RITIRO SPIRITUALE D’INIZIO AVVENTO AI PRESBITERI, AI DIACONI E AI SEMINARISTI (Basilica di Monte Berico, 28 novembre 2019)

«NON TEMERE, PICCOLO GREGGE» (Mt 13,31-33)
Breve elogio della piccolezza

Un saluto fraterno a tutti i sacerdoti diocesani e religiosi; in modo speciale ai preti della RSA Novello, la comunità presbiterale di san Rocco; ai diaconi, ai seminaristi; agli ascoltatori di Radio Oreb; ai fedeli presenti in questo Santuario di Monte Berico.
Tra qualche giorno inizieremo un nuovo Anno Liturgico con il tempo di Avvento. In questo ritiro di Avvento, in continuità con il tema della lettera pastorale: “Battezzati e inviati per la vita del mondo” (Mt 28,16-20) vorrei soffermarmi con voi su un aspetto che preoccupa le nostre comunità e noi pastori: la diminuzione (contrazione) dei fedeli, dei battezzati laici, soprattutto nelle celebrazioni eucaristiche domenicali, nella domanda dei battesimi e dei matrimoni; la riduzione dei consacrati e delle consacrate, dei presbiteri, l’aumento dell’età media dei preti e dei consacrati.
Questa situazione che viene ricordata nei nostri incontri, sia di preti che di laici, e molto spesso viene ripresa e amplificata dai social media, rischia di generare nelle nostre comunità un senso di scoraggiamento e di rassegnazione. Essa rischia di farci cadere in due atteggiamenti contrapposti:
1°- cristallizzazione sul presente senza immaginare e percorrere strade nuove, creative;
2°- chiusura in una lamentela (mormorazione) a tutto campo, idealizzando i bei tempi passati (laudatores temporis acti).
Di fronte a questa situazione mi sono chiesto, già a partire dalla lettera pastorale: cosa ci dice la Parola di Dio, contenuta nelle Scritture, su questa “piccolezza” che stiamo vivendo?
Questo momento storico in cui stiamo diventando minoranza può essere letto come “un segno dei tempi?” In che modo Dio ha
agito nella storia della Salvezza con il suo popolo? Nella persona del figlio suo Gesù? Nella storia della Chiesa?
 
La piccolezza di Israele
Una prima luce ci viene dalla lunghissima esperienza di Israele, che ha ben chiara la consapevolezza di essere un popolo infimo, politicamente insignificante, che non può contare, come le altre nazioni, su un vasto territorio, su un esercito potente, su confini ben difesi.
È invece “il più piccolo di tutti i popoli”. Israele fonda la sua esistenza unicamente sulla elezione gratuita di Dio. Questa coscienza emerge già con estrema chiarezza nel libro del Deuteronomio: “Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli, siete infatti il più piccolo di tutti i popoli, ma perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri: il Signore vi ha fatti uscire con mano potente e vi ha riscattati liberandovi dalla condizione servile, dalla mano del faraone, re d’Egitto.”
Ecco il capovolgimento di prospettiva: non la forza ma la piccolezza è il motivo dell’elezione da parte di Dio. Dio non ha scelto la potenza dell’impero Assiro-Babilonese, o il fascino della millenaria cultura dell’Egitto dei Faraoni. Dio non guarda alle nazioni potenti, ma si lascia incontrare dalla piccolezza di Israele. Il motivo della scelta preferenziale del popolo di Israele è unicamente l’amore: “Il Signore l’ha scelto perché lo ama, non perché è numeroso”.
In questo senso la condizione di inferiorità numerica sembra la “conditio sine qua non” per essere e restare fedeli a Dio. Quando, al contrario, Israele cresce, si sente forte, crede di poter mostrare i muscoli alle nazioni vicine, è il momento del tracollo.

La piccolezza e la inadeguatezza dei leaders del popolo di Israele
Pensiamo al grande leader, Mosè, che quando sente dalla voce di Dio il compito di affrontare il faraone, gli risponde: “Chi sono io per andare dal faraone e far uscire gli Israeliti dall’Egitto?” (Es 3,11). Si sente del tutto inadeguato. Ricordiamo l’obiezione di Geremia: “Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane” (Ger 1,6).
Davanti alla grandezza del compito, coloro che Dio chiama percepiscono l’evidente insufficienza delle loro forze. Pensiamo anche alla vicenda di Gedeone, il quale, dinanzi alla vocazione immane che Dio gli prospetta, risponde ricordando la sua piccolezza: “Perdona, mio Signore, come salverò Israele? Ecco, la mia famiglia è la più povera di Manasse, e io sono il più piccolo nella casa di mio padre” (Gdc 6,15).
E nel momento in cui il Signore vuole scegliere i guerrieri contro i Madianiti, decide, inspiegabilmente, che il numero dei guerrieri deve essere esiguo: “la gente – dice il Signore – è ancora troppo numerosa” (Gdc 7,1-22); così li fa scendere tutti nel torrente e quelli che bevono portandosi l’acqua alla bocca, solo 300 uomini, questi vengono scelti (7,6), mentre tutti gli altri vengono mandati via.
La motivazione è presto detta: “La gente che è con te è troppo numerosa, perché io consegni Madian nelle sue mani; Israele potrebbe vantarsi davanti a me e dire: “la mia mano mi ha salvato” (7,2). Si è salvi non per le forze in campo, ma per la mano di Dio. Altro esempio lampante del modo originalissimo di agire di Dio lo incontriamo nell’episodio del giovane Davide che riesce a sconfiggere il gigante Golia servendosi solo di soli “cinque ciottoli lisci” (1 Sam 17,39-40), raccolti dal torrente. Potremmo continuare ancora a lungo con altri episodi simili. Dio sceglie strumenti inadeguati, si avvale di forze insufficienti, non punta sui grandi numeri.

L’episodio emblematico del censimento.
Su questa linea comprendiamo perché il censimento organizzato da Davide venga punito molto severamente: “Ma dopo che ebbe contato il popolo, il cuore di Davide gli fece sentire il rimorso ed egli disse al Signore: “Ho peccato molto per quanto ho fatto; ti prego, Signore, togli la colpa del tuo servo, poiché io ho commesso una grande stoltezza” (2 Sam 24,10).
Il Signore invia a Davide il veggente, che gli propone di scegliersi il tipo di punizione: “Vuoi che vengano sette anni di carestia nella tua terra o tre mesi di fuga davanti al nemico che ti insegue o tre giorni di peste nella tua terra?” (v.13). Questo censimento viene duramente castigato perché ritenuto come uno sfoggio di forza numerica: è un’empietà sia perché spetta solo a Dio tenere i registri di che deve vivere e di chi deve morire, sia perché fare il computo degli uomini abili in battaglia assomiglia ad un affronto a Dio: un vanto numerico che non fa più conto sulla fedeltà di Dio, ma sulla propria forza. Questa è una palese mancanza di fiducia in Dio.

La piccolezza nel Nuovo Testamento
Nel Nuovo Testamento emerge evidente questa dimensione della piccolezza, dal modo di agire di Dio, in perfetta continuità con quanto abbiamo rivelato nell’A.T.. La prima testimonianza viene dal racconto dell’Annunciazione:
“L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria” (Lc 1-26-27).
Lo sguardo di Dio si posa su una umile ragazza di Nazareth. Dio “ha guardato l’umiltà della sua serva “, dice il Magnificat (Lc 1,48). Nel discorso in parabole, nel vangelo di Matteo al capitolo 13, incontriamo due immagini che descrivono alla perfezione questa dimensione della piccolezza relativa al Regno: il seme più piccolo e la forza di un pizzico di lievito: “Espose loro un’altra parabola, dicendo: “Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo.
Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami “. Disse loro un’altra parabola: “Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata” (Mt 13,31-33). L’elemento che più balza agli occhi di questo brano è il forte contrasto tra l’esiguità del seme e la grandezza della pianta.
La piccola quantità di lievito e la grande massa della farina lievitata.                                                                                            Lungo il corso della storia queste parole sono state spesso interpretate come riferite non tanto al Regno di Dio, quanto piuttosto alla Chiesa. Gesù avrebbe dato un avvio umile alla Chiesa, ma poi è diventata una istituzione forte, rispettata, temuta, capace di farsi notare e di imporsi. Noi sappiamo che questa visione si ripresenta anche oggi in varie forme di nostalgia.
 
Queste due piccole parabole ci vogliono far capire che nello Spirito Santo e nella Parola di Cristo – benché sembrino insignificanti agli occhi del mondo – è presente la forza irresistibile e inarrestabile di Dio. Siamo quindi invitati a guardare a questa piccolezza (seme-lievito) con infinita e unica fiducia in Dio. Papa Francesco, alle comunità del Marocco, ha proposto quest’immagine evangelica del lievito:
 
Parafrasando le parole del Signore potremmo chiederci: a che cosa è simile un cristiano in queste terre? A che cosa lo posso paragonare? È simile a un po’ di lievito che la madre Chiesa vuole mescolare con una grande quantità di farina, fino a che tutta la massa fermenti. Infatti, Gesù non ci ha scelti e mandati perché diventassimo i più numerosi! (…). Questo significa, cari amici, che la nostra missione di battezzati, di sacerdoti, di consacrati, non è determinata particolarmente dal numero o dalla quantità di spazi che si occupano, ma dalla capacità che si ha di generare e suscitare cambiamento, stupore e compassione; dal modo in cui viviamo come discepoli di Gesù, in mezzo a coloro dei quali noi condividiamo il quotidiano, le gioie, i dolori, le sofferenze e le speranze. In altre parole, le vie della missione non passano attraverso il proselitismo. (…). Quindi il problema non è essere poco numerosi, ma essere insignificanti, diventare un sale che non ha più il sapore del Vangelo – questo è il problema! – o una luce che non illumina più niente. (…). Voi sapete bene che la vita si gioca con la capacità che abbiamo di “lievitare” lì dove ci troviamo e con chi ci troviamo. Anche se questo può non portare apparentemente benefici tangibili o immediati. (31 marzo 2019, Cattedrale di Rabat – Marocco).
 
Piccolo gregge
Un’altra parabola di Gesù può venirci in aiuto su questo tema: l’invito a non avere paura rivolto ad una comunità che deve fare i conti con la propria piccolezza. “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore” (Lc 12,32-34).
L’immagine del “piccolo gregge” designava nell’A.T. gli autentici israeliti che, nel generale abbandono della Legge, rimanevano fedeli al loro credo: è il cosiddetto “resto di Israele”. Il fatto di essere la minima parte del popolo – e non la maggioranza – poteva certamente scoraggiarli. Ecco dunque che Gesù rivolge il medesimo appellativo ai cristiani, ricordando che, anche se si trovano in minoranza, essi sono i destinatari del Regno.
Bisogna continuamente aggrapparsi a questa verità, senza la quale lo scoraggiamento è sempre in agguato. Riporre tutta la fiducia esclusivamente sui beni, quandanche questi fossero a vantaggio dell’azione pastorale della Chiesa, significa sottrarla all’unica vera garanzia che possediamo: il Regno, appunto. Il quale costituisce il nostro unico e vero tesoro. Oggi noi cristiani siamo certamente un “piccolo gregge”, ma non dobbiamo dimenticarci che siamo dei privilegiati: possiamo donare al mondo il tesoro più grande.
 
L’invio missionario
Nella lettera pastorale riflettevo con voi sul fatto che anche il gruppo degli Apostoli, segnato dalla defezione di Giuda, dal rinnegamento di Pietro, dall’abbandono da parte di tutti del loro maestro sulla croce, questo gruppo ritorna in Galilea come gruppo esiguo, impari rispetto al compito, che Gesù affida loro, di annunciare il Vangelo in tutto il mondo e di fare discepole tutte le nazioni. (cfr. Mt 28,19).
Scrivevo nella lettera pastorale: “Un gruppetto ferito e dubbioso, numericamente insignificante, potrà arrivare a tutti i popoli? Con le sole sue forze, questo piccolo manipolo di persone è destinato al fallimento: il compito sembra semplicemente impossibile. Ma ecco la risposta: tale mandato sarà possibile unicamente grazie alla presenza e alla forza del Risorto”.
L’evangelista Marco, è fra i sinottici, il più radicale nel delineare l’immagine dell’apostolo come missionario itinerante, che porta con sé un equipaggiamento ridotto al minimo: sono concessi una tunica, il bastone e i sandali necessari per il viaggio, ma nulla di più. Pane, bisaccia, denaro sono proibiti. L’assoluta povertà dei mezzi, ossia un equipaggiamento sgombro e leggero, è dunque il segno della libertà da qualsiasi interesse o garanzia umana, e mostra l’unica, totale dipendenza da Colui che invia.
L’annunciatore dev’essere piccolo per non occultare la grandezza dell’annuncio. La scarna essenzialità dei mezzi, quindi, ne diventa il veicolo più affidabile. Forse è giunto il tempo anche per la Chiesa di oggi di ritornare a questa originaria precarietà di mezzi, che la fa sentire più esile, fragile e piccola, ma anche più libera e quindi più credibile. Possiamo riascoltare, al riguardo, un testo dell’allora professore Joseph Ratzinger che non ha perso nulla della sua intuizione profetica:   
Anche questa volta dalla crisi di oggi verrà fuori domani una chiesa, che avrà perduto molto. Essa diventerà più piccola, dovrà ricominciare tutto da capo. Essa non potrà più riempire molti degli edifici, che aveva eretto nel periodo della congiuntura alta. Essa, oltre che perdere degli aderenti numericamente, perderà anche molti dei suoi privilegi nella società. Essa si presenterà, in modo molto più accentuato di un tempo, come la comunità della libera volontà, cui si può accedere solo per il tramite di una decisione. Essa come piccola comunità solleciterà molto più fortemente l’iniziativa dei suoi singoli membri. (…). 
Ma, nonostante tutti questi cambiamenti che si possono presumere, la chiesa troverà di nuovo e con tutta l’energia ciò che le è essenziale, ciò che è sempre stato il suo centro: la fede nel Dio unitrino, in Gesù Cristo, il Figlio di Dio fattosi uomo, nell’assistenza dello Spirito, che durerà fino alla fine. Essa riconoscerà di nuovo nella fede e nella preghiera il suo proprio centro e sperimenterà di nuovo i sacramenti come servizio divino e non come un problema di struttura liturgica.
Sarà una chiesa interiorizzata, che non mena vanto del suo mandato politico e non flirta né con la sinistra né con la destra. Esso farà questo con fatica. (J. Ratzinger, Fede e futuro, Queriniana, Brescia, 1971, pag. 114-115).
  
Applicazione
L’annuncio del Vangelo, la vita delle nostre comunità cristiane, l’esperienza di fede, l’esercizio della carità, la presenza non sempre significativa della Chiesa nel nostro contesto attuale, e anche il piccolo numero dei nostri cristiani possono sembrare una piccola, infima realtà; e per molti versi è proprio così. 
È un dato di fatto, ma noi siamo invitati a cambiare il nostro modo di guardare questa situazione e a coltivare l’intuito della fede, che riesce a vedere oltre i numeri e oltre la povertà dei mezzi e delle persone. La forza del Regno è diversa dalla forza del mondo, è nascosta, poco visibile e difficilmente si presta a essere contabilizzata. Non dobbiamo cedere alla tentazione della “contabilità spirituale, materiale, numerica”.
  
Semi di Speranza
1 – Come pastore di questa diocesi mi capita spesso di essere testimone privilegiato di questa vitalità del Regno, nascosta in piccoli segni. Mi viene in mente l’esperienza di questa estate a Federavecchia, nella casa estiva del nostro Seminario, organizzata dalla Pastorale Vocazionale. Si trattava di un campo di spiritualità per giovani, in tutto una dozzina.
Sono rimasto molto colpito dalla loro preparazione, li ho trovati molto appassionati nella ricerca e nel discernimento del progetto di Dio su ciascuno di loro. Giovani che si sono lasciati fortemente coinvolgere dalla Parola di Dio, dalla preghiera intensa e prolungata, dalla vita comunitaria. Direte: “sono pochi, nelle parrocchie i giovani”; ma non guardiamo i numeri”. Ho avuto la grazia di incontrarne alcuni, per me sono un seme di speranza per la nostra chiesa diocesana. Ricordo anche i giovani incontrati nelle commissioni di Pastorale giovanile.
2 – Nel mio cuore e nella mia mente ritrovo spesso l’immagine di una mamma che ormai da 4 anni vive accanto a suo figlio nato con gravissimi problemi di salute, notte e giorno, senza mai lasciarlo solo, cercando l’aiuto del Signore nella preghiera personale, anche confidando nella competenza e nell’umanità dei medici e del personale ospedaliero 
Arrivando fino al punto di donare parte del suo fegato e del suo intestino nella speranza di consentire a questo bimbo una vita sostenibile e dignitosa. In un mondo che tante volte disprezza la vita propria e altrui, con forme di violenza, di autolesionismo questa donna (accompagnata dalla sua famiglia) è un seme di speranza e di fede per tutti noi. 
3 – Voglio ricordare i tanti ammalati che incontro, durante la visita pastorale, alcuni che vivono una situazione di disabilità grave fin dalla nascita, altri in seguito a incidenti o a malattie invalidanti, la loro giornata è ravvivata dall’amore gratuito e generoso delle persone che si prendono cura di loro, ed è ritmata da momenti intensi di preghiera. Anche questi sono semi di fede e di speranza per le nostre chiese e per il mondo. 
4 – Voglio pure ricordare i tanti cristiani, battezzati laici, uomini e donne, che quotidianamente testimoniano, in modo umile e trasparente, la loro fede in Dio e il loro amore per i fratelli, nei luoghi di lavoro, nelle molteplici professioni, nei luoghi di sofferenza, di servizio al bene comune. Sono piccole porzioni di lievito che sono destinate a fermentare il mondo, con la grazia di Dio.
Il tempo di Avvento si colora, almeno nella prima parte, di un’attesa che guarda con fiducia alla venuta finale del Regno. Chiediamo al Signore uno sguardo rinnovato sulle nostre comunità, che con i loro piccoli mezzi cercano di servire sinceramente il Regno di Dio fra gli uomini di oggi.
Non ci scoraggino le condizioni del nostro tempo, che non sono ne migliori, ne peggiori rispetto ad altri momenti della storia della Chiesa. Chiediamo piuttosto a Dio di visitare i nostri animi stanchi e talvolta incerti, perché infonda fiducia e forza, e ci abiliti a guardare con stima e riconoscenza le nostre comunità e l’intera Chiesa diocesana, nel profondo del cui cuore pulsa, nascosta, la potenzialità del seme e la forza del lievito. La Chiesa è sempre ripartita da piccole luci, da piccoli gesti, da piccole iniziative. Ripartirà anche oggi dal piccolo che sappiamo donare con fiducia e generosità all’iniziativa del Signore

† Beniamino Pizziol
Vescovo di Vicenza