OMELIA NEL MERCOLEDI’ DELLE CENERI
Cattedrale di Vicenza, 14 febbraio 2024
Letture: Gl 2,12-18; Sal 50; 2Cor 5,20-6,2; Mt 6,1-6.16-18
“Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Con queste parole Gesù, rimprovera e insieme istruisce i due discepoli colti da una profonda tristezza mentre si allontanano da Gerusalemme per scendere a Emmaus.
Gesù con pazienza li ha accompagnati a mettersi nuovamente in ascolto delle Sacre Scritture partendo dall’esperienza di libertà del popolo di Israele guidato da Mosè. Schiavo del Faraone d’Egitto, il popolo di Dio venne condotto attraverso il deserto per giungere alla Terra promessa.
In questa quaresima, vorremmo anche noi, come quei due discepoli, lasciarci ri-narrare da Gesù le vicende dell’Esodo per compiere il nostro Esodo in questo tempo di crisi e riforma delle comunità cristiane. Un tempo nel quale potrebbero prevalere sentimenti di tristezza, scoraggiamento e anche paura per le violenze che veniamo a conoscere vicino a noi, i furti nelle case spesso amplificati dai media, e i numerosi conflitti che producono morte e accrescono la sofferenza di tante persone inermi.
Il popolo condotto a libertà attraverso il deserto ha opposto resistenza all’iniziativa di Dio. Ha avuto momenti nei quali è stata forte la mormorazione: dove ci sta portando Dio? Si stava meglio sotto il Faraone! Schiavi sì, ma almeno si mangiavano le cipolle – diceva qualcuno. È il fascino delle sicurezze passate che prende anche noi nel cammino di rinnovamento ecclesiale. Perché non vediamo subito le soluzioni, le prospettive nuove. Il cammino sinodale che stiamo compiendo potrebbe apparire senza esiti immediati. Noi avvertiamo l’urgenza di fare scelte e, invece, sembra prevalere la nebbia invernale al chiarore primaverile.
Gesù, dopo aver ascoltato le tristezze dei due discepoli di Emmaus, deve aver spiegato con il profeta Osea che il cammino del popolo di Dio nel deserto non era per mortificarlo bensì per rendere libera la sua sposa – l’umanità – di amare: la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell’amore e nella benevolenza, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore (Os. 2,16.21-22). È questa lettura delle vicende antiche a scaldare il cuore dei due discepoli. Perché li ha aiutati a comprendere che la passione – morte – risurrezione di Gesù è una esperienza di sponsalità divina: Lui ha attraversato il deserto, anchecil deserto della morte, per farci sentire l’amore liberante di Dio.
Anche per noi che siamo in cammino sinodale – un cammino nel deserto – viene offerta questa straordinaria possibilità di purificazione dal dominio del Faraone. E gli inviti alla conversione non sono inviti alla mortificazione e alla tristezza, bensì all’impegno e alla gioia della vera libertà.
Segnalo quattro conversioni per il nostro cammino personale e comunitario.
La prima conversione è la conversione del nostro cuore al cuore di Dio: ritornare al Signore con tutto il cuore (Gl 2,12) lasciandoci stupire dalla sua Parola.
Quando Mosè ha incontrato Dio nel roveto ardente ha potuto scoprire che Dio provava dolore per il suo popolo ridotto in miseria e desiderava liberarlo dalla tirannia.
Dio è sensibile, ha un cuore pieno di compassione: vede e ascolta. Qui sta la nostra prima conversione: prendere parte al cuore di Dio che anche oggi vede e ascolta il grido di tanti fratelli e sorelle oppressi dalla povertà, dalla guerra, dalla malattia, dalla solitudine. Quelle grida salgono al cielo, anche quando non sono rivolte a Lui. Lui sente la sofferenza dell’intera umanità.
Da qui l’impegno gioioso di fermarci, di far silenzio per fare spazio quotidiano all’ascolto delle Scritture con il cuore di Dio, sia come singoli sia in gruppi o in comunità. Quaresima: tempo propizio per vivere la conversione alla preghiera, al dialogo con il Signore, per ascoltare con Lui il grido di tanti fratelli e sorelle.
La seconda è la conversione alla fraternità. Mentre Gesù spiegava le Sacre Scritture i due discepoli venivano liberati dalla solitudine e hanno avvertito che il Signore risorto camminava al loro fianco, al ritmo dei loro passi. E quell’incontro li ha spinti a ritornare al gruppo dei discepoli a Gerusalemme per riprendere la fraternità ferita dal loro allontanamento.
Questi quaranta giorni sono una grande opportunità per ciascuno di noi, per uscire da noi stessi, dall’isolamento, e compiere passi nuovi di apertura verso il prossimo. Siamo chiamati a ri-costruire le comunità cristiane ritessendo relazioni di vicinanza e di condivisione; in questo modo le nostre parrocchie, associazioni, movimenti e gruppi contribuiscono al bene comune della società civile. La “globalizzazione dell’indifferenza” ci porta spesso non solo ad allontanarci dagli altri, ma pure a vergognarci di chiedere aiuto agli altri quando siamo in difficoltà. Il Signore ci liberi dalle maschere che indossiamo per paura dei giudizi altrui: Lui ci fa sentire figli amati, perle preziose ai suoi occhi.
La terza è la conversione economica. Gesù ci invita ad essere liberi dai beni materiali con la prassi dell’elemosina. Quanto siamo davvero liberi di donare? Molte sono le occasioni di partecipare alla vita dei più deboli con qualcosa di nostro. Domenica 18 febbraio siamo invitati ad una raccolta straordinaria per alleviare le sofferenze delle popolazioni martoriate in Terra Santa. Così faremo pure il Venerdì Santo. Invito tutte le parrocchie, comunità, gruppi e associazioni ad adottare un Progetto solidale: la colletta “Un pane per amor di Dio” – coordinata dal Centro missionario – indica alcuni di questi progetti con la possibilità di conoscere più da vicino molte realtà povere del mondo.
La conversione economica è un appello anche alle nostre comunità cristiane con le loro strutture. Siamo invitati a prendere delle decisioni comunitarie perché il Vangelo sia realmente testimoniato anche con una più grande libertà di condivisione tra di noi, nelle nostre comunità, dei beni materiali ai quali rischiamo di essere così attaccati da renderci schiavi.
Ed è pure un appello a non lasciarsi dominare nella nostra società dal Faraone dell’economia e della finanza fini a se stessi, chiusi nei paesi del benessere, incapaci di una visione allargata a tutti i popoli del mondo, soprattutto i più poveri.
È la Banca Mondiale ad affermare che stiamo probabilmente assistendo al più grande aumento di disuguaglianza e povertà globale dal secondo dopoguerra: interi Paesi rischiano la bancarotta e quelli più poveri spendono oggi quattro volte di più per rimborsare i debiti rispetto a quanto destinano per la spesa pubblica in sanità. I ricchi si arricchiscono sempre di più e i poveri aumentano.
Infine possa essere questa Quaresima un tempo di conversione ecologica. Innanzitutto chiedendo perdono a Dio per tutte le ferite inferte nel nostro territorio così inquinato nell’acqua e nell’aria. Ci sono non solo i peccati personali, ma anche peccati sociali di cui chiedere perdono.
E il digiuno di questo tempo sia digiuno dagli sprechi di acqua e di cibo, digiuno dall’utilizzo di strumenti che inquinano quando possiamo farne a meno. Rivediamo così i nostri stili di vita. Anche nelle comunità ci si disponga a fare scelte che tutelano l’ambiente, indirizzate al risparmio energetico. Il nostro territorio è davvero molto bello dalla Riviera Berica alle campagne di Cologna Veneta, dalle Prealpi vicentine al Monte Summano. Gustiamo questi doni Dio e cerchiamo di tutelarli.
Dunque conversione del cuore, conversione alla fraternità, conversione economica ed ecologica per vivere questa Quaresima come un tempo pieno di speranza, un tempo in cui il Signore ci accompagna a rinnovare la nostra vita e quella della Chiesa intera.
Accogliamo l’invito di papa Francesco nel suo Messaggio per questo tempo: «Nella misura in cui questa Quaresima sarà di conversione, allora, l’umanità smarrita avvertirà un sussulto di creatività: il balenare di una nuova speranza. Vorrei dirvi, come ai giovani che ho incontrato a Lisbona la scorsa estate: “Cercate e rischiate, cercate e rischiate. In questo frangente storico le sfide sono enormi, gemiti dolorosi. Stiamo vedendo una terza guerra mondiale a pezzi. Ma abbracciamo il rischio di pensare che non siamo in un’agonia, bensì in un parto; non alla fine, ma all’inizio di un grande spettacolo. Ci vuole coraggio per pensare questo”. È il coraggio della conversione, dell’uscita dalla schiavitù. La fede e la carità tengono per mano questa bambina speranza. Le insegnano a camminare e, nello stesso tempo, lei le tira in avanti».
† vescovo Giuliano