Nessuno che sia colpito da qualunque impurità… umana può entrare nell’assemblea di Dio. Chiunque è segnato nella carne, storpio ai piedi o alle mani, paralizzato o cieco o sordo o muto o segnato nella carne con un segno visibile, o un vecchio cadente che non può tenersi in piedi nella comunità riunita, questi non vi debbono entrare, per porsi in mezzo alla comunità degli uomini del Nome, poiché santi angeli stanno nella comunità» (J. Jeremias, Il significato teologico dei reperti del Mar Rosso, Brescia 1940, p. 40, ripreso da B. Maggioni, Il racconto di Luca, Assisi 62022, p. 99).
Questi testi mi hanno fatto pensare a ciò che percepisco o passa nella mia mente quando celebro in casa di riposo con persone che in parte sono assopite a causa delle medicine, altre non riescono a rispondere perché colte da sclerosi, altre non sembrano capire… Loro sono i primi destinatari dell’annuncio evangelico, desiderosi di cura e amore e io sono tentato di chiedermi se non è una perdita di tempo per l’insignificanza dei risultati che mi sono costruito. E così si potrebbe allargare l’elenco con le persone che chiedono alla chiesa di accompagnarle con la vicinanza nel tempo del lutto, o nella richiesta di un matrimonio in luoghi strani, o nella sofferenza e malattia. Se pensiamo che solo in tempi recenti abbiamo maturato come chiesa un’attenzione all’accompagnamento spirituale delle persone con disabilità mentale… Ne abbiamo strada da compiere per passare dall’idea di una comunità di persone che hanno fede “matura e pura” – naturalmente secondo i nostri schemi – alla prossimità di coloro che si prendono cura dei tanti emarginati: detenuti, migranti, oppressi da malattie psichiche e interiori, persone ferite che faticano nel vivere quotidiano… Come al tempo di Gesù, questo è scandaloso.
Non solo, quando la chiesa si impegna profeticamente in questa missione evangelica è fortemente osteggiata.
Ha scritto un parroco di Roma: «Evangelizzare i poveri oggi significa, per uno come me, lasciare che chi è povero mi insegni ad amare la sua realtà senza coprirsi gli occhi e averne paura» (Marco Gandolfo, Parroco di San Giovanni Maria Vianney, a Roma, ne L’Osservatore Romano, 19 novembre 2020).
Il secondo compito affidato dallo Spirito Santo a Gesù è proclamare l’anno giubilare. L’anno di grazia evoca quanto prescritto dal Levitico: «Conterai sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni. Al decimo giorno del settimo mese, farai echeggiare il suono del corno; nel giorno dell’espiazione farete echeggiare il corno per tutta la terra. Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia» (25,8-10).
Commentava ancora in occasione del Giubileo del 2000 il pastore valdese Paolo Ricca, docente nella Facoltà valdese di teologia: «Il termine “giubileo” è biblico e indica un anno particolare nel quale ogni israelita “tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia” (Lv 25, 10). L’autore biblico pensava che all’inizio ogni israelita possedeva un pezzo della “terra promessa” e nessun ebreo era schiavo di un altro. In seguito, per errori compiuti o sventure subite, un certo numero di ebrei aveva perso o la terra o la libertà o entrambe. Il giubileo serviva a ripristinare la condizione originaria: ogni cinquant’anni ciascuno recuperava la sua proprietà, se era stato costretto ad alienarla, e riacquistava la sua libertà, se era stato costretto a sacrificarla. Il giubileo quindi conteneva uno straordinario messaggio di emancipazione, garantendo la partecipazione di tutti ai due grandi doni di Dio: la terra e la libertà.
Proprio per questo sembra che non si sia mai celebrato. Si può comprendere perché: attuare il giubileo avrebbe provocato un vero e proprio terremoto sociale. Ma, anche se non sono mai state attuate, le norme del giubileo conservano intatto tutto il loro valore: i figli di Dio non possono essere servi degli uomini (a meno che non sia per amore, non però per necessità); la terra promessa è promessa a tutti e non può essere accaparrata indefinitamente da qualcuno» (Il giubileo del 2000 e il cammino ecumenico, in QDE 11 [1998] 207).
Tornando nella sinagoga di Nazaret, secondo l’evangelista Luca l’anno del giubileo si realizza concretamente nell’oggi di Gesù e si caratterizza per la liberazione dei prigionieri e per l’annuncio di un Dio ricco di misericordia. Non un anno ogni 50. Il giubileo è un oggi. In altre parole il giubileo è una dimensione perenne della storia resa possibile soltanto nella Nuova Alleanza. È il Figlio di Dio che la rende possibile grazie all’estirpazione della radice del male nel cuore dell’uomo.
La reazione dei compaesani e il rifiuto
La reazione dei compaesani di Gesù è inizialmente di stupore e poi di rifiuto. L’evangelista ha voluto sottolineare due aspetti:
l’universalità dell’azione di Dio: la sua patria non è Nazareth, è il mondo;
il rifiuto nei confronti di Gesù non appare soltanto negli ultimi giorni con la crocifissione, è presente fin dall’inizio della sua missione.
Gesù stesso spiega che non è una novità questa destinazione universale dell’azione di Dio, perché è già prefigurata nell’Antico testamento al tempo di Elia che fece un miracolo per una vedova straniera, e pure al tempo di Eliseo che guarì un lebbroso della Siria.
E pure il rifiuto non deve condurci – sembra dire Luca – a cercare colpevoli e innocenti nel popolo di Israele.
Commenta Maggioni: «La Croce non è da imputare ad una particolare malvagità di quella generazione o di quei giudei, ma piuttosto a quella comune durezza di cuore che si incontra dappertutto e in ogni luogo» (Ibid, p. 102).
L’opposizione dei suoi conterranei non è riuscita ad arrestare la storia di Gesù. Infatti Gesù passando in mezzo a loro, se ne andava. Non una fuga, bensì un attraversare la storia con sovrana libertà quasi prefigurando in anticipo la risurrezione.
Alla luce di questa parola ascoltata, sostiamo qualche istante in silenzio prima di vivere insieme la Confessio laudis e la Confessione vitae come assemblea di presbiteri e diaconi che celebra la misericordia del Signore nel cammino ecclesiale che è un cammino sinodale.
CONFESSIO LAUDIS
Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare il lieto annuncio… a proclamare l’anno di grazia del Signore.
Ti rendiamo lode o Padre perché hai ricolmato dello Spirito tuo Figlio e lo hai inviato per rendere possibile l’anno giubilare tanto atteso nel popolo d’Israele. Ti ringraziamo per questo anno di grazia che abbiamo avuto la gioia di iniziare in Diocesi con il sorriso e la gioia dei ragazzi che si mettono a servizio nelle nostre comunità: ci siamo incamminati insieme, famiglie – consacrati – diaconi e presbiteri, tutti dietro la Croce, segno dell’Amore che scaturisce dal Cuore trafitto di tuo Figlio. Sii benedetto nei secoli.
Gesù riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.
Ti rendiamo lode o Padre per il dono della Parola consegnata a noi nelle Sacre Scritture e resa visibile nel Verbo fatto carne. L’hai donata a noi presbiteri e diaconi per essere accolta, vissuta e annunciata. Lungo il cammino sinodale è la tua Parola che ci sta facendo uscire dalla tristezza di vedere le nostre chiese svuotarsi e ci riscalda il cuore. Come un tempo ai discepoli di Emmaus ci sveli il senso delle Scritture e spezzi il Pane per noi invitandoci ad annunciare a tutti che Cristo è risorto ed è apparso a Simone. Sii benedetto nei secoli.
Lo Spirito del Signore è sopra di me; … mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi e la vista; a rimettere in libertà gli oppressi.
Ti rendiamo lode o Padre per il dono di tuo Figlio che si è fatto povero per incontrare i poveri e arricchirci con la sua povertà. Tu ti rendi presente nelle persone che hanno fame e sete, negli immigrati, nei carcerati, nei senza fissa dimora, nelle persone disabili… e ci evangelizzi. Tu un tempo hai sentito il grido del tuo popolo oppresso in terra di Egitto e non hai voltato la faccia. Alla scuola di tuo Figlio anche noi abbiamo sentito in questo tempo il grido dei poveri e il grido della nostra terra inquinata. Sii benedetto nei secoli.
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca.
Ti rendiamo lode o Padre per lo stupore che ha suscitato in noi lo Spirito Santo nell’assemblea diocesana. Abbiamo avvertito che nella fatica di camminare insieme Tu non ci abbandoni. Non hai fatto mancare la gioia di sentirci Chiesa radunata dal tuo Figlio e inviata nel mondo a tessere legami di prossimità con tutti senza distinzione. Ti ringraziamo per i giovani che con le loro visioni ci aprono al futuro e per gli anziani e gli adulti che con i loro sogni si sono messi a servizio della Parola e dell’Eucaristia con nuove ministerialità. Tu continui a chiamare giovani e adulti al ministero del diaconato e del presbiterato. Sii benedetto nei secoli.
CONFESSIO VITAE
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: “Non è costui il figlio di Giuseppe”.
Ti chiediamo perdono o Padre. La familiarità con Gesù, l’avere tra le mani ogni giorno la Tua Parola, celebrare la sua Pasqua per i tanti fratelli e sorelle che hanno concluso la loro vita terrena, è diventata talvolta un’abitudine che ha impedito alla tua grazia di diffondersi con gioia. Hai affidato alle nostre cure il tuo popolo e noi l’abbiamo considerato nostra proprietà da gestire a nostro piacimento. Ci hai costituiti servitori della Parola e noi abbiamo spadroneggiato sul gregge. Abbi misericordia di noi che non sempre ci consideriamo vasi di creta modellati dalle tue mani. Kyrie eleison.
Gesù rispose loro: “In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro”.
Ti chiediamo perdono o Padre per quando come presbiterio ci siamo contagiati gli uni gli altri nella lamentela delle cose che non vanno e non ci soddisfano. Tu ci inviti ad avere pazienza per custodire la speranza che nasce dal Cuore trafitto di tuo Figlio e noi spesso siamo presi dal “tutto e subito” per noi, con il prossimo, con le nostre comunità e perfino con la chiesa. Perdona la nostra mancanza di fiducia. Ci siamo arricchiti di noi stessi, delle nostre belle idee e non riconosciamo in noi la grazia di una povera vedova che accoglie il profeta Elia e del lebbroso Naaman il Siro che si è umiliato scendendo nell’acqua secondo le parole del profeta. Kyrie eleison.
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
Ti chiediamo perdono o Padre, per lo sdegno che ci abita quando ci sembra di non vederti all’opera in mezzo a noi. Per tutte le volte che non riusciamo ad abbandonare i nostri schemi rigidi del “si è sempre fatto così” o delle nostre teorie teologiche e regole giuridiche quando incontriamo le persone. Chiediamo perdono per quando abbiamo rappresentato una chiesa che non ascolta, non accoglie, giudica e fatica a caricarsi sulle spalle la pecora smarrita mettendosi in cammino verso le mete indicate dall’Evangelo – buona notizia. Kyrie eleison.
Gesù riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui.
Ti chiediamo perdono o Padre per tutte le volte che invece di avere lo sguardo fisso su Gesù tuo Figlio, alimentiamo il desiderio di avere lo sguardo della gente fisso su di noi. Invece di condurre a Lui con umiltà e gioia, cadiamo nel tranello del clericalismo accentratore. Chiediamo perdono per i peccati di orgoglio e superbia nel servizio di presidenza delle comunità affidate. E per quando abbiamo impedito un cammino di speranza nelle nostre comunità centrati su di noi e non sul cammino insieme come presbiterio, comunità diaconale, chiesa diocesana e universale. Abbi pietà per tutte le volte che abbiamo pensato e detto: “tanto non cambia nulla”. Kyrie eleison.
CONFESSIO FIDEI
La riconciliazione con Dio si traduce anche nella riconciliazione e il dialogo con tutti i cristiani. Preghiamo insieme il Simbolo di Nicea che, in occasione del suo 17° centenario, verrà pregato nelle Messe di Quaresima e Pasqua, nelle comunità cattoliche, ortodosse e protestanti coinvolte a Vicenza nel cammino ecumenico. Affidiamo a Dio la ricerca della comunione nel rispetto delle differenze di ciascuna tradizione, sapendo che il mistero dell’amore cristiano non cancella le identità, ma illumina le vie con cui si possono sostenere ed apprezzare a vicenda.
Noi crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente,
Creatore del cielo e della terra,
di tutte le cose visibili e invisibili.
Noi crediamo in un solo Signore, Gesù Cristo,
Unigenito Figlio di Dio,
nato dal Padre prima di tutti i secoli.
Luce da luce, Dio vero da Dio vero,
generato, non creato
della stessa sostanza del Padre;
per mezzo di lui tutte le cose sono state create.
Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo.
E per opera dello Spirito Santo
si è incarnato nel seno della Vergine Maria
e si è fatto Uomo.
Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato.
Morì e fu sepolto.
Il terzo giorno è risuscitato secondo le Scritture,
è salito al cielo, siede alla destra del Padre
e di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti,
e il suo Regno non avrà fine.
Crediamo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita,
e procede dal Padre.
Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato,
e ha parlato per mezzo dei profeti.
Crediamo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.
Professiamo un solo battesimo per il perdono dei peccati,