Il sorriso di Kadie

Testimonianza di un chirurgo del Cuamm in Sierra Leone, dove infiamma Ebola


Cari amici, in questa buia giornata, dall’orizzonte basso di nuvole grigie, con l’acqua che scorre a fiumi dal cielo, vogliamo condividere con voi la luce del sorriso di Kadie, che lei stessa ci aveva lungamente e caparbiamente negato per tutto il mese.
 
È arrivata da noi da Pandebu, distretto di Bonthe, confine occidentale di Pujehun (Sierra Leone), nelle braccia di suo padre dopo un mese di febbri e digiuno. Dieci chili di peso per una bimba di 5 anni, il respiro affannoso degli anemici cronici, le caviglie gonfie dei gravi malnutriti, l’addome disteso dalla peritonite cronica, feci liquide che sgorgavano a fiotti dall’ombelico dopo ogni pasto frugale che riusciva a ingollare. Lentamente abbiamo corretto l’anemia, combattuto la malaria, guarito la polmonite, cominciato ad alimentarla con latte speciale. Tuttavia, quanto più si alimentava, tanto maggiore era la portata della fistola intestinale. Un disastro disperante. È toccato a me districarmi un mattino nel suo addome, tra mille aderenze, per trovare il buco che la febbre tifoide vi aveva aperto e chiuderlo con la più azzardata delle suture che ho mai realizzato nella mia vita di chirurgo.

Ho trascorso giorni pieni d’ansia e notti tormentate, mentre lei si “nutriva” di acqua e sali per via endovenosa nell’attesa di sapere che i nostri sforzi non erano stati vani. Poi finalmente, dopo tre giorni, la regolare ripresa delle funzioni intestinali ci ha fatto capire che c’era speranza. Poco importava che nel frattempo, come atteso, la ferita addominale si fosse riaperta. Era quel buco che ci terrorizzava, ed ora era sotto controllo. Piano piano Kadie ha ripreso a mangiare e per tutti noi è cominciato il festival delle uova sode, dei biscotti ipercalorici, la gara ad ingozzarla di ogni leccornia disponibile sul mercato, poche in realtà, ma una continua sorpresa per lei, non usa a tanta ricchezza. Il suo volto imbronciato per settimane, il suo sguardo vuoto e disperato hanno cominciato a rilassarsi e oggi, finalmente, dopo tante sofferenze ci ha donato il più bello dei sorrisi. Kadie è tornata a casa, lavata e profumata, vestita come una regina.

EBOLA È QUI

Di quel sorriso che trasmette gratitudine e gioia oggi abbiamo tutti un grande bisogno. Ebola è qui, tra noi, al nostro fianco. Le certezze con cui si conviveva sino a ieri sono naufragate nel giro di una notte. Finora la distanza dai casi accertati la si misurava in decine di miglia, era la nostra sicurezza, innanzitutto psicologica, sapere quanto lontani rimanevano i focolai di contagio.
 
Da ieri i primi due malati di questo distretto sono sotto la tenda d’isolamento, cento metri dal compound, poche decine di metri dalla maternità e dalla pediatria. Il primo è morto ieri, la seconda ha passato la notte a lamentarsi e oggi è deceduta prime di poter essere trasferita al centro di trattamento di Kenema. La griglia del filtro, che prevede come prima domanda la provenienza del paziente, ha improvvisamente perso molto del suo significato. Ebola è qui. Da Kenema giungono notizie tragiche, di morti raccolti per le strade, a Kailahun ogni giorno decine di pazienti entrano il triage nel centro-tendopoli gestito da MSF perché sospetti malati o sintomatici. Tuttavia regaliamoci una buona notizia: 127 pazienti sono stati dimessi guariti da Kenema, 43 da Kailahun. Pochi, sicuramente, se rapportati ai quasi 500 morti, ma meglio che in altre occasioni.  
 
Di suo il virus ci mette la variabilità, che ci spiazza e ci confonde: meno del 30% dei pazienti sanguina, complicando di molto la diagnosi e le difese. Ora sta a noi alzare al massimo la guardia e fare blocco con tutto il personale coinvolto nelle cure. Solo il tempo ci dirà se avremo fatto qualcosa di buono, risparmiando vite e contagi. E ogni giorno e ogni sera confidiamo in tantissimi altri meravigliosi sorrisi.
 
Paolo Setti Carraro, chirurgo
Medici con l’Africa Cuamm
Ospedale di Pujehun (Sierra Leone)