SANTA MESSA NEL GIORNO DI NATALE(Vicenza, chiesa cattedrale, 25 dicembre 2016)

         Desidero porgere di tutto cuore l’augurio di Santo Natale a ciascuno di voi e a tutti voi fratelli e sorelle, consacrati e consacrate, canonici, sacerdoti, diaconi e a voi carissimi ascoltatori di Radio Oreb.
 
         Torna a splendere la luce del Natale nella nostra città, nei centri e nelle contrade della nostra diocesi, in cui è ancora possibile riconoscere un tessuto umano intriso di fede, di tradizione e di solidarietà. Brilla la luce del Natale nel nostro paese scosso da difficoltà e inquietudini, ma ancora capace di offrire esempi di accoglienza e di solidarietà. Brilla la luce del Natale sulle rovine dei centri devastati dagli ultimi eventi sismici, sulle macerie di tante chiese e cattedrali, sulle case distrutte della nostra gente. Gente ferita e provata, gente dal cuore grande e dignità commovente che sta reagendo alle avversità. Brilla la luce del Natale sulla nostra Europa e sul nostro mondo, attraversati dalla paura del terrorismo e preoccupati per i tanti focolai di guerra accesi in troppe zone del nostro pianeta, soprattutto nel Medio Oriente.
 
         Oggi, vogliamo scoprire la luce del Natale fissando la nostra attenzione su quei pastori che – secondo la narrazione evangelica – vegliavano di notte, facendo la guardia al loro gregge. Dice il Vangelo di Luca: «Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce» (Luca 2,9).
I pastori, uomini semplici e con attese modeste ma sempre aperti a nuove sorprendenti attese, sono il “modello esemplare” dell’accoglienza del mistero del Natale di Gesù. A loro viene comunicata una notizia straordinaria: «Vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo» (Luca 2,10). Una gioia grande, che va al di là delle piccole soddisfazioni immediate, gioia di tutto il popolo che raggiunge tutte le persone e che si allarga oltre i confini. Questa gioia ha un fondamento e ha un nome: «Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Luca 2,11).
Salvatore significa “risolutore di problemi gravi e difficili”, significa uno capace di sciogliere i nodi complessi dell’esistenza, quei nodi gravi della nostra società civile e politica che poi sfociano nelle guerre, nel terrorismo, nella violenza pubblica e privata, nelle divisioni che frantumano l’umanità.
         Le piccole attese quotidiane dei pastori sono superate quasi all’infinito dall’annuncio di una grande gioia collettiva, di un Salvatore definitivo. La notizia di questa grande gioia ci sorprende se pensiamo alla sproporzione tra questo annuncio e il segno che viene dato ai pastori: «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Luca 2,12). Un bambino, quindi, un essere fragile, avvolto in fasce, incapace di camminare, completamente dipendente da altri, in una mangiatoia e non in una culla, perché è nato fuori casa, nell’estrema indigenza. Il bambino è segno di un dono immenso, è il frutto di una attesa durata molti secoli.
         Che cosa fanno i pastori di fronte alla sproporzione tra la sublimità dell’annuncio e l’esiguità del dono che è un bambino povero, inerme, e bisognoso di tutto e di tutti?
 
         Le risposte le troviamo nel brano evangelico che abbiamo letto: «Andiamo, dunque, a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere» (Luca 2,15). Non discutono, non dubitano, non sono increduli ma ascoltano il cuore. Il loro cuore li avverte che c’è qualcosa di inverosimile, qualcosa più grande della capacità umana di comprendere. I pastori, gente semplice, sanno che Dio è più grande di noi, che Dio sorprende sempre. E l’evento si conclude in questo modo: «I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro» (Luca 2,20).
         Anche noi nel giorno di Natale possiamo essere sorpresi per la sproporzione che troviamo tra la grandezza dell’annuncio evangelico – «Il Verbo-Parola si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Giovanni 1,17a) – e la nostra vita quotidiana, che passate le feste ci ritorna con i suoi soliti problemi e le solite inquietudini. I pastori, allora, ci invitano ad «andare senza indugio» (Luca 2,16a) a vedere, a contemplare e ad adorare il piccolo Gesù.
 
         La fede si nutre di piccoli segni accolti nella vita della famiglia, della parrocchia, della professione e delle relazioni buone. Ringrazio il Signore per tutte le persone che mi ha fatto incontrare, in modo particolare in questo mese di dicembre; nel loro volto ho visto un riflesso del volto di Gesù: gli ammalati presso l’Ospedale San Bortolo, i detenuti presso il Carcere Circondariale Pio X, i bambini delle scuole cattoliche che hanno fatto il Presepio Vivente lungo le vie della nostra città, le persone impegnate nel mondo dell’economia, delle imprese, del commercio, dell’artigianato…
 
         Auguro che la luce del Natale illumini le menti di tutti i governanti e i responsabili della società, rendendoli capaci di individuare quello che è bene per la nostra società civile; auguro che la pace del Natale si diffonda nel cuore delle nostre città, del nostro paese e di tutti gli abitanti per una rinnovata stagione di solidarietà, di amore fraterno, di attenzione soprattutto ai nostri giovani e alle nostre famiglie, che hanno bisogno di lavoro, di serenità e di guardare al futuro con fiducia.
         Auguro un buon Natale ai malati, che lottano e che per guarire, insieme alle cure mediche, necessitano della nostra vicinanza, del nostro sostegno e del nostro affètto. Auguro un buon Natale agli anziani, che costituiscono una straordinaria risorsa di saggezza e di fede. Auguro un buon Natale ai sacerdoti e ai diaconi, ai religiosi e alle religiose, ai seminaristi e a tutti i fedeli laici, affinché continuino ad annunciare — con tenacia e convinzione — la buona notizia che «il Verbo di Dio si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi». Amen.

 

† Beniamino Pizziol
Vescovo di Vicenza