Alberto Pellai: Difficile educare i ragazzi se si è ‘adultescenti’

Interverrà al Festival di Pastorale Giovanile sabato 1 giugno alle 20,45 al Centro Diocesano Onisto

Alberto Pellai, lombardo, 59 anni, medico e psicoterapeuta, è conosciuto al grande pubblico soprattutto per l’opera di divulgazione scientifica che porta avanti da anni su temi come l’educazione affettiva e sessuale, ma anche quell’adultità, che è il tema al centro del suo ultimo libro Allenare alla vita.

È lui il protagonista dello speech (intervento) previsto per le 20,45 di sabato 1° giugno durante il primo Festival di Pastorale Giovanile al Centro Onisto di Vicenza.

Dottor Pellai, perché è importante un’attività di “risveglio” della figura dell’adulto?

«L’adulto continua a cercare di gestire il suo ruolo, ma lo fa all’interno di un contesto di vita dove la sua autorevolezza è molto usurata, in parte perché arrivano innumerevoli messaggi a chi sta crescendo da un mondo che è più ‘adultescente’ che adulto; in parte perché è un mondo che di fatto non ha come priorità l’educazione. Oggi molte proposte vengono promosse dagli influencer che sono persone che non hanno un modello di adultità competente, ma hanno un modello di influenzamento gestito secondo le regole del marketing e del mercato. Nella logica di iper-proteggere il ragazzo in crescita, gli adulti spesso oggi considerano come un nemico quell’adulto che si presenta come allenatore un po’ tonico e che non è spaventato dal far attraversare anche zone di fatica a chi sta crescendo. L’adultescente è un adulto ancora molto adolescente, basato sul modello del migliore amico, ma i ragazzi e le ragazze hanno già tanti amici, mentre i riferimenti adulti sono i genitori e gli insegnanti, ai quali è chiesto, per essere educatori, di essere certo anche amichevoli, ma persone adulte».

Quali strumenti non si attivano più e quali dovremmo riuscire invece ad attivare?

«L’alleanza tra adulti, il fare squadra nel mondo adulto, che in questo momento è spaccato su tanti temi: l’uso dei social media, l’educazione sessuale… Non avere le idee chiare porta a mandare messaggi diversi e contraddittori. Soprattutto negli ultimi 30 anni, gli adulti hanno attivato una modalità iper-protettiva nei confronti di chi sta crescendo, che ha generato un paradosso enorme tra l’accompagnare ovunque i minori, perché considerati incapaci di autonomia, e lasciarli poi soli in un uso sregolato dei social».

Lei dice che per i minori, “virtuale non è reale”. Cosa intende?

«Molti genitori rimangono stupiti nello scoprire che i loro figli hanno online comportamenti completamente diversi rispetto alla vita reale. Valori e comportamenti si disconfermano, creando due identità diverse che, a lungo andare, provocano danni. Non possiamo immaginare che il virtuale sia gestibile – anche in termini quantitativi – quando non si sono ancora superati i 14 o 16 anni: è il concetto di dare le cose al momento giusto della vita. Occorre regolare l’accesso al virtuale, perché il minore non sa darsi limiti e orientamenti da solo. Da anni vediamo finire in terapia minori che si svegliano alle 2 di notte per continuare il proprio videogioco. I dati rilevano che in particolare le ragazze che hanno un profilo social prima dei 16 anni sviluppano nel 40% dei casi ansia intensa rispetto alla propria immagine corporea e al socializzare… Il concetto di on-life (che porta a minimizzare la differenza tra reale e virtuale) è vero per alcuni, ma non funziona certo per i minori. Gli indicatori di sofferenza nella salute mentale cui prestare attenzione sono: la deprivazione sociale, cioè aver tolto la curiosità della scoperta del mondo; l’addiction, cioè la dipendenza; la frammentazione dell’attenzione e delle competenze necessarie per assolvere i compiti di apprendimento; la deprivazione di sonno, che ha un impatto sulla salute psico-fisica globale ».

Parlare del corpo e della sessualità è sempre stato difficile, perché?

«È fondamentale rimettere al centro il corpo, soprattutto per chi cresce. Le vite sono così problematiche perché sono spaventosamente decorporeizzate e togliere l’attenzione dal corpo nel momento della crescita significa togliere un elemento fondamentale, che bisogna imparare invece a conoscere e a gestire. Il corpo è il supporto di tutto: dall’affettività all’esplorazione del mondo. L’on- line fa percepire una sessualità eccitatoria e l’altro solo come oggetto del mio piacere, un’esperienza, non una relazione possibile».

Quale dovrebbe essere, secondo Lei, la posizione della Chiesa?

«La Chiesa, come tutta la comunità educante, dovrebbe sentire che tutti abbiamo un mandato sul tema dell’educazione affettiva e sessuale: si tratta un fattore di promozione e di una costruzione della felicità intima ed appagante con la persona con cui ci coinvolgiamo, parlando di responsabilità, consenso, rispetto, empatia…»

“Templi distrutti corpi risorti” è il tema del Festival di Pastorale giovanile. Quali templi vanno distrutti e quali corpi vanno aiutati a risorgere?

«I templi da distruggere sono la velocità, la pulsionalità; una libertà raccontata come quella degli impulsi e non della significazione. Dobbiamo ritornare a sentire che il corpo che abitiamo è la nostra casa, di cui dobbiamo avere cura senza esserne ossessionati, per essere esploratori responsabili della vita e costruttori di relazioni».

Naike Monique Borgo

Articolo tratto da La voce dei Berici