LITURGIA FUNEBRE PER DON OTTORINO FRACASSO(Castelnovo, chiesa parrocchiale, 22 dicembre 2015)

Dopo una lunga esistenza, piena di fede e ricca di frutti spirituali, don Ottorino Fracasso ha concluso il suo pellegrinaggio terreno. Vogliamo ricordare il suo generoso ministero pastorale, svolto come vicario cooperatore a Santa Croce di Cittadella, Lovertino e Sarcedo, come parroco a Villa di Molvena, Sant’Ulderico di Tretto e Cattignano, e come cappellano all’ospedale di Marostica e alla casa di riposo “Gaspari-Bressan” di Isola Vicentina e, infine, come collaboratore pastorale prima a San Clemente di Valdagno e poi a Isola Vicentina e Castelnovo. Don Ottorino scrive nelle sue memorie: «Come una trottola ho girato tutta la Diocesi, ma sempre per obbedienza».
 
         Ho avuto modo di incontrare don Ottorino in diverse occasioni, presso la Fondazione “Gaspari-Bressan”, di fermarmi a dialogare con lui, in fraternità spirituale. Mi ha sempre colpito il suo vigore e la sua passione apostolica, pur essendo ormai avanti negli anni. La prima volta che lo incontrai, nel giugno del 2014, mi riferì di aver già preparato la predica del suo funerale, scritta nel giorno di San Tommaso Apostolo. Questa predica non è stata trovata e allora ho pensato di proporre a tutti voi qui presenti il Vangelo previsto per la festa del Santo Apostolo Tommaso, che si celebra il 3 luglio.
 
         Tommaso era un uomo al quale non si addiceva l’aria del mistero e al quale non piacevano le cose complicate. Perciò quando le donne cominciano a dire di aver visto il Maestro risuscitato egli, forse dentro di sé, prova come un sentimento di fastidio. E quando i compagni gli assicurano di avere addirittura ricevuto la visita del Signore ancora piagato, egli si ribella dicendo: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo» (Gv 20,25). Non sono tanto le parole di un incredulo, quanto di un uomo schietto ed esplicito, che vuole essere sicuro delle cose e rifugge dai “si dice”. Teme quella che noi, oggi, chiamiamo, la “suggestione collettiva”.
         Gesù trarrà dalla sua incredulità il motivo di una importantissima lezione. Otto giorni dopo, infatti, il Maestro riappare ancora nella stanza del Cenacolo, presente questa volta anche Tommaso. Va verso di lui e gli dice: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente» (Gv 20,27). Tommaso, con lo slancio del suo carattere generoso e spontaneo, esclama convinto: «Mio Signore e mio Dio» (Gv 20,28). Ed ecco la grande lezione che Tommaso ha provocato da parte di Gesù, con la sua pur legittima incredulità: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto» (Gv 20,29).
 
         È la lezione della Fede, che non vale solo per Tommaso, ma nanchde per il confratello don Ottorino e per ciascuno di noi: “credere prima di vedere e credere per vedere”. Così scrive un nostro sacerdote che ha accompagnato don Ottorino in questi anni, presso la Fondazione “Gaspari-Bressan”: «Fin dal primo istante mi ha colpito il suo modo, entusiasta e umile, di parlare della sua vita sacerdotale svolta in ambiti pastorali piuttosto “periferici”. Ricordava sempre con emozione gli inizi “poveri” del suo cammino vocazionale e il suo legame affettivo con il Seminario conservato da prete».
 
         Celebrare la Santa Messa e predicare era sempre una gioia per lui. Ultimamente, si sentiva venir meno fisicamente e, senza mezzi termini, serenamente, chiedeva di pregare perché il Signore venisse a prenderlo. Venerdì pomeriggio l’ho visto molto sofferente, mi ha accolto, col suo fare tipico, gioioso: mi prese la mano e stringendola al petto, pronunciava a fatica le parole che altre volte avevo udito dalle sue labbra: «Paradiso! Paradiso!».
 
         Come Prima Lettura abbiamo letto un brano tratto dal Libro della Sapienza. L’autore di questo libro introduce una rivelazione nuova e illuminante, soprattutto per i numerosi ebrei che vivevano ad Alessandria d’Egitto, in una società pagana e idolatra, ma è valida anche per noi oggi: con la morte non è tutto finito, esiste una vita oltre questa vita terrena.
         La morte dei giusti non è una sciagura, un annientamento, ma il punto di arrivo alla mèta, alla beatitudine in Dio. La speranza dei giusti è piena di immortalità. È la prima volta che nella Bibbia compare questa parola, nel senso di una vita senza fine (v. 4). Alla luce dell’immortalità è possibile cogliere il significato della sofferenza che i giusti hanno dovuto sopportare. Le sofferenze sono per i giusti prove attraverso le quali possono dimostrare il loro attaccamento a Dio e ai suoi insegnamenti. Le hanno sostenute con coraggio, per questo il Signore «li ha trovati degni di sé e li ha graditi come un’offerta» (vv. 5-6). Nel mondo nuovo saranno con Dio e regneranno per sempre con lui (vv. 8-9).
 
         Don Ottorino ha attraversato le molteplici prove con questa fede e con questo abbandono fiducioso nel Signore. Ringraziamo Dio per il dono che ci ha fatto con la vita e con il ministero di questo suo servo. Affidiamolo nelle mani del Padre Buono e Misericordioso. Noi sappiamo che per chi muore nel Signore la vita non è tolta ma trasformata e crediamo che don Ottorino vive in Dio, veglia su di noi e ci aspetta.
 
         Per l’Eucaristia che tante volte questo sacerdote ha celebrato (per ben 67 anni!), per le parole del Vangelo che ha annunciato a tanti fratelli, per quello che ha sofferto, Dio Padre infinitamente Buono, lo accolga nell’assemblea dei Santi.
         La Vergine Maria, la nostra Madonna di Monte Berico, i Santi e i Beati della nostra Chiesa vicentina, gli vengano incontro festosi e lo accompagnino a Dio, con Gesù, di cui fu segno e sacramento. E tutti insieme chiediamo al Signore la grazia di numerose e sante vocazioni al Sacramento del Matrimonio, alla Vita Consacrata e al Ministero Sacerdotale. Amen!
† Beniamino Pizziol

Vescovo di Vicenza