OMELIA DELLA SANTA MESSA NELL’ANNIVERSARIO DELL’ELEZIONE DI PAPA GIOVANNI PAOLO I(Chiesa parrocchiale di Canale d’Agordo, 26 agosto 2013)

Carissimi fratelli e sorelle,
Eccellenza,
carissimi sacerdoti, diaconi, consacrati e consacrate,
gentili autorità,
siamo riuniti, oggi, in questa chiesa parrocchiale di Canale d’Agordo per ricordare il 35° anniversario dell’elezione a Sommo Pontefice del card. Albino Luciani. Egli, ‘per imminente pericolo di vita’, ricevette validamente il Battesimo in casa, il 19 ottobre 1912, per mano della levatrice, ma in questa chiesa il vicario parrocchiale del tempo, don Achille Ronzon, compì i riti complementari del sacramento. E in questo sacro edificio il futuro Papa visse parte della sua formazione cristiana e maturò la sua vocazione. Lo afferma lui stesso nei suoi scritti: ‘Quando entrando in chiesa, sentivo l’organo suonare a piene canne, dimenticavo i miei poveri abiti, avevo l’impressione che l’organo salutasse particolarmente me e i miei piccoli compagni come altrettanti principi. Di qui la prima vaga intuizione, diventata in seguito certezza convinta che la Chiesa cattolica non è solo qualcosa di grande, ma che fa grandi anche i piccoli’.
Questa chiesa di S. Giovanni Battista fu cornice di diverse tappe della sua vita: qui fece da chierichetto, qui apprese i primi rudimenti della dottrina cristiana e del catechismo di Pio X, ricevette la Cresima, il 26 settembre 1919, qui fece la prima Comunione, celebrò la prima S. Messa dopo l’ordinazione nel 1935, tornò appena nominato vescovo.
Lasciamoci, ora, condurre quasi per mano dalla Parola di Dio che abbiamo proclamato ed ascoltato. La pagina del Libro del Siracide ci invita a scoprire, nelle meraviglie del creato, la gloria di Dio, perché esso è opera della sua Parola. Quale migliore occasione ci viene offerta, oggi, in questo stupendo scenario, di incontrare il Signore attraverso il libro del creato e il libro delle Sacre Scritture? Viviamo in un tempo in cui la velocizzazione del pensiero e dell’azione rischia di far perdere all’uomo la capacità di ammirazione e di stupore davanti alle opere di Dio presenti nel cosmo, il quale spazia dalle grandi dimensioni stellari al cinguettio di un uccellino, dalla forza degli elementi, che non riusciamo a dominare, fino all’armonia meravigliosa del corpo umano. Tutto il creato è un’epifania, una manifestazione di Dio. Con S. Francesco d’Assisi possiamo esclamare: ‘Laudato sii, mi Signore, per tutte le tue creature’. E mentre siamo come avvolti nella sapienza creatrice della natura, sentiamo anche la presenza divina nella nostra interiorità più profonda. Così abbiamo letto nel Siracide: ‘Il Signore scruta l’abisso e il cuore e penetra tutti i loro segreti’ (42, 18). Parole che riecheggiano il salmo 139, 1-3: ‘Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo, intendi da lontano i miei pensieri, osservi il mio cammino e il mio riposo, ti sono note tutte le mie vie’.
Illuminanti sono anche le parole del santo dottore Agostino d’Ippona, che così scrive: ‘Non uscire fuori di te, ritorna in te stesso: nell’interiorità dell’uomo abita la Verità’ (Noli foras ire, in te ipsure redi, in interiore homine habitat Veritas) (De vera religione, XXXIX).
In questo contesto ambientale, nella sua dimensione creaturale, umana ed antropologica si è formata la personalità del futuro sacerdote, vescovo e papa Albino Luciani.
Il brano della Lettera ai Colossesi di S. Paolo ci invita a ‘rivestirci di Cristo’. Il vestito, nel linguaggio biblico, è il simbolo delle opere, che manifestano, all’esterno, le disposizioni interiori, le scelte del cuore. Il vestito rivela i nostri sentimenti, mostra se siamo allegri o in lutto, se è un giorno di festa o lavorativo. Il cristiano, che nel Battesimo è risorto con Cristo a vita nuova, ha indossato un vestito nuovo, bianco, luminoso. Paolo elenca le caratteristiche dell’abito cristiano, che è tessuto con sette tipi di stoffa: ‘la tenerezza, la bontà, l’umiltà, la mansuetudine, la magnanimità, la sopportazione vicendevole e il perdono reciproco’ (3, 12-13). E la cintura, che raccoglie e tiene unito questo vestito, è la carità: ‘Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto’ (3, 14).
Ogni cristiano è chiamato ad indossare questo vestito: uomini e donne, vescovi, sacerdoti, diaconi, suore e laici. Papa Luciani si è rivestito di questo abito fin dalla sua fanciullezza e l’ha portato lungo tutto il cammino della sua vita faticosa e travagliata.
Ciascuno di noi è proiettato nella vita in un segmento particolare della storia e tutti siamo chiamati ad assumere il nostro tratto di storia, vivendolo nella fedeltà a Dio e ai fratelli.
I 66 anni di vita di Albino Luciani, dal 1912 al 1978, sono stati attraversati da eventi complessi e sofferti, portatori di profondi cambiamenti sociali ed ecclesiali. E’ sufficiente ricordare la povertà e l’emigrazione, che coinvolsero anche la sua famiglia; le due guerre mondiali; gli anni affascinanti ed inquieti del Concilio Vaticano II (1962-1965); il periodo della contestazione studentesca, operaia, ecclesiale e il terrorismo.
Albino Luciani ha attraversato questo arco della storia, riservatogli dal Signore, come sacerdote, Vescovo di Vittorio Veneto, Patriarca di Venezia e Papa, poggiando su due solidi fondamenti: le virtù dell’umiltà e della fortezza. Egli, infatti, è stato, nel contempo, umile e forte.
Scrive Benedetto XVI: ‘L’umiltà può essere considerata il suo testamento spirituale. Grazie proprio a questa sua virtù, bastarono trentatrè giorni perché papa Luciani entrasse nel cuore della gente’. Non dimentichiamo il motto ‘Humilitas’ voluto sul cartiglio del suo stemma episcopale, lo stesso di S. Carlo Borromeo.
Alla virtù dell’umiltà in Luciani si unì la virtù della fortezza nel difendere la dottrina della fede e nella dedizione totale alla Chiesa di Cristo. Scrive il beato Giovanni Paolo II: ‘Come sacerdote, come vescovo, come patriarca e come papa, Giovanni Paolo I non ha fatto altro che questo: dedicare tutto se stesso alla Chiesa, fino all’estremo respiro. La morte lo ha colto così, come sugli spalti di un vero e proprio servizio insonne; così egli è vissuto, così è morto’.
E veniamo, ora, a contemplare l’azione evangelizzatrice di Gesù, come ci viene descritta nel Vangelo di Luca al capitolo quarto. Siamo di fronte ad una scena straordinaria della vita di Gesù, caratterizzata dalla potenza dello Spirito, dall’entusiasmo della gente e dalla sua fama, che si diffonde ovunque. Nella sinagoga di Nazareth, Gesù legge e interpreta le parole di Isaia (61, 1-2), applicandole alla sua persona. Egli traduce nell’oggi la profezia di Isaia, che diventa il programma di tutta la sua attività messianica. Con lui, infatti, inizia l’anno di grazia o anno giubilare. Con lui è sceso lo Spirito di Dio sulla terra, che porterà la salvezza all’umanità: ‘Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete ascoltato’ (4, 21).
La liberazione, che Gesù porta, è destinata in particolar modo ai poveri, agli oppressi, ai prigionieri, ai ciechi, perché costoro sono aperti più degli altri all’annuncio di salvezza e all’azione dello Spirito.  Nel discorso di Gesù, nella sinagoga di Nazareth, viene tracciato il compito di evangelizzazione e di testimonianza della chiesa e dei cristiani di tutti i tempi e di tutti i luoghi. A questa evangelizzazione Albino Luciani si è dedicato e impegnato lungo tutto il corso della sua vita come sacerdote, vescovo e papa e l’ha fatto secondo il carisma singolare della semplicità e dell’impronta catechetico ‘ pastorale. Scrive lo storico Marco Roncalli a proposito della predicazione di Luciani: ‘Al pievano, don Carli, va fatto risalire senza dubbio lo stile semplice dell’omiletica di Luciani, la sua impronta pastorale, la propensione a un linguaggio da tutti comprensibile, dove si ricorre agli esempi, al dialogo diretto, alla vita quotidiana. Questo stile è dovuto allo sforzo continuo di traduzione didattica per portare verità eterne nella mente e nel cuore del suo tempo’ (Giovanni Paolo I, San Paolo, pag. 59).
Desidero, infine, ringraziare Sua Eccellenza mons. Giuseppe Andrich per avermi invitato a presiedere questa celebrazione eucaristica nel ricordo del 35° anniversario dell’elezione al soglio pontificio di Giovanni Paolo I. Ringrazio anche il parroco, don Mariano, per la sua squisita ospitalità.
Il Patriarca Luciani è stato il padre del mio sacerdozio. Al suo arrivo a Venezia, nel febbraio 1970, stavo per terminare gli studi di teologia e nel dicembre del 1972 venni ordinato prete da lui nella chiesa parrocchiale di S. Lorenzo Giustiniani di Mestre, dove rimasi per 9 anni.
L’episcopato veneziano di Luciani è coinciso con anni affascinanti e drammatici, durante i quali laici e presbiteri hanno vissuto e sofferto insieme al proprio Patriarca, spesso in modo conflittuale, ma tutti impegnati in una autentica fedeltà a Dio e all’uomo.
La Chiesa di Cristo, in questi 35 anni, ha continuato il suo pellegrinaggio terreno, sempre animata dallo Spirito, sotto la guida del beato Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI ed ora di Francesco. Invochiamo il Dio dei nostri padri, il Dio dell’esodo e della promessa, affinché ci guidi dal presente verso il futuro e, come Abramo, Mosè e i profeti, ci aiuti a lasciare le nostre certezze per accogliere la sua Parola e ci doni di vivere il provvisorio e l’inatteso della nostra vita con una libertà di speranza e di amore come è stata testimoniata da servo di Dio, Papa Luciani. Amen.

‘ Beniamino Pizziol
Vescovo di Vicenza