Intervento a conclusione del 14° Cammino diocesano di Pace – Vicenza, 1 gennaio 2023

Lettura: Gen 25-31

 

«Se vogliamo che sia Natale, il Natale di Gesù e della pace, guardiamo a Betlemme e fissiamo lo sguardo sul volto del Bambino che è nato per noi! E in quel piccolo viso innocente, riconosciamo quello dei bambini che in ogni parte del mondo anelano alla pace.

Il nostro sguardo si riempia dei volti dei fratelli e delle sorelle ucraini, che vivono questo Natale al buio, al freddo o lontano dalle proprie case, a causa della distruzione causata da dieci mesi di guerra. Il Signore ci renda pronti a gesti concreti di solidarietà per aiutare quanti stanno soffrendo, e illumini le menti di chi ha il potere di far tacere le armi e porre fine subito a questa guerra insensata! Purtroppo, si preferisce ascoltare altre ragioni, dettate dalle logiche del mondo. Ma la voce del Bambino, chi l’ascolta?» (papa Francesco, Messaggio “Urbi et orbi”, 25 dicembre 2022).

 

L’accorato appello di papa Francesco, rivolto a tutto il mondo domenica scorsa, vogliamo che risuoni anche in mezzo a noi, in questa città di Vicenza, nella sua Provincia, in tutte le comunità cristiane della Diocesi e in tutti gli uomini e donne di buona volontà. Il nostro sguardo si riempia dei volti dei fratelli e delle sorelle ucraini. Il nostro sguardo si riempia dei volti dei fratelli stranieri che giungono da noi a mani vuote e delle sorelle straniere ingannate e lasciate nelle mani di criminali dei traffici sessuali nelle nostre strade.

 

L’appello di papa Francesco affonda le sue radici nelle vicende che la Bibbia ci ha trasmesso. Come può l’umanità conoscere giorni di pace? Non facciamoci illusioni. La radice della violenza sta nel cuore umano. Ce lo ha ricordato l’avventura di due fratelli gemelli: Esaù e Giacobbe.

La loro vicenda personale, tra l’altro, non si conclude tra loro due. Infatti Esaù con la sua discendenza costituirà il popolo degli idumei e Giacobbe il popolo degli israeliti. Due fratelli e due popoli. C’è una stretta relazione tra le nostre vicende personali e le vicende delle nazioni e dei popoli.

Infatti questi due fratelli sperimentano l’ostilità fin dal seno materno. Come dire che nessuno è escluso da questa possibilità. La radice dei conflitti tra gli uomini sono molto profonde e toccano la nostra umanità fin dagli inizi della nostra esistenza.

Giacobbe che non è il primogenito però prediletto dalla madre troverà il modo di approfittare della debolezza del fratello che torna dalla caccia per farsi dare la primogenitura da Esaù fratello gemello prediletto dal padre Isacco (il figlio di Abramo) in cambio di un piatto di lenticchie.

Ma l’ostilità tra i due cresce ancor di più quando il padre ormai anziano e cieco vuole benedire il figlio primogenito Esaù concedendogli l’eredità. Il figlio Giacobbe lo ingannò, complice la madre Rebecca. E da quel momento i due fratelli non potevano più vedersi.

È entrato nel nostro linguaggio: non ti posso più vedere. Sì perché quando nel cuore c’è acredine, astio e odio verso qualcuno noi non vogliamo più guardare il suo volto. Anche nelle esecuzioni compiute da terroristi talora si copre il volto di colui che si vuole eliminare, oppure lo si mette rivolto con il volto al muro.

Perché non riusciamo a sostenere lo sguardo verso colui che consideriamo nostro nemico? Perché il volto manifesta la dignità della persona. Quando guardo nel volto una persona veniamo toccati nel cuore e dalle viscere più profonde esce la compassione. E nello stesso tempo il nostro cuore prova vergogna, ci tocca nella nostra sensibilità laddove emerge il nostro senso di colpa.

Ecco perché è un gesto inaudito quello che Esaù compie nei confronti del fratello Giacobbe. Era scappato da lui, in quanto si sentiva minacciato per averlo ingannato più volte. Quando Esaù va incontro al fratello rivale Giacobbe con tutto il suo seguito, un intero popolo, e per paura Giacobbe gli invia dei doni costosi, in modo da toccare il cuore del fratello sperando di essere risparmiato, Esaù gli corse incontro, lo abbracciò, gli si gettò al collo, lo baciò e piansero.

Lo stupore che cambia le sorti di due fratelli e di due popoli è generato soltanto dalla capacità di disarmare il cuore dall’odio, per riconoscersi in volto e vivere l’abbraccio della riconciliazione.

Impariamo a guardarci nel volto, gli uni gli altri. È molto importante. Ce lo suggerisce spesso papa Francesco. Quando un povero ti chiede l’elemosina non accontentarti di lasciargli del denaro, fermati, guardalo in volto e chiedigli qualche cosa. Inizia cioè una relazione con lui.

 

Disarmiamo i cuori dall’indifferenza e dall’odio, affrontando con coraggio il rischio di guardare in volto soprattutto coloro che consideriamo più ostili a noi.

 

E vorremmo in questo cammino di pace sognare il giorno nel quale la guerra tra i popoli sia considerata sempre iniqua, illegittima, fuori legge. Il giorno nel quale non si dica più “questa è una guerra giusta” per i tanti motivi che possiamo immaginare.

Come lungo la storia è maturata la coscienza che la schiavitù è illegittima e disumana, così si possa dichiarare ingiusta ogni forma di guerra tra i popoli e si trovino modalità nuove per risolvere gli inevitabili conflitti tra le nazioni. Si prediliga la via diplomatica, fatta di dialogo e di trattative e si abbandoni definitivamente la via della guerra che lascia solo distruzione e odio nel cuore per intere generazioni.

 

Ma tutto questo è possibile imparando ogni giorno a riconoscerci in volto.

 

Buon Anno a tutti voi, artigiani di pace.

 

† Giuliano, vostro vescovo