DOMENICA DI PASQUA(Basilica di Monte Berico, 12 aprile 2020)

Carissimi fratelli e sorelle, consacrati e consacrate,
diaconi e presbiteri, a tutti voi porgo l’augurio di buona e santa Pasqua!
L’augurio di quest’anno vi raggiunge, in un modo singolare: non direttamente dal vescovo, dalla Chiesa cattedrale, ma dalla Basilica della nostra Madonna di Monte Berico.
Vi raggiunge, attraverso TVA e radio Oreb, che ringrazio, mentre nelle vostre case, con le vostre famiglie, partecipate spiritualmente a questa celebrazione della Pasqua.
Tutti sentiamo l’umana nostalgia delle celebrazioni nelle nostre comunità, la nostalgia dei volti dei nostri fratelli e sorelle, della mancanza dell’abbraccio di pace e, soprattutto, dell’impossibilità di ricevere la comunione sacramentale, possiamo, comunque, ringraziare il Signore che continua a essere realmente presente in mezzo a noi: “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20).
Anche chi è solo può vivere la comunione con il Signore Risorto, nella preghiera e nell’ascolto della sua parola.
 
         “È risorto! È vivo!”, ecco l’annuncio che da duemila anni risuona nel mondo portando gioia e speranza. La Pasqua è la festa più importante della nostra fede cristiana. Tutto il cristianesimo si riassume in queste parole: “Cristo è risorto”. È la notizia più importante della Storia, quella che ha mutato il corso dell’universo.
         Ma cerchiamo di comprendere e interiorizzare questo evento, come ci viene narrato dall’Evangelista Giovanni.
 
         «Mentre era ancora buio, di buon mattino, Maria di Magdala si reca al sepolcro». La tomba è l’unico elemento concreto, visibile, che rimane a Maria di Magdala, dopo l’incontro con quell’uomo, Gesù, che le aveva cambiato la vita. Ma ella si trova di fronte e un fatto sorprendente, impensato: la pietra è stata tolta dal sepolcro. Immediatamente corre da Simon Pietro e dal discepolo che Gesù amava e dà una sua prima interpretazione di questo fatto: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto» (Gv 20,13b).
         E, allora, corrono tutti e due, Simon Pietro e Giovanni, corrono perché una cosa del genere li colpisce nel mezzo del loro smarrimento doloroso, del loro lutto, della loro tristezza. Corrono perché vogliono vedere, toccare con mano quella pietra pesante che è stata rimossa, mentre avrebbe dovuto sigillare per sempre la tomba. Corrono per rendersi conto di persona di quanto è accaduto, con la fretta di chi non può attendere un minuto in più. Corrono, ma le energie sono ben diverse, e così il più giovane arriva prima, ma aspetta il più anziano. Ed è dunque Simon Pietro che entra per primo nel sepolcro, un sepolcro inesorabilmente vuoto, in cui rimangono solo le tracce legate al corpo senza vita che vi era stato deposto: le bende e il sudario. Solo a questo punto entra anche l’altro discepolo, quello che Gesù amava, ma lui “vide e credette”.
         Forse la radice di tutto è in quell’amore che Giovanni aveva ricevuto e custodito. Aprendosi a questo amore anche l’imprevisto, l’inatteso, l’insperato acquista un senso. Anche noi, come Giovanni, siamo chiamati ad arrivare alla fede nella Risurrezione attraverso la via dell’amore accolto e donato.
         Vivere la Pasqua di Cristo significa entrare sempre più nella logica di Dio, che non è prima di tutto quella del dolore e della morte, ma quella dell’amore e del dono di sé che porta vita. Significa, così, entrare nella logica del Vangelo.
 
         Ma la fede pasquale nella Risurrezione di Gesù non è immediatamente offerta ai discepoli e a ciascuno di noi. Non è scontata. Essa chiede la disponibilità a compiere un cammino, essa mette in moto un processo di comprensione e di conversione. Il processo di Risurrezione e di Trasfigurazione del mondo e delle persone è già iniziato, è già in atto. Noi siamo chiamati a vivere una vita da risorti, e siamo impegnati a porre segni di risurrezione, anche in questa dolorosa e preoccupante situazione sanitaria.
Quanti segni di Risurrezione abbiamo vissuto in questo tormentato periodo: la dedizione totale di tanti medici, infermieri e infermiere, personale sanitario, molti dei quali hanno perfino donato la propria vita per cercare di guarire le persone contagiate, a loro possiamo applicare le parole di Gesù: “Non       c’è amore più grande di chi dona la vita per i fratelli” (cfr. Gv 15,13).
Come non ricordare l’amore e la santa pazienza di tante mamme e tanti papà che si prendono cura dei propri figli con affetto e creatività? Come non lodare i bambini, i ragazzi e i giovani, che sanno trasformare questo tempo di limitazioni e restrizioni, in un tempo di studio, di gioco, di solidarietà con le persone sole, come i nonni, i parenti e gli amici?
Come non ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile offrire generi di prima necessità alle famiglie, alle persone sole, alle persone povere?
Come non ricordarci nella preghiera di coloro che sono morti in questo periodo, in modo particolare coloro che sono morti a causa di questo virus così contagioso.
Come non pensare alla responsabilità e all’impegno di quanti sono chiamati a fare le scelte più giuste per il bene delle persone e dell’intero nostro paese?
Come non lodare l’impegno degli operatori della comunicazione sociale che ci rendono possibile conoscere l’andamento reale di questa pandemia e ci consentono di partecipare spiritualmente alle celebrazioni più importanti della nostra tradizione cristiana.
         Questa pandemia sanitaria rischia di lasciare nel buio la nostra vita personale e comunitaria, oltre che sociale. Come cristiani dobbiamo trovare la nostra forza e la nostra speranza nella preghiera intensa e fiduciosa. Dobbiamo tornare a Gesù, nostra luce, meditare il suo Vangelo, la sua vita, il mistero della sua Pasqua.
         In noi agisce la potenza del Risorto e allora non c’è sofferenza che non possa essere riscaldata dall’amore, non c’è valle oscura da cui non si possa risalire, non c’è morte che non possa essere riconsegnata alla vita.
 
         In questo momento desidero porgere l’augurio di Santa Pasqua a tutte le persone malate, anziane o sole che si trovano negli ospedali, nelle case di riposo, nelle comunità religiose.
         Porgo l’augurio pasquale a tutte le autorità civili e militari che, soprattutto in giorni faticosi, hanno il gravoso compito di garantire la sicurezza e la salute dei cittadini.
         Un augurio cordiale e affettuoso ai nostri sacerdoti che si prodigano, con tutti i mezzi a loro disposizione, per far sentire la loro vicinanza spirituale e la loro solidarietà a tutti gli uomini e le donne affidati alla loro cura pastorale
         Il Risorto ci precede e ci accompagna lungo le strade del nostro      cammino. Sia Lui la nostra speranza e la nostra vera pace. Buona e santa Pasqua.
 

† Beniamino Pizziol
Vescovo di Vicenza