COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI(Vicenza, chiesa Cattedrale, 2 novembre 2018)

 
       Carissimi fratelli e sorelle,
       carissimi canonici, presbiteri, diaconi,
       consacrati e consacrate,
       amici ascoltatori di Radio Oreb,
 
       in questa celebrazione eucaristica vogliamo commemorare, fare memoria, di tutti i nostri cari che sono passati oltre la vita terrena e si sono addormentati nella speranza della Risurrezione.
       Secondo una bella e consolidata tradizione, in questo momento ricordiamo i vescovi e i presbiteri della nostra diocesi, in modo particolare coloro che sono morti dal 2 novembre dello scorso anno a oggi. I loro nomi sono: don Giuseppe Rancan, don Giovanni Battista Sola, don Gino Corradin, don Mario Sartori, don Amadio Bertuzzi, don Felice Marangon, don Alessandro Bortolan, don Giacomo Crestani, don Sebastiano Crestani, don Fernando Mattarollo, don Angelo Tomasi, don Bernardino Grigiante, don Pietro Ruaro, don Antonio Costeniero, don Luigi Faccin, don Giovanni Marzari, don Giovanni Bee, don Bruno Fedele, don Gianantonio Allegri.
 
       La memoria dei nostri cari defunti non deve chiudersi in una sorta di “mesta nostalgia”, ma ci deve condurre alla sapienza del cuore, per farci scoprire il vero senso di questa vita e richiamarci la verità gioiosa su cui è fondata la nostra fede: la Risurrezione. Dice, in proposito, Tertulliano — uno dei Padri della Chiesa dei primi secoli —: “la speranza cristiana è la risurrezione dei morti; tutto ciò che noi siamo, lo siamo in quanto crediamo nella risurrezione”.
In questa occasione non possiamo non confrontarci con il mistero della morte.
La parola di Dio ci assicura che la morte non è la disfatta totale della persona, ma è la porta attraverso la quale si passa dalla vita terrena e mortale alla vita eterna e immortale.
‘La vita non è tolta, ma trasformata’, così afferma il prefazio della Messa.
Come diceva il grande teologo Balthasar: ‘La morte è uno scivolare dalle mani degli uomini nelle mani di Dio’.
Gesù ci insegna il modo giusto di affrontare la morte.
Egli guarda con lucidità alla sua morte, ne parla, la annuncia. Non la sfugge, la affronta e ne fa un dono.
Egli ha accettato la terribile morte sulla croce, trasformandola in un dono d’amore per tutti gli uomini, ha trasformato la morte in vita per tutti coloro che credono in Lui.
Il suo segreto è stato la comunione con il Padre, la piena obbedienza alla volontà del Padre.
Questa è l’unica forza che può superare la morte: la comunione con Dio Padre.
       L’Eucarestia che stiamo celebrando è già ora un anticipo, una caparra, di quel banchetto annunciato dal profeta Isaia nella Prima Lettura: «Il Signore preparerà su questo monte un banchetto per tutti i popoli» (Is 25,6). È Dio che prepara questo banchetto per tutti i popoli, nessuno viene lasciato fuori e nessuno viene escluso. Sappiamo che durante questo banchetto accadranno eventi straordinari e fatti inauditi: «Il Signore strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli… Eliminerà la morte per sempre… asciugherà le lacrime su ogni volto» (Is 25,7-8). Il profeta Isaia alludeva certamente ai tempi messianici, ma non si rendeva conto della portata delle promesse che, in nome di Dio, stava facendo; non immaginava che un giorno il Signore Gesù avrebbe davvero distrutto la morte per sempre. Lo capirà invece l’Apostolo Paolo che — illuminato dagli avvenimenti della Pasqua — scriveva ai Corinti: «La morte è stata ingoiata per la vittoria di Cristo» (1Cor 15,54).
 
       Nel brano della lettera di Paolo ai Romani che abbiamo letto, c’è una originale e importante riflessione sulla creazione che è destinata essa stessa alla redenzione operata da Cristo. L’uomo che ha stravolto il progetto di Dio sulla creazione ora è colto dallo spavento di fronte alle conseguenze dei suoi errori: vede minacciata la fertilità della terra, la salubrità dell’aria, la purezza dell’acqua. Si rende conto dei danni provocati alle piante, agli animali, e sa di aver riempito i fondali marini di rifiuti tossici. Ma anche la creazione attende di essere redenta, di essere ricondotta al progetto di Dio che, all’inizio, aveva contemplato con stupore l’opera compiuta perché « era cosa buona» (Gen 1,31).
       Paolo invita a non disperare e a non interpretare il grido di dolore del creato come quello di un agonizzante, ma come quello di una donna che sta per dare alla luce una nuova creatura.
 
       La scena del Giudizio finale che abbiamo letto nel Vangelo di Matteo non ha lo scopo di informarci su ciò che accadrà alla fine dei tempi, bensì di darci degli insegnamenti su come comportarci oggi, nella nostra vita ordinaria. Gli anni della vita dell’uomo sono un bene prezioso, sono un tesoro che va investito: non si può sbagliare, perché la vita è una sola e Gesù ci indica come impiegarla.
       La lista delle persone da aiutare era nota in tutto il Medio Oriente Antico: l’affamato, l’assetato, il forestiero, il nudo, il malato, il carcerato. Ma la novità portata da Gesù è che egli si identifica con queste persone: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).
       Quando — per ciascuno di noi e per tutti noi — si concluderà la Storia sulla terra, quando ogni uomo rimarrà solo con se stesso e con il Signore, un solo bene risulterà prezioso: l’amore. La vita sarà considerata riuscita o fallita a seconda dell’impegno profuso per eliminare le situazioni di sofferenza e di povertà: la fame, la sete, l’esilio, la nudità, la malattia, la prigionia. Con la morte si deve lasciare tutto quello che si è avuto: beni, onori, ricchezze, ma non si perde quello che si è donato. Chi vive per gli altri e dona quello che è e quello che ha, si arricchisce davanti a Dio.
 
       Concludiamo, esprimendo la nostra fede nella Risurrezione con due strofe dell’antica sequenza pasquale Victimae paschali: «Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello, / il Signore della vita era morto, ma ora, vivo, trionfa. Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto. / Tu, Re vittorioso, portaci la tua salvezza». Amen!

 
† Beniamino Pizziol
Vescovo di Vicenza