Letture: Is 61,1-3.6.8-9; Sal 88; Ap 1,5-8; Lc 4,16-21
Gesù, unto di Spirito Santo e inviato
Lo Spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha unto. Mi ha inviato a dare una buona notizia a chi soffre… Sono queste le parole del profeta Isaia che il Signore Gesù legge in giorno di sabato nella sinagoga di Nazareth. Egli aveva da poco ricevuto l’unzione dello Spirito Santo una volta uscito dalle acque del Giordano.
Secondo l’evangelista Luca quell’antica profezia si compie nella persona di Gesù Cristo che è passato in Palestina in tempo preciso della storia e grazie alla sua condizione di Risorto giunge fino a noi nell’oggi della liturgia cristiana, del ministero apostolico sacerdotale, della vita ecclesiale dei battezzati… Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato.
La Parola di grazia attira e provoca
In Luca, prima di compiere ogni miracolo, prima di invitare alla conversione, prima di ogni chiamata a seguire Gesù, sta la Parola di grazia nella potenza dello Spirito Santo (4,14). Quando Pietro, nel libro degli Atti, si rivolse a Cornelio disse: Questa è la Parola che egli ha inviato ai figli di Israele, recando la buona notizia della pace, per mezzo di Gesù Cristo, che è Signore di tutti (At 10,36).
Inviati dalla Sapienza (Lc 11,49), profeti e apostoli ci danno la possibilità di cogliere in tutte le sue dimensioni la Parola di grazia e di benedizione che prende corpo nel nostro oggi. Da Nazareth, la patria di Gesù, la Parola si diffonde con l’attività missionaria di cui ci parlano gli Atti, espandendosi fino alla fine dei tempi.
I compaesani di Gesù si chiederanno: che Parola è questa? Cosa porta di reale novità? Non è costui il figlio di Giuseppe? Se la Parola gravida di Spirito Santo attraversa il nostro oggi non dobbiamo sorprenderci se anche in questo nostro tempo quella Parola trova resistenza o lascia del tutto indifferenti i suoi uditori.
Le tentazioni all’accoglienza della Parola di grazia
Ma prima di pensare agli altri possiamo chiederci: come ci trova quella Parola di grazia? Che reazione suscita in noi? Potrebbe aver suscitato stupore nel tempo degli inizi della nostra sequela ed ora trovarci più insensibili a causa dell’abitudine. Oppure indifferenti; attorno a noi c’è indifferenza a quella Parola che si presenta come buona notizia – almeno così ci sembra – e l’indifferenza altrui poco per volta diviene anche la nostra.
Nel secondo capitolo dell’Evangelii Gaudium papa Francesco passa in rassegna alcune tentazioni degli operatori pastorali che ostacolano l’accoglienza del Vangelo e la possibilità che sia annunciato.
Egli ricorda l’accidia egoista, il pessimismo sterile, la mondanità spirituale, la guerra tra di noi, ministeri laicali poco significativi, marginalità della donna nelle responsabilità pastorali, sordità alle inquietudini dei giovani, annuncio poco credibile della vita sacerdotale e consacrata… invitando ad affrontare la sfida di una spiritualità missionaria e ad accogliere le relazioni nuove generate da Gesù Cristo.
Alla radice delle tentazioni
Alla radice di queste tentazioni vi è una condizione che sola rende possibile in noi l’accoglienza gioiosa e permanente della buona notizia – dell’evangelo –: il sentirsi appartenenti alla classe dei sofferenti e dei poveri. Infatti questo è destinato ai sofferenti e ai poveri. Lo Spirito… mi ha inviato a dare una buona notizia a chi soffre. Noi ci avvertiamo tra questi? Ci sentiamo coinvolti delle sofferenze di tanti fratelli e sorelle raggiunti dalla malattia, da disagi psichici, da pesi interiori insormontabili, dalla mancanza del cibo, o del lavoro, o della casa (quante sorelle e fratelli immigrati patiscono l’impossibilità di ricevere in affitto una casa e devono elemosinare per mesi e anni prima di avere un tetto a disposizione!). Noi ci vediamo entro le fila dei poveri che chiedono aiuto, che mancano di qualcosa di essenziale? Oppure siamo tranquillizzati dalle nostre sicurezze? Le nostre sicurezze sono i nostri tranquillanti? Noi abbiamo davvero “sete di Dio”. O tutto sommato ci accontentiamo di uno stile di vita alienante, magari con una certa presenza di Gesù Cristo senza carne e senza impegno verso il prossimo?
Nuove risposte a nuove domande
Carissimi confratelli presbiteri e diaconi, negli incontri che ho avuto la gioia di vivere con voi in queste settimane, ho potuto toccare con mano la grande passione apostolica nel servire le comunità a voi affidate e le fatiche nel viverla in un contesto di crisi che appesantisce. E vi ringrazio per questa testimonianza di dedizione. Tuttavia proprio questo contesto, nel quale si respira una certa afasia spirituale, potrebbe far crescere in noi una scorza e invece di scelte coraggiose, aperte alla novità dello Spirito, ci rassicuriamo in alcune attività pastorali che sono come acqua stagnante. Papa Francesco in Messico ha ammonito i vescovi: «Vi prego di non cadere nella paralisi di dare vecchie risposte alle nuove domande» (13/2/2016). Occorre avere uno sguardo rivolto al futuro. Lo ricordava tempo fa Dietrich Bonhoeffer: «La nostra sfida, oggi, non è “come ce la caviamo”, come noi usciamo da questa realtà; la nostra sfida vera è “come potrà essere la vita della prossima generazione”». (cit. da papa Francesco, 12/9/2020).
Quando noi ci avvertiamo tra i sofferenti e i poveri, la buona notizia di Gesù raggiunge le nostre inquietudini insieme a quelle dell’intera umanità. E il Signore Gesù, che fece udire i sordi e parlare i muti, ci concede di ascoltare con stupore la sua parola, e di professare la gioia della fede, a lode e gloria di Dio Padre. Tutti, in quanto battezzati, possiamo vivere questo stupore e questa gioia.
E a noi ministri ordinati, che con l’ordinazione diaconale abbiamo ricevuto tra le nostre mani il libro dei Vangeli, ritroviamo il senso profondo delle parole rivolte a ciascuno di noi: Ricevi il Vangelo di Cristo del quale sei divenuto l’annunziatore: credi sempre ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni. La nostra spiritualità è una spiritualità dell’annuncio gioioso del Vangelo di Cristo ai sofferenti e ai poveri.
Compagni di viaggio dei nuovi “cercatori”
Tra questi “poveri” vi sono molte persone che cercano fonti alternative a quelle cui eravamo abituati. A quelle fonti si dissetano cercando quella che Francesco d’Assisi chiamava “cella interiore”. Alcuni nella spiritualità orientale, addirittura del lontano oriente (come yoga, zen e altre scuole di meditazione); altri si abbeverano a fonti carismatiche; altri sono in ricerca di luoghi alternativi come i monasteri di vario tipo; infine c’è una corsa verso le manifestazioni del divino con rivelazioni private. Queste ricerche hanno anche un lato oscuro: quello della commercializzazione e banalizzazione dell’interiorità. Nello stesso tempo proprio queste “ricerche” che noi avvertiamo come “disordinate” possono risvegliare in noi una nuova attenzione al grande patrimonio dei mistici cristiani.
Dunque tra i poveri vi sono anche questi uomini e donne, adolescenti e giovani. Il compito che ci è affidato di annunciare il Vangelo chiede a noi di farci compagni di viaggio, noi poveri cercatori e assetati di Dio, e condividere un cammino spirituale insieme a loro, consapevoli che soltanto La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù (EG n. 1).
† vescovo Giuliano