OMELIA nella III domenica di Avvento con il Convegno dei cori
Cattedrale, 15 dicembre 2024
Letture: Sof 3,14-18; Is 12; Fil 4,4-7; Lc 3,10-18
Celebriamo la domenica della gioia. Così viene chiamata, in Gaudete, questa terza domenica di Avvento. Rallegrati, esulta, gioisci, siate lieti… è questo l’invito che ci viene dai testi della Sacra Scrittura che abbiamo ascoltato.
«Non esiste un uomo che non cerchi la gioia» affermava nel 1985 don Oreste Benzi. «Ma cos’è la gioia?» si chiedeva. E lui, tanto dedito agli scartati, offriva questa risposta che vorrei condividere con voi: «Ognuno verifichi in se stesso se è vero quello che dico: la gioia è la coincidenza del nostro vivere con il nostro essere. La gioia è l’unità interiore tra il nostro vivere e quello che noi sappiamo che siamo, quello che noi abbiamo scelto di essere. La gioia non è altro che l’espressione di una vita che ha trovato nel concreto di ogni istante quello che cercava».
E dopo aver spiegato la differenza tra piacere, vibrazione fisico-psichica, e tensione della persona con il suo essere verso il non-finito o meglio l’infinito conclude così: «La gioia in fondo non è altro che amore che si esprime, un amore universale, infinito; è Dio che si esprime dentro di noi» (Rubrica “Promemoria” in Sempre n. 2 – febbraio 2017).
Queste parole di don Oreste sono molto profonde e ci aiutano a comprendere quanto la Parola di Dio ci ha annunciato. La gioia che la Chiesa ci invita a vivere con la Parola di Dio trova la sua radice nell’annuncio che Dio ha revocato la nostra condanna e ci viene incontro con la sua misericordia. L’Amore di Dio, la sua misericordia è ciò che crea quell’unità interiore che tutti cerchiamo tra il nostro vivere quotidiano e il nostro essere più profondo. Questa unità è davvero ciò che noi cerchiamo.
La liturgia cristiana ci offre costantemente questo annuncio: la possibilità di una vita che ogni giorno gode del proprio essere in ciò che fa, gode del proprio essere perché avverte la sua destinazione all’eternità. Nella nostra esistenza noi possiamo scegliere: fare scelte di vita o scelte di morte. Quando facciamo scelte di vita, che sono sempre espressione dell’amore, avvertiamo dentro di noi che quelle sono scintille di eternità e restano oltre noi, oltre la nostra morte. Al contrario, le scelte di morte al contrario, spengono la vita per se e per gli altri. Le scelte di vita invece dilatano la vita oltre la morte e la conducono alle soglie dell’eternità.
Se la liturgia ci offre costantemente questo annuncio, è davvero molto importante che le nostre celebrazioni domenicali siano animate anche dalla musica e dal canto. Perché quella gioia, che proviene dall’amore di Dio riversato in noi, dovremmo almeno per un po’ sentirla vibrare dentro di noi, mentre preghiamo e celebriamo insieme.
Nel cammino sinodale della nostra chiesa vicentina e pure delle chiese che sono in Italia, è emersa la necessità di rinnovare le liturgie per renderle più capaci di comunicare con la vita, più vive, più gioiose. Una delle proposte che è in corso di discernimento è la seguente: «Promuovere la pastorale del canto e della musica sia a livello diocesano che parrocchiale, per favorire una iniziazione alla partecipazione attiva attraverso il linguaggio del corpo, dei sensi, della bellezza» (Lineamenta, Scheda 4).
Questa necessità che avvertiamo sempre più forte di avere delle celebrazioni che danno gusto, gioia…ci chiede davvero un rinnovamento costante.
Possiamo chiederci anche noi come chiesero a Giovanni Battista: che cosa dobbiamo fare come cantori, direttori di coro, organisti, chitarristi, violinisti… perché nelle nostre celebrazioni si assapori quell’unità interiore tra la vita e ciò che noi siamo nel nostro essere, e così vivere nella gioia?
A noi non interessa un’emozione effimera, ma la gioia.
Mi permetto di indicare tre vie.
La via del Concilio Vaticano II. Il Concilio ci ha sottolineato che «il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrante della liturgia» (Sacrosanctum Concilium, 112). Ci sono liturgie domenicali e festive spente nelle nostre comunità perché non si ha la giusta consapevolezza di questa necessità, della relazione profonda tra liturgia e canto. Già la preghiera di Israele bportava in sé ricchezza della musica. Le preghiere dell’Antico Testamento che Gesù ha pregato erano i Salmi che sono canti. Il libro dei salmi viene chiamato anche libro degli affetti, perché con la preghiera in forma di poesia e il bel canto si muovono i sentimenti e gli affetti.
La Chiesa sa di essere chiamata a mettere la musica al servizio della preghiera per coinvolgere la comunità in quella dinamica feconda che la inserisce nel Mistero di Dio e dell’intera creazione: silenzio, parola, musica, laddove si uniscono la terra con il cielo (si pensi al momento nel quale con il canto del Santo si unisce la nostra voce a quella degli angeli e dei santi, come ci ricorda il Prefazio).
La via dell’unità interiore tra musica e liturgia. Questa via interroga più i direttori di coro e gli organisti, ma non solo.
Quando musica e liturgia si tengono separate nella loro specifica professionalizzazione, da un lato il teologo liturgista e dall’altro lo specialista della musica si cade nella dispersione e certamente non si aiuta la comunità cristiana a pregare.
Se la musica sacra è per natura sua un atto liturgico, è altrettanto vero che è un atto musicale.
Il musicista di Chiesa non è uno che lavora con la musica e – casualmente – svolge questo suo compito in chiesa come potrebbe fare in un teatro. C’è un intimo rapporto della musica con l’essenza peculiare dell’azione liturgica.
Organisti, direttori di coro e coristi, tutti sono chiamati all’unità interiore della musica con la liturgia. Cosa ne consegue? La conoscenza approfondita della liturgia con la sua ispirazione biblico-teologica e le sue regole, e insieme la conoscenza non improvvisata della musica con la sua teoria e la sua creatività.
Ma queste due realtà, mentre preghiamo, si uniscono mirabilmente. Non specializzazioni separate, ma unità.
Infine, che cosa dobbiamo fare? Ecco la terza via, la via della fedeltà al servizio. Le nostre comunità hanno bisogno di trovare cibo solido e gustoso nelle celebrazioni. Talvolta i cori offrono il loro servizio ad intermittenza, in alcune solennità dell’anno liturgico. Ma è quanto mai necessario riscoprire la pasqua settimanale, la domenica, giorno del Signore e giorno della comunità. Sostenere il canto comunitario con la presenza costante e fedele del coro liturgico, con l’ausilio dell’organista e degli altri strumentisti e di un direttore di assemblea, con qualche canto monodico e qualche altro polifonico, sostenere questo sarà sempre più importante.
Non dimentichiamo che quel servizio continuativo e fedele non sarà soltanto aiuto offerto alla comunità, sarà anche un servizio che nutre la fede personale e permetterà di crescere in quella unità interiore che è fonte di vera gioia.
+ Vescovo Giuliano
Foto: Piero Baraldo.