SANTA MESSA CON L’ORDINAZIONE DEI PRESBITERI(Vicenza, chiesa cattedrale, 4 giugno 2016)

Carissimi fratelli e sorelle, consacrati e consacrate, diaconi, presbiteri, amici ascoltatori di Radio Oreb, carissimo Padre Provinciale e carissimi Frati Minori francescani,
 
         con il cuore colmo di gioia, vogliamo accogliere l’immenso dono che ci fa il Signore con l’ordinazione presbiterale di sette diaconi del nostro Seminario diocesano – Christian, Enrico, Marco, Michele, Manuel, Enrico e Carlo – un diacono dell’Operazione Mato Grosso, della diocesi di Huari in Perù, Roberto, e un diacono dei Frati Minori francescani, fra Tullio.
 
         È giunta l’ora tanto attesa da voi, cari ordinandi, e preparata da diversi anni. Innanzitutto attesa dal Signore Gesù, perché è Lui che vi ha scelti e noi, dopo accurato discernimento, ci sentiamo di accogliere questa elezione come dono per la Chiesa di Dio. È giunta l’ora tanto attesa dai vostri educatori, dai vostri parroci, dai docenti, ai quali rivolgo doverose parole di gratitudine e di riconoscenza. Gioiscono il nostro presbiterio, il presbiterio di Huari e la comunità dei Frati Minori che vi accolgono nella loro famiglia, sapendo che il vostro ingresso porterà nuovo fervore e nuovo entusiasmo. Ed è giunta l’ora tanto attesa, con timore e trepidazione, dai vostri familiari. Essi vi sono sempre stati vicini e vi hanno sostenuto: a loro va il nostro affettuoso saluto e il nostro grazie.
 
         L’ordinazione presbiterale di questi nostri amici viene, questa sera, illuminata dalla Parola di Dio, che ci è donata nella Decima Domenica del Tempo Ordinario. Con questa domenica il nostro cammino riprende alla luce della Risurrezione. Percorrendo la strada della Galilea, Gesù incontra la morte e come i profeti antichi – Elia, Eliseo – anche il profeta di Nazareth la affronta e la sconfigge, ma con una autorità diversa da quella degli altri profeti. Mentre Elia aveva dovuto invocare l’intervento di Dio attraverso parole e gesti, il Signore Gesù, che è risurrezione e vita, ordina al ragazzo di alzarsi. Mentre Elia aveva agito per “difendere” Dio, Gesù agisce “mosso a compassione” dal dolore di una madre. È una compassione viscerale, profonda, materna; è la compassione stessa di Dio, che stiamo sperimentando in un modo e in una forma straordinaria in questo Anno Giubilare della Misericordia.
Questa stessa compassione la incontra Paolo sulla via di Damasco e trasforma il suo zelo violento verso i cristiani in uno strumento di vita. Un cammino di persecuzione e di morte diviene il primo passo di una vita interamente consacrata all’annuncio del Vangelo di Gesù.
 
         È importante ricordare che i “miracoli” compiuti da Gesù, vengono chiamati “segni” nel Vangelo di Giovanni, vale a dire “gesti concreti, visibili” ma compiuti con l’intenzione che chi ne veniva a conoscenza capisse qualcosa di più grande e di più decisivo. Gesù non ha risuscitato tutte le persone morte che ha incontrato sulla strada, qualcuno però ha ricevuto questo dono: l’unico figlio della vedova di Naim (Lc 7,11-17), la ragazza di 12 anni, figlia di Giairo capo della sinagoga (Lc 8,40-56), l’amico Lazzaro di Betania (Gv 11,1-44). Costoro hanno ricevuto questo dono perché il Signore Gesù voleva rivelare loro che lui era più forte della morte, la implacabile nemica dell’uomo. Gesù intende farci capire, quanto avrebbe detto a Marta, la sorella di Lazzaro: “chi vive e crede in Lui non morirà in eterno”. I segni operati da Gesù su alcune persone morte sono gesti profetici, una anticipazione, non una realtà definitiva, tutte queste persone incontreranno più tardi la morte. La risurrezione finale, nell’ultimo giorno, il giorno della venuta definitiva di Cristo, sarà un’altra cosa: non più la rianimazione di un cadavere – come anche nel caso di Lazzaro – ma la vita nello Spirito di Dio per sempre, la vita eterna.
 
         Carissimi ordinandi, voi siete chiamati a essere testimoni del Risorto, servitori della gioia del Vangelo di Cristo, da portare ad ogni persona in ogni luogo dove sarete inviati a svolgere il vostro ministero. I fedeli laici, i consacrati, i diaconi e i presbiteri della nostra Chiesa diocesana sanno di essere cristiani non solo per sé, per le proprie comunità, ma per la Chiesa universale. L’ordinazione di Roberto, dell’operazione Mato Grosso, documenta in modo concreto la comune vocazione della ‘missio ad gentes’, la missione universale della Chiesa di Cristo. E questa sera, con gioia mista a trepidazione, desidero annunciarvi che – dopo ampia consultazione degli organismi di comunione e partecipazione – abbiamo deciso di aprire una nuova missione in terra africana, nel paese del Mozambico. Due nostri presbiteri hanno già dato la disponibilità, e a loro si unirà anche un sacerdote della diocesi di Adria-Rovigo.
 
         Essere ordinati presbiteri – in questo contesto sociale, culturale ed ecclesiale profondamente cambiato rispetto a un recente passato – appare più arduo e più complesso e richiede da parte vostra ancor più fede e coraggio. Intendo consegnare anche ai fratelli e alle sorelle qui presenti, alcune riflessioni che ho proposto a voi, durante gli Esercizi Spirituali, che vi hanno preparato a questo momento. Sono pensieri ispirati a quanto Papa Francesco ha detto ai vescovi nell’ultima assemblea generale della CEI, svoltasi a Roma a metà del mese di maggio.
         Voi siete chiamati come Mosè ad accostarvi al roveto che brucia e non si consuma, al luogo dove si prende coscienza della presenza misteriosa di Dio nella nostra vita.
È un luogo deserto, uno spazio di silenzio, di essenzialità, di riflessione.  È una terra santa che deve essere calpestata senza sandali, a piedi nudi. Ecco come si esprime Papa Francesco: «Come Mosè, il presbitero è uno che si è avvicinato al fuoco e ha lasciato che le fiamme bruciassero le sue ambizioni di carriera e di potere. Ha fatto un rogo anche della tentazione di interpretarsi come un “devoto” che si rifugia in un intimismo religioso che di spirituale ha ben poco».
 
         Carissimi ordinandi, insieme a tutti i sacerdoti della nostra diocesi vi do il benvenuto nel nostro presbiterio. Non sarete preti da soli, sarete preti nella comunione presbiterale e a questo riguardo sono forti e incisive le parole di Papa Francesco: «Per un sacerdote è vitale ritrovarsi nel cenacolo del presbiterio. Questa esperienza, quando non è vissuta in maniera occasionale, né in forza di una collaborazione strumentale, libera dai narcisismi e dalle gelosie clericali, fa crescere la stima, il sostegno e la benevolenza reciproca, favorisce una comunione non solo sacramentale o giuridica, ma fraterna e concreta. La comunione è davvero uno dei nomi della Misericordia».
 
         Affidiamo ora il dono del vostro sacerdozio ministeriale a Maria, la nostra Madonna di Monte Berico, madre di ogni vocazione alla sequela del Figlio Gesù. Sappiate trovare in Lei, Madre tenerissima, la sorgente del conforto e della consolazione, soprattutto quando sentirete il peso della fatica apostolica. Regina degli Apostoli, prega per noi. Amen.
† Beniamino Pizziol

Vescovo di Vicenza