«Apriamo le porte di casa perché altre persone possano abitarvi». Si fa così la settimana di condivisione di Ora Decima, centro di Spiritualità giovanile di Vicenza. E poi spartendo la quotidianità, dagli impegni di studio e lavoro, alla preghiera. «È un tempo, uno spazio, dove far succedere qualcosa», dice don Luca Lunardon, responsabile della Pastorale vocazionale. Otto giovani vicentini da domenica 17 a sabato 23 novembre hanno spostato il domicilio in contra’ Santa Caterina 13. Lodi alle 7, pasti condivisi, la lectio divina del lunedì, incontri con virtuose esperienze del territorio, come il Centro Myriam, curato dalle Piccole Serve della Chiesa. «Vivere la ricerca insieme ad altri ragazzi, è la cosa più bella». A fare da collante il tema della speranza, ispirato già dal Giubileo 2025.
Ad affiancare don Lunardon nel ruolo di guida anche suor Naike Borgo, orsolina del Sacro Cuore di Maria. «Due punti di riferimento, per dare la possibilità di esprimersi con maggiore libertà», spiega don Luca il penultimo giorno della settimana. «Accompagniamo ragazzi e ragazze, facciamo in modo che alcuni discorsi escano a tavola, per approfondire la fede nel modo più informale possibile». Le due guide supervisionano la gestione della casa, leggono le dinamiche, curano gli stimoli e i momenti di preghiera. «C’è una traccia, ma il programma si aggiusta a mano a mano in base alle peculiarità dei partecipanti, a ciò che portano, a come legano tra di loro», spiega.
«Un grande bisogno di relazione ». È ciò che è emerso dalle riflessioni sulla speranza, la quale – hanno sottolineato i giovani – non è «credere in un lieto fine». Accompagnato da
un senso di solitudine causato spesso dall’assenza, nelle realtà locali come le parrocchie, di un confronto con coetanei su fede e ricerca spirituale. È ciò che la casa vocazionale tenta di offrire, mettendo in contatto giovani con diversi percorsi di vita. «La relazione permette ad ognuno di pensare alla propria vita come un dono. Si trova il coraggio di donarsi quando si hanno delle relazioni che sostengono e mostrano che è possibile», continua don Luca, anche educatore della comunità vocazionale propedeutica al seminario “Il Mandorlo” residente a Ora Decima, che quest’anno non vede però alcuna presenza. «Quando non c’è nulla di tangibile, lì c’è il Signore che sta preparando il futuro ». Un segnale da ascoltare per «prendersi cura delle persone che si affacciano a questa realtà e chiedono
di essere accompagnate », non da ultime le otto della scorsa settimana.
Tra di loro c’è Marco Bertollo, 20 anni, di Pianezze San Lorenzo, studente di ingegneria gestionale. «Sono entrato a Ora Decima un annetto fa, senza saperlo, per il reincontro di un campo diocesano», racconta. Per Marco uno dei momenti più preziosi è stato l’incontro di martedì 19 con Silvia De Munari dell’Operazione Colomba della Comunità Papa Giovanni XXIII: volontaria in Colombia, ha parlato della speranza come «piantare un seme di mango affinché qualcun altro possa raccoglierne i frutti». Come pure il tempo personale che è riuscito a vivere. «Una sera, dopo che tutti erano andati a letto, mi sono fermato in cappella», aggiunge. «Nella vita di tutti i giorni non viviamo luoghi così, come il Salone delle Monache. A Ora Decima puoi coltivare la spiritualità in libertà, e allo stesso tempo ti senti a casa».
Anche Giacomo Scremin, 19 anni, è un participante della prima settimana di condivisione dell’anno (la prossima è in programma dal 23 febbraio all’1 marzo 2025). Di Belvedere (Tezze Sul Brenta), organista, studente al Conservatorio e di filosofia, per lui il contatto con Ora Decima è avvenuto tramite il gruppo vocazionale Sentinelle del Seminario minore. «Una sera, dopo la recita dei vespri siamo andati in cucina, e mentre si preparava la cena abbiamo iniziato tutti a cantare», ricorda entusiasta. «Questo episodio riassume lo spirito che abbiamo vissuto come gruppo in questi giorni». La settimana di condivisione è composta anche da momenti di spensieratezza come questo. Ma anche per Giacomo non è mancata occasione di andare in profondità. «Riflettendo sulla fede, capita di non avere delle risposte – afferma -. Significa che si è comunque in ricerca. È sempre un progressivo percorso, un andare avanti per cercare di vivere al meglio il Vangelo».
Daniele Frison
Articolo de La voce dei Berici