S. MESSA NELLA SOLENNITÀ DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO (chiesa parrocchiale di Sant’Urbano a Montecchio Maggiore, domenica 26 novembre 2017)

 
         Carissimi fratelli e sorelle,
         saluto con particolare gioia tutti voi, fedeli dell’Unità Pastorale di Sant’Urbano e Santissima Trinità di Montecchio Maggiore, assieme ai cari Padri Giuseppini del Murialdo e alle Suore Murialdine; tra di loro il mio saluto va specialmente al Reverendo Padre Generale Mario Aldegani e al Padre Provinciale Lorenzo Sibona.
         Un saluto grato e riconoscente a don Valentino Ghiotto, parroco dell’Unità Pastorale, e a tutti i sacerdoti che partecipano a questa solenne concelebrazione per ringraziare Dio del nuovo Beato Giovanni Schiavo dei Padri Giuseppini del Murialdo.
 
         Oggi siamo giunti all’ultima domenica dell’Anno Liturgico e celebriamo la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo re dell’universo, festa istituita da Papa Pio XI nel 1925.
 
         L’Evangelista Matteo, nel brano che abbiamo appena ascoltato, ci offre una visione grandiosa di Cristo re dell’universo, facendoci contemplare un essere celeste, con le sembianze di un uomo che viene chiamato “Figlio dell’Uomo”, seduto sul trono della sua gloria per emettere il giudizio su tutti gli uomini, su tutti i popoli, su tutta la Storia.
         Questo Re opererà una divisione, farà una separazione tra gli esseri umani, come un pastore separa le pecore dalle capre. Egli, infatti, pronuncerà una doppia sentenza sull’umanità, la prima positiva, la seconda negativa. In questo modo, l’ingresso nel Regno di Dio o l’esclusione da esso dipendono dal tipo di relazioni che le persone stabiliscono tra di loro, in particolare verso le persone che vivono situazioni di bisogno o di disgrazia come la fame, sete, la nudità, la malattia, la condizione di straniero, la prigionia. La salvezza, allora, si gioca nella relazione concreta con ogni essere umano e difatti proprio qui, sulla terra, avviene l’inizio di questo processo descritto da San Matteo, a partire dall’atteggiamento e dalla cura che gli uomini riservano o non riservano all’affamato, all’assetato, allo straniero, all’ignudo, al malato e al carcerato. Avviene come se un professore ci dicesse già gli argomenti su cui saremo interrogati.
         Solo alla fine ci sarà il giudizio e la sentenza definitiva: “venite, benedetti del Padre mio” oppure “via, lontano da me, maledetti”. In questo modo, capiamo che la salvezza dipende non prima di tutto dagli atti di culto, bensì dalla relazione tra le persone, da un volto che si volge a un altro volto, da una mano che si stringe a un’altra mano, da una carne che tocca un’altra carne. Decisivo — a riguardo — il monito che ci viene dalla Prima Lettera di San Giovanni: «Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1Gv 4,12.20).
 
         Sull’orizzonte tracciato da questa pagina evangelica cerchiamo, ora, di leggere la vita e la missione del nuovo Beato Giovanni Schiavo. La sua vita — come la vita di ciascuno di noi — è “poliedrica”, multiforme, assume tante facce, contiene tanti aspetti che, tenuti insieme, concorrono a formare in modo unitario la sua e la nostra persona. Di Padre Giovanni vorrei evidenziare due facce, due aspetti: la spiritualità e l’impegno per la promozione umana.
 
         Il Beato Giovanni Schiavo fu un religioso dalla fede semplice, concreta, adulta e solida, incarnata nell’ordinarietà. Egli veniva cercato per consigli, confessioni e benedizioni da persone consacrate, sacerdoti e laici; si distinse, così, per il suo vissuto spirituale di primo piano e per un esempio di vita sacerdotale assai rilevante. Giovanni Schiavo appartiene alla schiera di ottimi religiosi che hanno caratterizzato la Congregazione di San Giuseppe (i Padri Giuseppini) che — alla scuola di San Leonardo Murialdo — si sono distinti per una lodevole e fruttuosa opera di evangelizzazione, di promozione umana delle persone, in modo particolare della gioventù, soprattutto quella più povera.
         Padre Giovanni Schiavo esercitò il compito di formatore degli aspiranti giuseppini e come direttore del Seminario a Fazenda de Souza, in Brasile. Sacerdote pio, amante della preghiera, fedele e ardente nello zelo per la salvezza delle anime, egli ci insegna anche come coniugare insieme vita di fede, impegni quotidiani, contemplazione e azione; ecco il suo progetto di vita: “Solo una cosa spero e desidero fino alla disperazione, farmi santo. Voglio farmi santo. Farò bene tutte le cose. Ad ogni cosa fatta male, farò una penitenza. Mio Dio, voglio essere santo”.
 
         L’impegno sociale del Beato Giovanni assume un significato fortemente ecclesiale per la sua intensa azione sociale ed educativa a favore di centinaia di ragazzi poveri, della città e della campagna, attraverso le opere sociali — come orfanotrofi e collegi — da lui promossi e istituiti. Le sue multiformi iniziative, infatti — portate avanti senza mezzi economici ma con grande fiducia nella Divina Provvidenza e in San Giuseppe — gli hanno meritato la collaborazione e gli aiuti finanziari di molti benefattori che capirono la sua dedizione e il suo amore verso i giovani poveri, orfani o abbandonati.
         Coraggioso nel difendere i diritti dei poveri, Padre Giovanni denunciò spesso soprusi e ingiustizie, ad esempio verso i lavoratori del lanificio a Galopolis. Promosse molte opere sociali e aprì collegi per ragazzi poveri, orfani e abbandonati. Da tutto ciò possiamo capire come nel Beato Giovanni Schiavo si trovi la prosecuzione e l’attuazione del carisma di San Leonardo Murialdo, altro gigante della fede e della promozione umana e sociale.
         Nato a Torino nel 1828 e morto nel 1900, il Murialdo si spese per la difesa dei lavoratori dallo sfruttamento e per la preparazione professionale dei giovani. Seppur uscito da una famiglia borghese, fu il prete dei quartieri più poveri di Torino, l’apostolo dei piccoli, degli spazzacamini, dei carcerati, dei diseredati, dei ragazzi di strada, e si adoperò per i giovani apprendisti (detti “artigianelli”) e fu al fianco di don Giovanni Bosco come direttore dell’Oratorio San Luigi.
         Il Murialdo si adoperò pure a favore degli operai e della loro assistenza materiale e spirituale, delle cooperative, delle mutue, delle casse di credito e dei dopolavori; fondò il giornale “La voce dell’operaio” e anche “L’unione Operaia Cattolica”, tutti segni che hanno preparato la grande Enciclica sociale di Leone XIII Rerum Novarum.
 
         Ora, carissimi fedeli di Sant’Urbano e fedeli tutti della Chiesa vicentina e di altre chiese sorelle, ci poniamo una domanda: su quale terreno umano, religioso e sociale è nato questo germoglio prezioso, questa pianta rigogliosa, destinato a portare frutti buoni e abbondanti?
         La risposta la conoscete: è stato il terreno umano, religioso e sociale della comunità di Sant’Urbano di inizio 1900, parrocchia che ha generato questo figlio. Nato l’8 luglio 1903, primo di nove figli di Luigi, calzolaio, e di Rosa, casalinga, Giovanni proviene da una famiglia povera ma di profonda fede e di solide virtù; con il loro buon esempio, i genitori hanno trasmesso ai figli soprattutto il volersi bene e la solidarietà verso i poveri.             Giovanni — dopo aver superato una grave meningite attraverso una guarigione ritenuta da tutti miracolosa — frequenta le scuole elementari a Sant’Urbano e poi le scuole medie a Montecchio Maggiore, percorrendo ogni giorno 12 chilometri di strada a piedi! Al mattino si alza presto per essere pronto a servire la Messa del parroco e dopo la scuola aiuta i genitori nei lavori di casa. Giovanni entra nel Seminario Minore dei Giuseppini del Murialdo a Montecchio Maggiore e dopo gli anni della formazione alla vita religiosa e al sacerdozio, il 10 luglio 1927 viene ordinato sacerdote nella Cattedrale di Vicenza. Dopo quattro anni arriverà nel sud del Brasile, il 5 settembre 1931, e lì porterà a compimento il suo cammino di santità.
 
         I tempi sono cambiati, la società è cambiata, anche le comunità parrocchiali sono cambiate ma noi siamo certi che lo Spirito Santo è capace di suscitare nuovi germi e nuovi frutti di santità anche nel nostro tempo, nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità.