LITURGIA FUNEBRE PER MONSIGNOR SILVIO PARLATO(Vicenza, Chiesa Cattedrale, 11 gennaio 2016)

         Monsignor Silvio Parlato ci ha lasciati verso la conclusione delle celebrazioni del Santo Natale, il giorno dopo l’Epifania del Signore Gesù ai popoli pagani, rappresentati dai Magi. Il mistero del Natale mi sembra la chiave più pertinente per leggere la vita e il ministero di questo confratello sacerdote.
         Il Natale è “gloria” nell’umiltà e nel silenzio: «Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo» (Fil 2,6-7). Don Silvio era dotato di una calda umanità che si riusciva a sperimentare nell’incontro con lui, specie da parte dei più deboli e bisognosi di aiuto e di comprensione.
 
         Fu ordinato prete dal vescovo Carlo Zinato il 24 giugno 1956 e subito assegnato come vicario parrocchiale nella parrocchia di Santa Maria in Colle, a Bassano del Grappa, e successivamente nella parrocchia del Cuore Immacolato di Maria in Vicenza. Svolse fin dai primi giorni della sua ordinazione, l’insegnamento della Religione Cattolica nelle Scuole pubbliche statali, insegnamento che durò più di vent’anni.
         Nel 1971 fu nominato parroco di Ospedaletto e dopo 15 anni fu trasferito – sempre come parroco – nella parrocchia di Santa Croce ai Carmini, in Vicenza, dove rimase per 21 anni, più un altro anno come amministratore parrocchiale. Nel 2008 venne nominato canonico residenziale della chiesa cattedrale, dove si dedicò soprattutto al ministero della riconciliazione. Trascorse gli ultimi anni della sua vita presso la nostra casa per sacerdoti anziani e ammalati, casa San Rocco, RSA Novello.
 
         Abbiamo ascoltato – come Prima Lettura – un brano della Lettera di San Paolo ai Romani. Questo brano è stato scelto da don Silvio per la celebrazione del Cinquantesimo anniversario della sua ordinazione presbiterale, il 24 giugno 2006, perché sentiva – nelle parole dell’Apostolo – la sua vocazione e la sua missione di prete, di insegnante, di parroco; il suo stile di vita insomma.
         I membri della comunità cristiana formano un solo corpo in Cristo, e ogni battezzato ha un suo compito proprio, ed è chiamato a svolgere questa missione con umiltà, consapevole dei propri limiti, usando in modo diligente e responsabile i doni ricevuti per il bene di tutti. La comunione tra tutti i membri del corpo mistico di Cristo esige soprattutto la carità tra i fratelli, una carità sincera, affettuosa e sollecita. La carità ci fa partecipare alle gioie e ai dolori degli altri come se fossero nostri: «Gioire con chi gioisce, piangere con chi piange».
         Scriveva don Silvio in quella occasione: «Ti lodo, Signore mio, per il dono della vita, della fede e del sacerdozio, che mi ha dato la possibilità di camminare con te e con la gente, di stare tra le persone che gioivano e tra quelle che piangevano, con gli ammalati nel fisico e nello spirito, con tanti giovani, soprattutto con quelli che hanno vissuto con difficoltà il loro cammino di crescita e formazione, e con i bambini, che sono sempre stati la mia gioia e la mia consolazione».
 
         Ma per ogni persona il momento più faticoso e più difficile della propria vita, è vissuto nell’ora della prova della malattia, della sofferenza e della consapevolezza della vicinanza della morte. Si può, a ragione, affermare che ogni uomo e ogni donna esprime nelle ultime ore della sua vita il senso profondo dell’intera esistenza. Scrive una parrocchiana di don Silvio: «Nella sua malattia abbiamo ricevuto una iniezione di fiducia, di abbandono in Dio e di serenità». Anch’io ho avuto la grazia di accompagnarlo in questi mesi nella sua via crucis, da quando il suo stato di salute è progressivamente peggiorato, passando attraverso più ricoveri in ospedale fino al giorno della sua morte. Egli ha affrontato la malattia senza lamentele, in un atteggiamento di serenità, donando spesso un sorriso dolce e rasserenante ai tanti amici che andavano a visitarlo.
 
         La morte di una persona cara – anche quando sopraggiunge in età avanzata – crea sempre un profondo turbamento, pone delle domande radicali sul senso del vivere, del soffrire e del morire.
 
         La pagina del Vangelo secondo Marco che abbiamo ascoltato, ci presenta Gesù nell’orto del Getzemani, nell’ora della Passione. Con lui ci sono solo tre discepoli, quelli che lo avevano contemplato nella Trasfigurazione: Pietro, Giacomo e Giovanni. Gesù mentre prega – addolorato per il tradimento di Giuda e consapevole della morte ormai vicina – sperimenta i sentimenti più oscuri della vicenda umana: la paura e l’angoscia. E chiede ai tre discepoli di pregare e di vegliare insieme a lui: «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate».
         Il Figlio di Dio – come l’abbiamo conosciuto nel mistero del Natale – si è fatto uomo in modo reale, in carne e sangue, ha assunto la nostra fragilità e la nostra debolezza, il nostro desiderio di una vita piena, gioiosa, una vita compiuta. Gesù non ha cercato la sofferenza, anzi: ha chiesto al Padre di sottrarlo da questa dolorosa prova: «Cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell’ora. E diceva: “Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice!”».
         In queste parole ritroviamo le suppliche e le richieste di ciascuno di noi, sia per quanto riguarda le nostre persone, ma anche per quanto riguarda i “calici colmi di sofferenza” che stanno sperimentando tante persone in tante parti del nostro mondo. Gesù non si è tirato indietro di fronte alla sofferenza, di fronte al dono totale della sua vita per la nostra salvezza, ha trasformato la sua indicibile sofferenza in un atto d’amore per gli uomini e di obbedienza al Padre suo: «Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu».
 
         Noi crediamo che nella morte di ogni nostro fratello – e quindi anche nella morte di don Silvio – va a compimento la morte di Cristo, e i battezzati vengono associati alla morte di Cristo per partecipare alla sua Risurrezione, come dice l’Apostolo Paolo: «Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione» (Rom 6,6).
 
         Ora è giunto il momento di congedarci da don Silvio, consegnando il suo corpo alla sepoltura, nella ferma speranza che risorgerà alla fine dei tempi. Vogliamo fare nostre le parole di ringraziamento di questo nostro confratello, espresse nel giorno del suo giubileo sacerdotale: «Rendo grazie a te, o Signore, ai miei genitori, ai sacerdoti che mi hanno formato e a tutte le persone che hanno collaborato con me in questi lunghi anni: le porto tutte nel cuore».
         Affidiamo don Silvio all’intercessione della Vergine Maria, la nostra Madonna di Monte Berico. Lo affidiamo ai Santi e ai Beati della nostra Chiesa perché gli vadano incontro e lo conducano a Dio, Padre Buono e Misericordioso e tutti insieme, con un cuor solo e un’anima sola, chiediamo al Signore la grazia di sante vocazioni al Sacramento del Matrimonio, alla Vita Consacrata e al Ministero Sacerdotale. Amen. 

 

† Beniamino Pizziol
Vescovo di Vicenza