“Non è bene che Adam sia solo. Cosa significa per chi sceglie il celibato o la castità” è il titolo del convegno che religiosi, religiose e preti diocesani hanno vissuto al Centro “A. Onisto” nel pomeriggio di venerdì 12 aprile. Relatori padre Pino Piva, gesuita, guida di esercizi e accompagnatore spirituale, e Chiara D’Urbano, psicologa e consultrice del Dicastero per il Clero. Al centro il tema della castità, non intesa negativamente solo come mancanza o rinuncia di una sessualità agita, ma come libera scelta che permette e amplia la capacità di amare. “Integrazione” è stata una parola ricorrente in entrambe le relazioni e anche nelle risposte alle provocazioni arrivate dai lavori di gruppo. «La sessualità, nella quale si manifesta l’appartenenza dell’uomo al mondo materiale e biologico – ha detto padre Piva – diventa personale e veramente umana allorché è integrata nella relazione da persona a persona, nel dono reciproco, totale e illimitato nel tempo, dell’uomo e della donna». Solo in questa prospettiva si comprende che la castità comporta quindi l’integrità della persona e l’integralità del dono.
Una delle sottolineature proposte dalla dott.ssa Chiara D’Urbano che più hanno colpito i presenti riguarda la comunità (religiosa e/o parrocchiale) che può diventare asfittica quando s’irrigidisce troppo e non permette più ai diversi membri di essere generativi, oltre a bloccare la generatività della comunità stessa. Diverse domande hanno toccato questo elemento, ma molte altre hanno aperto ulteriori riflessioni, come, per esempio, l’affettività degli anziani e, in particolare, degli anziani consacrati.
Un tema molto complesso, che certamente non si esaurisce in una sola occasione di confronto, ma che si snoda lungo tutte le tappe della vita, attraversando le ferite che ciascuno ha dalla propria storia e le difficoltà che s’incontrano. Ma proprio questa fatica, è stato ribadito, è l’unico modo per vivere una reale umanizzazione come è stato per lo stesso Gesù Cristo.
La consapevolezza è quella di dover affrontare il voto di castità in tutte le sue sfaccettature evitando “spiritualismi e spiritualoidi”, ha ripetuto più volte il giorno successivo anche suor Anna Maria Vitagliani, biblista, guida di esercizi ignaziani, che insieme a padre Pino Piva ha proposto le relazioni sul tema “Dio ama chi dona con gioia. Il dono della castità nella vita consacrata” agli oltre 200 giovani religiosi giunti a Vicenza il 13 aprile per la loro tradizionale giornata di formazione. «Negli ultimi anni a questo momento promosso dalla Segreteria Triveneta dei Giovani
Religiosi partecipavano circa 120 persone, tra giovani in formazione e formatori – ha commentato padre Carlos Eduardo Reynoso Tostado, saveriano in comunità a Vicenza e membro della stessa Segreteria -. Quest’anno invece l’adesione ci ha fortemente sorpresi, ma siamo molto soddisfatti perché evidentemente la risposta indica l’importanza di aver proposto un argomento certo delicato, ma davvero decisivo».
«La domanda fondamentale, non solo nei discernimenti iniziali, riguarda l’essere innamorati – ha spiegato dal canto suo suor Anna Maria Vitagliani -. Ogni tanto è bene fermarsi e chiedersi se in quello che si sta vivendo ci si sente innamorati, cioè si percepisce una donazione di se stessi. Si sceglie la vita consacrata, perché si è innamorati. È una scelta d’amore, in cui sento che – per me – scegliere la consacrazione è la mia via di umanizzazione piena nella vocazione all’amore. La castità è la capacità di vivere l’essere in relazione con un amore sano, cioè adulto, maturo, libero. Ed è una caratteristica che appartiene al modo di stare nelle relazioni in sé, quindi vale per ogni relazione, non solo per la vita consacrata», ha conclusoVitagliani.
Padre Pino Piva ha ripreso nella sua relazione anche diversi paragrafi del Catechismo della Chiesa Cattolica. In particolare al numero 2338 si legge che “la persona casta conserva l’integrità delle forze di vita e di amore che sono in lei. Tale integrità assicura l’unità della persona e si oppone a ogni comportamento che la ferirebbe. Non tollera né doppiezza di vita, né doppiezza di linguaggio”.
Più volte il gesuita, nel corso dei due convegni dello scorso fine settimana, ha ribadito che si tratta di un autentico cammino di umanizzazione, nel quale accogliersi e accogliere la propria umanità lungo tutta la vita.
Naike Monique Borgo
Articolo tratto da La voce dei Berici