“Anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli”. Le celebrazioni della XXII Giornata del Malato


Nella XXII Giornata mondiale del Malato, che ricorre l’11 febbraio 2014 festa della Madonna di Lourdes, la Chiesa universale propone di riflettere sul tema “Fede e carità” a partire dall’invito contenuto nella Prima Lettera di Giovanni (3,16) “Anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli”.

Oltre alle varie iniziative programmate per l’occasione nelle varie parrocchie e case di riposo, la nostra Diocesi celebra la Giornata attraverso un appuntamento particolarmente significativo all’Ospedale di Vicenza, dove alle ore 10.30 di sabato 8 febbraio 2014 il Vescovo Beniamino Pizziol presiede una Santa Messa per ammalati, familiari e operatori sanitari e apre ufficialmente la fase diocesana del processo di beatificazione di Bertilla Antoniazzi, la giovane di San Pietro Mussolino morta non ancora ventenne nel 1964 a causa di una grave patologia cardiaca che ne segnò l’intera esistenza. Quello di Bertilla Antoniazzi è certamente un altissimo esempio di donazione – ha ricordato di recente il Vescovo – poiché «seppe affrontare ogni suo dolore con il sorriso sulle labbra, avendo il coraggio di offrire la sua malattia al Signore, così da trasformare il suo capezzale in una scuola di speranza per le compagne di ricovero, i medici e le infermiere».

Martedì 11 febbraio 2014 monsignor Beniamino Pizziol sarà quindi nell’Ospedale di Arzignano, dove alle ore 10.30 celebrerà la Santa Messa animata dall’Unitalsi locale e poi visiterà alcuni reparti per portare il suo conforto ai malati e il suo saluto agli operatori sanitari.

Proponendo una riflessione a partire dal tema della Giornata, i Vescovi italiani si chiedono se nella nostra società “segnata in modo così forte da un accentuato individualismo” ci sia ancora “posto per il dono e per l’azione del donare come atto autentico di umanizzazione”.

Oggi – spiegano con le parole di Papa Francesco – «la cultura dello scarto tende a diventare una mentalità comune, che contagia tutti. La vita umana, la persona, non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora (come il nascituro), o non serve più (come l’anziano)».
 

Senza una cultura della prossimità evangelicamente intesa – avvertono i Vescovi – “saremmo destinati ad una società ingiusta e sofferente”, perché “la pienezza di vita e la gioia del cuore” non possono “declinarsi con la cultura dell’avere”.
 
E’ quindi fondamentale “educare alla cultura del dono” in quanto “la vita dell’uomo è un dono ricevuto che trova la sua pienezza e il suo completamento solo quando viene ridonata con generosità ai fratelli”.
 
A questo proposito, nello specifico della Pastorale della salute, quali impegni si rendono concretamente necessari?

I Vescovi della Cei rispondono con 5 indicazioni puntuali. Innanzitutto si deve affermare un doppio riconoscimento: quello incondizionato della dignità di ogni persona umana (“che ci renderà capaci di rispetto della vita e di ogni vita”) e quello della dimensione della fraternità (“perché siamo appartenenti alla comunità umana e lo siamo in modo essenziale, perciò la cultura del dono presuppone una cultura della relazione).

Una altro impegno è aiutare gli operatori pastorali e sanitari “a prendere coscienza dell’importanza del dono di sé, gratuito e generoso, per le persone sofferenti”, quale “contributo all’umanizzazione e atto di giustizia, oltre che annuncio della presenza di un Dio che, attraverso le nostre mani, desidera prendersi cura di quanti stanno vivendo momenti di prova”.

Quarta missione della Pastorale della salute è “stare accanto ai malati e alle persone sofferenti e accompagnarle al dono di sé, fino all’offerta della propria sofferenza in unione a quella di Cristo per la salvezza del mondo”.

Infine, auspicano i Vescovi, “in questo anno nel quale concentriamo la nostra attenzione sul tema «Educati dal Vangelo alla cultura del dono», può essere utile anche una particolare riflessione sul sacramento dell’Eucaristia, sia da un punto di vista teologico e spirituale, sia come occasione per verificare modalità e qualità della pastorale liturgica nei luoghi di cura”.
 
Le conclusioni sono affidate alle parole del teologo polacco Andrzej Wodka: «Il dare, il donarsi nel dono, immerge l’offerente in Dio e lo riporta al fratello, visto non più come “consumatore” del beneficio, ma come benefattore, donatore del divino. Accogliendo il dono infatti egli offre al donatore la possibilità di dare e con questo la possibilità di sperimentare la “beatitudine maggiore” affermata da Gesù (At 20, 35). Il grazie quindi dovrebbe dirlo non tanto colui che riceve quanto colui che dona: “Grazie di avermi messo in condizione di poter dare. Così esisto in Dio”».

 
a cura di Luca de Marzi