LITURGIA FUNEBRE PER MONS. GIOVANNI BERNARDI(Duomo di San Bonifacio, 14 novembre 2013)

Mentre l’Anno liturgico sta volgendo verso la sua conclusione e la liturgia della Chiesa ci invita a riflettere sulle realtà ultime della nostra vita, mons. Giovanni Bernardi ha terminato la sua esistenza terrena e ha compiuto la sua Pasqua, il passaggio da questo mondo al Padre, buono e misericordioso.


Ho avuto poche occasioni di incontrare questo sacerdote, che ho conosciuto indirettamente, mediante altri preti e fedeli, ma ho potuto ugualmente apprezzare il senso del suo sacerdozio, del suo ministero grazie al duplice testamento spirituale, che ci ha lasciato: il primo datato 6 giugno 1993, nel cinquantesimo anniversario della ordinazione presbiterale, avvenuta il 6 giugno 1943; il secondo datato 20 ottobre 1994, giorno in cui consegna, così si esprime, ‘nelle mani robuste di mons. Gino Bassan la grande comunità cristiana di San Bonifacio, di cui sono stato pastore per ben 36 anni‘. Tutti e due i testamenti spirituali sono intessuti alla luce della Parola di Dio, citata in modo puntuale e preciso per ben 6 volte.


Ho voluto scegliere, per questa liturgia funebre, un brano della Lettera di Paolo ai Romani e un passo del Vangelo di Luca che don Giovanni cita nel testamento e che, in parte, anche commenta. Egli sente di aver vissuto il suo lungo, intenso ministero pastorale come un ‘servo inutile‘. Come quel servo, di cui parla l’evangelista Luca, che, dopo aver lavorato da mane a sera, o come contadino o come pastore, al rientro a casa non può pretendere nulla, anzi dovrà dedicarsi a preparare la cena per il suo padrone. Ed ecco le sorprendenti e sconvolgenti parole conclusive del Signore Gesù: ‘Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: ‘Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare'(Lc 12,10).


Don Giovanni così commenta questo versetto del Vangelo lucano: ‘O Signore, sono cosciente di non aver dato tutto me stesso; per di più quel pesante aggettivo ‘inutile’ mi turba. Eppure sento che non può significare ‘buono a nulla’, tant’è vero che tu mi hai scelto e Ti sei servito di me, come di ogni altro sacerdote per portare a compimento i tuoi disegni. Significa piuttosto che sempre avrei dovuto pormi dopo di te, sempre e soltanto in risposta a te. Ma la mia risposta, inadeguata e povera, non è stata all’altezza dell’amore con cui hai guidato i miei passi‘.


Altrettanto chiaro è in don Giovanni il senso della vita e della morte. Egli ha ben presente che ogni battezzato è stato accomunato alla morte di Cristo, e, come Cristo, sarà reso partecipe anche della sua risurrezione. Come abbiamo ascoltato nella Lettera di Paolo ai cristiani di Roma: ‘Se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui‘ (Rm 6, 8-9). Scrive don Giovanni: ‘Il mio cammino con il progredire del tempo, porta con sé l’inevitabile declino delle forze, gli acciacchi della vecchiaia, l’approssimarsi stesso della morte: in me opera la morte, in voi la vita! Le persone passano, la comunità rimane. Pregate per la mia anima. Quando sarò giunto alla dimora eterna, ricorderò al Padre ciascuno di voi. O Maria, sii tu la mia avvocata nel giorno del giudizio‘.


Vogliamo, ora, innalzare un inno di ringraziamento a Dio con le stesse parole di questo nostro confratello sacerdote, scritte nel giorno del suo cinquantesimo anniversario di ordinazione presbiterale: ‘Signore voglio renderti grazie in eterno per quanto hai operato in me. Rendo grazie in eterno a Dio Creatore e Padre per il dono della vita. Rendo grazie in eterno a Cristo Gesù per il dono della chiamata al sacerdozio. Rendo grazie in eterno allo Spirito Santo al quale Gesù ha affidato la sua chiesa e la mia vita di cristiano e di pastore d’anime. Rendo grazie con l’affetto di figlio a Maria madre di Gesù e madre nostra, a Lei sono stato consacrato fin da bambino. Rendo grazie ai genitori e alla mia patriarcale famiglia (14 fratelli). Esprimo sincera gratitudine ai superiori e insegnanti del Seminario, ai vescovi che mi hanno sempre sorretto con la loro stima e confidenza. Esprimo la mia vivissima riconoscenza ai numerosi sacerdoti giovani che nell’arco di ben 36 anni hanno condiviso la responsabilità di una pastorale vivace, intensa, sempre aggiornata in ogni ambito, a motivo della freschezza del loro sacerdozio, della loro seria preparazione e dello spirito di comunione che li animava. E che dovrei dire poi dei cooperatori, animatori, laici senza numero. Carissimi tutti, il compito di dirvi grazie supera tutte le forze del mio cuore‘.


Sulla bara di don Giovanni è aperto il Vangelo: sul Vangelo egli ha giocato la sua vita.


Il cero acceso accanto al suo corpo mortale è simbolo di Cristo Risorto: la sua luce non conosce tramonto.


Tra poco aspergeremo la sua bara con l’acqua battesimale: essa è segno dello Spirito di vita che un giorno sveglierà questo corpo perché sia partecipe della pienezza della risurrezione.


Poi l’avvolgeremo con i profumi dell’incenso a significare la gloria del Risorto che un giorno avvolgerà anche il corpo di don Giovanni.


Signore Gesù, ora ti consegniamo questo nostro fratello sacerdote: per 70 anni ti ha servito, predicando la tua Parola, celebrando l’Eucaristia, esercitando il suo lungo e sapiente ministero pastorale.


E tu, don Giovanni, prega per tutti noi, affinché, nella fedeltà al Signore, viviamo il pensiero della morte con la serietà serena con cui l’hai vissuto tu. Prega per i tuoi cari, per il nostro presbiterio e il nostro Seminario: ottienici dal Signore la grazia di numerose vocazioni al sacerdozio, alla vita consacrata e al sacramento del Matrimonio.