Stare accanto a chi soffre

Riflessione di Fabio Sanguin

La pandemia che stiamo vivendo ci ha riportato, duramente e continuamente, al pensiero della morte, mettendoci quasi paura, con l’impulso di rinnegarla. Ma è la morte che temiamo o piuttosto la paura di soffrire? Ogni creatura è un essere meraviglioso anche quando esprime la sua fragilità, soprattutto di fronte alla sofferenza. È un essere che ha piedi d’argilla e cuore che brama l’eternità e ogni giorno deve fare i conti con la sua intrinseca precarietà.

La malattia e la sofferenza portano al crollo di ogni sicurezza e convinzione, spesso facendo vedere la fine delle speranze e dei propri progetti. Questo vale per tutti, qualsiasi sia il credo, per ogni società e per ogni tempo: ieri, oggi e domani. L’essere umano non è mai pronto ad incontrare “sorella” morte e quando questa si avvicina lo fa sentire vulnerabile ed umiliato. La morte è solo l’ultima delle tante porte che dobbiamo attraversare, ma quando il viaggio giungerà alla sua conclusione, non saremo noi ad avere questa chiave.

Quando si sta vivendo un momento di malattia grave o inguaribile, soprattutto ad uno stadio oramai avanzato, può succedere che la grande angoscia porti pensieri di auto-soppressione e richieste eutanasiche.

Non è facile affrontare il dolore ed è doveroso, sia per i curanti che per la società, trovare e proporre altre soluzioni. Il sofferente, ben lungi dall’essere inutile o di peso, è una creatura in cui sorgono bisogni nuovi e particolari. Non si tratta solo di necessità che appartengono alla dimensione biologico-clinica della persona, ma hanno anche a che fare con la dimensione psicologica, sociale e spirituale.

È qui che si inserisce la peculiarità della medicina palliativa che, seguendo quella che è la storia naturale della malattia, accompagna il sofferente alla fine della sua vita senza voler prolungare l’agonia con inutili accanimenti terapeutici e allo stesso tempo attenta a non scegliere alcun tipo di atto eutanasico.

Si tratta di un lavoro di equipe in cui, attraverso una buona alleanza terapeutica, varie figure professionali quali medici, infermieri, psicologi, operatori sanitari, si prendono cura e accompagnano, in questo percorso di malattia, non solo il paziente, ma anche tutte le persone per lui significative. Questo perché è necessario curare il dolore, controllare tutti i sintomi che via via si presentano, ma è fondamentale permettere al malato di mantenere relazioni significative e sentirsi considerato persona fino all’ultimo istante.

È sicuramente auspicabile una sempre maggiore diffusione delle cure palliative non come forma di medicalizzazione della morte, ma come forma evangelica dello stare accanto, come il buon Samaritano del Vangelo. In una parola le cure palliative realizzano uno stare “accanto alla sofferenza”, una consolazione, un conforto, un’assistenza carica di valore e di speranza, quale espressione cristiana di una comunità sanante che offre una condizione di vita che rispetta la dignità della vita e la dignità della morte.